Cari lettori ed appassionati del blog, devo dirvi che per me questo periodo è stato calcisticamente travagliato: devo ammettere che la passione che mi ha sempre contraddistinto è andata lentamente scemando.
Campionato "spezzatino", coppe, coppette e coppettine. Partite ogni giorno della settimana. Un tasso tecnico mediocre e un mondiale che non si farà ricordare per gesti tecnici o nuove alchimie tattiche. Osservi il calcio del nostro bel Paese e gli unici sussulti sono gli Opti Pobà, la dotazione delle bombolette spray per gli arbitri, la nomina di un commissario tecnico messo a libro paga dallo sponsor, un campionato che sta dimostrando un equilibrio decisamente direzionato verso il basso: per conferme chiedete pure alle nostre avversarie europee in Champions. Viviamo in un contesto talmente mediocre dove ci si entusiasma per l'atterraggio di tale Massimo Ferrero, detto "er viperetta": per me, tifoso blucerchiato, è stato l'ennesimo colpo basso. Forse quello di grazia.
In questo momento seguo il calcio con un distacco quasi nauseabondo, causato da creste e scarpe fluorescenti scorrazzanti per il campo guidate da catenacciari seduti su una panchina, che si esibiscono in stadi fatiscenti dove quei pochi che vi si presentano lo fanno per insultare le origini e la razza del proprio avversario e non per sostenere il proprio club, dove l'arbitro della finale mondiale impiega tre minuti per decidere se concedere o meno un calcio di rigore, dove pennivendoli, opinionisti e telecronisti ricercano uno spunto di discussione dal nulla più totale, il tutto trasmesso da delle pay tv che si inventano nuove inquadrature stile "slow motion" per sopperire alla mancanza di gesti tecnici e giustificare dei canoni mensili da usura legalizzata. Provi a cercare una speranza altrove, magari dalle serie minori, e le uniche notizie che trovi riguardano nuovi sospetti di combine, aggressioni ad arbitri minorenni e i soliti tafferugli causati dal cosiddetto "pubblico pagante".
Non sono uno che si arrende facilmente, ma in momenti come questi si ha bisogno di un qualcosa, un qualcuno che possa riaccendere la speranza nello sport che ami. Personalmente l'ho trovata oltre lo Stretto della Manica, dalla madre del football: si chiama Daniel William John Ings, detto Danny, attaccante del Burnley. Nato a Winchester il 23 luglio del 1992, finora può vantare una carriera spesa tra Bournemouth, Dorchester Town e dal 2011 con il passaggio ai "Clarets". Una carriera quasi trascurabile verrebbe da dire, nonostante cinque presenze e due gol nella Under 21 albionica. Quindi, perchè riporre le mie speranze in Ings? Cos'ha di tanto speciale da potermi indurre a concedere un'ultima possibilità al calcio professionistico?
Ebbene, ho deciso di riporre le mie speranze in questo ventiduenne con il dieci sulle spalle e la fascia di capitano al braccio, trovatemene uno in Italia, perchè ogni volta che scende in campo è capace di rendersi protagonista, sia in campo che fuori. Un protagonista positivo. Con le sue prestazioni è riuscito a far ottenere al Burnley l'agognato ritorno in Premier League dopo ben quattro anni di assenza nonostante una concorrenza agguerritissima. Danny non è un top scorer con una media gol vertiginosa, ma un trascinatore tutto cuore e tecnica al servizio del collettivo. Insomma, il capitano che tutti vorremmo avere. Però le poche marcature che riesce a realizzare non sono mai banali, così come il loro festeggiamento. Ormai siamo abituati a capriole, balletti, mosse inconsulte: sappiate che Ings non è uno che festeggia così dopo un gol. Ings è uno che dopo ogni rete va a salutare un bimbo su una sedia a rotelle che assiste a tutte le partite casalinghe dei "Clarets" sul bordo del campo del Turf Moor. A volte lo bacia sul capo, a volte lo abbraccia, a volte lo indica per dedicargli la marcatura. Ma ci sono delle occasioni che vanno ricordate e festeggiate nel migliore dei modi. E' il 21 Aprile del 2014: nell'ultima partita della stagione contro il Wigan, al triplice fischio finale i tifosi del Burnley hanno immediatamente invaso il campo per l'entusiasmo dovuto alla promozione in Premier League. A questo punto il nostro capitano Danny Ings, con le lacrime agli occhi, ha cercato e ha trovato questo bimbo, anch'egli in lacrime. Si sono abbracciati, più forte che mai. Una immagine che ti tocca dentro, nel profondo. Ed ogni volta che la vedo so che in Inghilterra c'è un bambino portatore di handicap che ha festeggiato ancora una volta insieme al suo capitano un momento di gioia della propria squadra del cuore.
Bene, Signori: qui ritrovo la speranza. Perchè per me il calcio è questo. E' quel momento di sana competizione sportiva dove ci si affronta, confronta e comporta da Uomini, quelli con la U maiuscola. E' quel momento in cui dove non ci si comporta da rockstar ma dove si mostrano i veri valori, quelli fondamentali per ogni essere umano prima e per ogni sportivo poi. Per me il calcio in questo momento è Danny Ings, un calciatore che ogni maledetta domenica riesce a giocare e vincere la partita più importante: quella di rendere il mondo del calcio un posto migliore grazie a dei piccoli grandi gesti.
Perchè come diceva Nereo Rocco "quello che fai sul campo è quello che sei: in pochi minuti di gioco puoi dimostrare la tua vera natura". Ma a uno come Danny serve molto meno: gli basta un minuto di gioia.
0 comments:
Posta un commento