"Una volta ho chiesto a suo padre Cesare se c’erano possibilità che lasciasse il Milan, mi ha risposto di no".
Quando uno come sir Alex Ferguson farebbe carte false per averti, significa che sei un grande. Paolo Maldini, o più semplicemente "la difesa", nasce e cresce all'ombra della Madonnina. Da sempre ho provato per lui un certo affetto, forse per la sua data di nascita, quel 26 giugno che nella mia vita non può non avere un particolare significato.
Milanista nel dna e figlio d'arte, Paolo brucia ben presto le tappe nel settore giovanile di un Milan pre-Berlusconiano lontano parente della corazzata che sarà. Ad allenare il Diavolo è una vecchia bandiera, un simbolo: Nils Liedholm. Allo svedese il cognome Maldini non è affatto nuovo, anzi, è un dolce ricordo. Insieme a Cesare, suo compagno nella seconda metà degli anni '50, ha giocato e vinto tanto con la maglia rossonera, rivedere un Maldini in campo è stato come un flashback.
"Sono stato allenato dai migliori: Sacchi mi ha insegnato le basi, Capello mi ha fatto maturare, Ancelotti è un amico. Forse chi devo ringraziare maggiormente è chi mi ha fatto esordire: Nils Liedholm". L'affetto e la stima che si crea fra i due è palpabile, immediata. Lo svedese rimane stregato dalle qualità di Paolo; il futuro numero 3 ha un immenso rispetto per Liedholm, un vero simbolo del calcio e del Milan. E così, in un gelido pomeriggio di gennaio, l'esordio in massima serie. Paolo ha sedici anni e la sfrontatezza di chi non teme niente e nessuno. Non lo fa per superbia, ma per la grande calma che contraddistinguerà la sua intera carriera.
"Dove vuoi giocare, destra o sinistra?". "Decida lei", risponde un giovane Paolo; "vai e divertiti" l'ultima raccomandazione di un Liedholm calmo, sicuro della sua scelta. I fenomeni si riconoscono in fretta, con Maldini è stato il primo seme della difesa che sbalordirà il mondo e contribuirà all'aura leggendaria del Milan degli invincibili. Maldini, Galli, Costacurta e Baresi, una difesa tutta lombarda che renderà il Milan una delle squadre più forti del mondo.
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— All In For Ac Milan (@Rossoneriiiii) 27 Dicembre 2013
Nato come terzino destro, Paolo fu ben presto adattato a giocare a sinistra. Da grande campione qual'è stato, Maldini non si limita a giocare a sinistra, ma diventa mancino a tutti gli effetti. Impara a calciare di sinistro con la naturalezza di un mancino naturale, a testimonianza di una tecnica individuale fuori dal comune. Fin dai primi match era chiaro che Maldini non era un difensore come gli altri, univa l'intelligenza di un centrale ad una facilità di corsa eccezionale; i piedi di un centrocampista e la visione tattica di un grande libero; la falcata di un mezzofondista e la potenza di un quattrocentista.
Maldini ha vissuto sulla sua pelle l'intera metamorfosi del calcio sacchiano, essendo insieme a Franco Baresi il fulcro di una rivoluzione difensiva. Niente più difesa a uomo e marcature asfissianti; largo alla zona e ai fuorigiochi, con i terzini lanciati in avanti a sovrapporsi. Lanciato sulla corsa, Maldini, era un'iradiddio. Raramente ho visto terzini così forti a presidiare la fascia, coprendo con straordinaria intelligenza tattica. Sempre pronto a spingere e farsi trovare sul fondo per i cross, il numero 3 era lestissimo a recuperare la posizione, a non lasciar passare nemmeno uno spillo dalla sua zona di competenza. Precisissimo nella tattica del fuorigioco, Maldini ha fin da subito evidenziato le sue migliori qualità: marcatura e tackle. Marcatore arcigno e concentrato, Maldini era una vera furia nei tackle. Efficace nel gioco aereo, pressochè insuperabile nei contrasti, Maldini è stato un giocatore di categoria superiore.
Titolare inamovibile dalla stagione 1986, Maldini convince tutti i detrattori pronti a parlare di nepotismo. Nel giro di un anno si era perfettamente integrato in quella favolosa mistura che stava diventando il Milan di fine anni '80: una difesa rocciosa, impenetrabile, al servizio della frizzantezza e dell'estro tulipano.
Colonna dell'Under21 guidata da papà Cesare, Maldini ci mette ben poco a convincere Azeglio Vicini a portarlo alla spedizione continentale del 1988, dove Maldini si consacrerà sulla fascia sinistra, in cerca di un erede dall'addio del "bell'Antonio" Mundial. Di lì in avanti la carriera di Maldini è una continua escalation, in Italia ed in Europa. Con in bacheca un tricolore, il nuovo Milan può dare l'assalto all'Europa che conta, facendo incetta di trofei e riconoscimenti. Il 5-0 rifilato al Real Madrid nella vittoriosa annata 1989 è un segnale forte e chiaro per l'Europa intera. A chi considerava il calcio italico capace di solo catenaccio e contropiede, il Milan di Sacchi risponde con veemenza. "Manita" al Real di Camacho, Martin Vazquez, Schuster, Sachèz e Butragueño; quattro schiaffi alla Steaua Bucarest di Giga Hagi, tanto per mettere le cose in chiaro.
