Il vero male del calcio italiano è la polemica. Viscerale, perenne, continua. Il calcio è la passione degli italiani, ma ultimamente mi sembra che sia diventato il tiro a segno.
Gli arbitri, più ancora dei calciatori, vengono passati ad un accurato screening post-match, andando a vedere qualsivoglia minuzia nella loro direzione.
Un malcostume tutto italiano, che sta rovinando il nostro calcio e la nostra cultura sportiva.
I primi a rendersi conto di questo dovrebbero essere gli addetti ai lavori e i giornalisti, che non perdono occasione di passare al setaccio ogni fischio del direttore di gara.
Le interviste post-partita, specialmente su Mediaset,
diventano una moderna caccia alle streghe, con presunti opinionisti scatenati e allenatori che attizzano il fuoco meglio della carbonella.
Un malcostume inaccettabile, esploso in tutto il suo clamore dopo Juventus-Roma. Non entro nel merito degli episodi, ma
mi limito a evidenziare che alla sesta di campionato si usano parole forti come "sistema", "campionato falsato".
Una follia. Lo sarebbe verso fine campionato, figuriamoci ad Ottobre.
Prima di parlare di "sistema", credo, occorrerebbe un pochino di onestà intellettuale. Dal Milan di Sacchi e Capello, passando per la Juventus di Lippi o l'Inter di Mancini e Mourinho, hanno sempre vinto i più forti. E sarà sempre così, perchè
in un torneo a venti squadre è il più forte a vincere, spesso in maniera netta e definitiva. Pochi campionati si decidono sul filo di lana, e anche questi non sono contraddistinti dai singoli episodi. Penso al duello Juventus-Inter del '98, il cui epilogo non può essere attribuito al solo presunto rigore non concesso all'Inter (dietro in classifica e sotto di un goal in quel match). Ma si pensi anche al nubifragio di Perugia, quando a perdere il titolo fu la Juventus di Ancelotti, rea di aver dilapidato un cospicuo vantaggio in classifica, venendo poi punita dall'acquazzone umbro. C'è stato poi il tricolore che la Roma ha messo in bacheca l'anno successivo, andando a strappare i punti decisivi nello scontro diretto di Torino, schierando Nakata (autore di una rete decisiva) che, fino ad una settimana prima, non avrebbe potuto esser convocato. O, infine, i titoli che Mancini e Mourinho hanno portato in casa Inter, lasciando sempre al secondo posto la Roma di Totti, pronta ad avvelenare i post-partita ad ogni piè sospinto. Non si trattava di una macchinazione allora, non c'è alcun sistema oggi.
Se solo Totti avesse avuto un pochino più di memoria, credo, non avrebbe detto ciò che ha detto a Torino. Ha sparato a zero sulla lega e sul movimento calcistico italiano, reo secondo lui di favorire la Juventus. Eppure non ricorda che
proprio questa lega e l'intera architettura del calcio italiano hanno salvato la Roma. Una squadra che ha vinto uno scudetto (non un'egemonia, un solo e unico successo)
acquistando giocatori che aziendalmente non poteva permettersi. I vari Emerson, Candela, Cafu, Nakata, Batistuta e Montella, tanto per fare qualche esempio, hanno portato al tracollo finanziario la Roma e la famiglia Sensi.
Sommersa dai debiti, (come la Lazio, vincitrice anch'essa di un tricolore),
la società giallorossa avrebbe dovuto scomparire e ripartire dai dilettanti. Per evitare sommosse popolari, in una città in cui il tifo è tutt'altro che tranquillo,
il "sistema" ha salvato la Roma.
Ha evitato a Totti e compagni di fare la fine di Napoli, Torino e Fiorentina.
Al capitano, poi, si è aggiunto il tecnico Rudi Garcia. Una persona che ho fin da subito reputato elegante e intelligente, capace di parlare un italiano sorprendentemente buono fin dai primi giorni. Eppure,
il gesto del violino è una caduta di stile clamorosa. Scimmiottare Mourinho, senza esserlo, non è un vanto. Ancor peggio, però, le frasi a mente fredda.
Sostenere che partite così facciano male al calcio italiano è vero, ma da un'altra prospettiva rispetto a quella di Garcia.
Il problema non è stato nè l'arbitro nè il risultato, ma il contorno di inutili polemiche. Dalle rumorose parole di Totti e Garcia fino allo stucchevole siparietto fra Sacchi e Allegri, uno spettacolo a cui faremmo tutti volentieri a meno.