Esperto di Calcio

30 maggio 2012

Last Bet, Stefano Mauri: "Voglio tornare a casa"


Spiaggiato sulla branda della cella al primo piano del carcere Ca’ del Ferro, il capitano della Lazio Stefano Mauri ha la faccia un po’ così: «Voglio solo tornare a casa... Quando potrò tornare a casa?». I due nordafricani finiti in galera per piccolo spaccio con i quali divide i tre metri per quattro di questa cella del reparto Isolamento, non è che gli possano dare rassicuranti certezze. Ammesso che sappiano chi è e mica solo dalla televisione sempre accesa, hanno come minimo ben altri problemi di quelli di un vigoroso campione multimilionario trentaduenne, che secondo le accuse si è fumato la fedina penale e forse pure la carriera, per aver manipolato le partite della sua squadra in combutta con «gli zingari». «L’ho visto molto preoccupato... Si capisce che gli è caduta in testa una bella tegola...», giura il cappellano del carcere don Roberto Musa, sacerdote della parrocchia di San Pietro al Po che si trova guarda un po’ proprio dietro al Tribunale, l’unico insieme agli agenti di polizia penitenziaria a potersi affacciare davanti a questa cella e vedere il campione in pantaloncini corti scuri, maglietta chiara e ciabatte invece delle scarpette coi tacchetti griffate e ovviamente sponsorizzate. In due giorni e oramai due notti di carcere Stefano Mauri ha chiesto quasi niente. Come unica lettura, tiene sul comodino la voluminosa ordinanza del giudice Guido Salvini, 481 pagine dove viene spiegata con spigolosi dettagli l’altra storia, quella giudiziaria, del capitano della Lazio. Il suo avvocato Matteo Melandri che è venuto a trovarlo qui dentro per annunciargli l’interrogatorio di oggi pomeriggio, giura che Stefano Mauri «è sereno e chiarirà tutto». Frasi di rito sentite mille volte in questa inchiesta che in neanche un anno, dopo essere partita dal portiere della Cremonese che giocava con i sonniferi e la pelle dei compagni, è approdata alla serie A e ai piani alti della classifica. «Voglio solo parlare col magistrato, voglio chiarire la mia posizione...», spiega al suo difensore, al cappellano, magari pure ai compagni di cella nordafricani, l’ex campione sprofondato n e l l ’abisso . Perché alla fine dicono tutti così: che c’entrano niente e che sono sicuri di poter spiegare tutto velocemente e velocemente tornare a casa in pace. Resta da capire perché non lo abbia fatto prima il capitano della Lazio, il cui nome girava tra le carte dell’inchiesta da almeno un paio di mesi. Solo la settimana scorsa lo avevano visto a Londra insieme alla fidanzata, la starlet tv Miriam Della Guardia che adesso fa la addolorata ma insomma: «Voglio rimanere estranea a questa vicenda, non voglio saperne niente. Però ho fiducia in Stefano...». Domenica invece Stefano Mauri era al matrimonio a Milano Marittima di Sergio Floccari, attaccante della Lazio ora in prestito al Parma. E figuriamoci se aveva avuto tempo di guardare quel trafiletto su alcuni giornali, che annunciava la retata in arrivo. Nemmeno i telegiornali della sera aveva sentito, dove la notizia della terza puntata dello scandalo sulle partite truccate veniva sparata, anche se mancavano i nomi di quelli che avrebbero arrestato. Tanto c’era già chi li sapeva. Il suo avvocato Matteo Melandri lo chiama sul telefonino: «Sarebbe meglio che tu venissi a Roma». Prima di mezzanotte il capitano è già lì. Insieme al suo legale parte al volo in auto verso Cremona: «Il mio cliente era pronto a farsi interrogare anche nella notte». La polizia lo intercetta che non è ancora in Questura. Alle sei e un quarto del mattino, primo di tutti, Stefano Mauri è già in carcere e chiede al suo difensore: «E adesso come funziona? Cosa mi succede...». Succede la solita trafila. Foto davanti e di profilo, impronte digitali, via le stringhe e 481 pagine scritte da un giudice, da leggere e rileggere e magari pensarci un po’ su. La Stampa

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