Mai un infortunio, rarissime le squalifiche ed i cali di forma, Maldini ha una costanza di rendimento spaventosa. Tanto in Nazionale quanto nel Milan, Paolo è una colonna imprescindibile: indispensabile nei successi del Diavolo, incolpevole nella sfortunata eliminazione dell' Italia nella rassegna casalinga.
Il passaggio da Sacchi a Capello non muta né il suo rendimento né la sua titolarità, anzi lo fa crescere ulteriormente. Don Fabio costruisce una squadra meno spettacolare rispetto a Sacchi, improntata su di una difesa letteralmente d'acciaio. Il Milan frantuma qualsivoglia record difensivo, portando un buon portiere come Sebastiano Rossi a stabilire il primato di imbattibilità in Serie A, sottraendolo ad un monumento del calcio nostrano come Dino Zoff. Il vero capolavoro, però, lo si vive la sera del 18 maggio 1994, ad Atene. Il Milan di Capello, orfano di Baresi e Costacurta, affronta il Barcelona del santone olandese Cruijff. Koeman, Bakero, Stoichkov e Romàrio hanno già la coppa in mano, a detta dei media, ma i rossoneri tirano fuori il più classico dei "conigli" dal cilindro. Altre quattro sberle, forti e precise. Massaro, due volte, Savicevic e Desailly schiantano il borioso olandese, costretto a rientrare in catalogna con la coda fra le gambe. Maldini giganteggia sulla corsia sinistra, alzando sotto il limpido cielo ateniese l'ennesimo alloro di una carriera ancora florida ma già dannatamente vincente.
Passavano gli anni e si accumulavano trionfi, tranne in Nazionale, vera croce e delizia del numero 3. Dopo la sfortunata eliminazione da Italia '90, la beffa di Usa '94. Nel torrido caldo di Pasadena Maldini vede i suoi sogni volare via come i palloni calciati da Franco Baresi e Roberto Baggio. In Francia, nel '98, sono di nuovo gli 11 metri a farlo intristire; mentre nel '00 è il golden goal di Trezeguet a segnare un rapporto con l'azzurro inversamente soddisfacente rispetto a quello rossonero. Così, nel 2002, lascia l'Italia dopo la maledetta rassegna Nippo-Coreana, chiusasi con un goal di testa del perugino Ahn Jung-Hwan, che beffa in elevazione proprio capitan Maldini, mandando a casa l'Italia da Trapattoni.
Gli anni passano e, dopo quasi 15 anni ai massimi livelli, Maldini incomincia ad incutere rispetto, non più timore. Ecco allora la metamorfosi in centrale difensivo, uno splendido stopper. Puntuale negli anticipi, sontuoso in marcatura, capace di cavarsela in ogni situazione. Merito di un'intelligenza calcistica superiore e dell'incontro con un altro grandissimo difensore centrale: Alessandro Nesta.
Con il difensore romano compone una coppia difensiva unica, avvicinabile solo dallo storico duo Cannavaro-Thuram. Paolo aiuta Nesta a crescere ed affermarsi; Alessandro consente a Maldini di rinascere. "Il segreto della mia longevità penso derivi dal grande rispetto che ho sempre avuto per il mio lavoro, anche se io l’ho sempre considerato un gioco. E poi credo che sia una questione genetica. Mia madre e mio padre mi hanno dato un fisico che ha resistito negli anni un po’ a tutte le sollecitazioni legate all’attività agonistica".
E così, dopo la delusione di Istanbul, in una finale in cui segna la rete più veloce nella storia delle finali di Champions, ha il tempo di un ultimo grande successo. Ad Atene si prende la rivincita sul Liverpool ed alza la quarta Coppa dei Campioni, la seconda da capitano. Proprio ad Atene, dove già aveva schiantato il Barcelona, senza poter alzare la coppa con la fascia al braccio, una fascia che avrebbe meritato e che fu indossata per anzianità da Mauro Tassotti.
Quello fra Maldini e la Champions è un rapporto stretto, quasi intimo. Il successo contro la Juventus, nel 2003, sarà ricordato sempre con affetto dai tifosi del Diavolo, che dovrebbero solo ringraziarlo ed applaudirlo.
"Sono orgoglioso di non essere uno di loro". Maldini non poteva dare risposta migliore ad un'ignobile curva, capace di fischiare il simbolo del Milan.
Quando il campionato era d'aiuto alla #Nazionaleitaliana,finale @ChampionsLeague 2003. pic.twitter.com/DZGf2nSP2y
— Franco Baresi (@FBaresi) 6 Marzo 2014
Un campione vero, che ricorderò sempre per il rigore sbagliato con l'Olanda, ad Euro2000. Nessuno avrebbe il coraggio di andare a calciare coi crampi; nessuno tirerebbe un rigore in semifinale con il piede debole. Ma Paolo, fascia al braccio e coraggio da vendere, è andato lo stesso sul dischetto. Van der Sar ha parato, ma la sua scelta e il suo carisma rimarranno per sempre nei miei occhi.
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