Esperto di Calcio

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30 novembre 2013

Storie di calcio: rivoluzione in salsa "rosa" e nero

L'amico e collega Mauro Piro, dalle colonne del suo blog "Il Calcio Secondo Me", fa una lucida e interessante analisi sul pianeta Milan. Il salto nel vuoto o, come lo chiama lui, il "guevarismo" rossonero è un qualcosa che nessuno di noi si sarebbe aspettato. Mauro lo ha analizzato molto bene e per la stima e l'affetto che mi legano a lui umanamente e professionalmente è giusto che più persone possibile condividano e leggano questo articolo.

Affrontare i cambi epocali non è mai cosa semplice. Raccontarli lo è forse meno. Solitamente lo si comprende alla distanza quanto un determinato gesto, evento, fatto compiuto, possa portare ad una vera e propria rivoluzione. Si rischia di omettere particolari di rilevo, si rischia di non cogliere appieno il senso. E se nella stessa, fredda, settimana di fine novembre la Milano del pallone si ritrova a dover affrontare non uno, ma ben due passaggi di consegne dal valore sconfinato, allora è chiaro che un senso in tutto ciò lo si debba pur cercare. Il parallelismo appare sotto gli occhi di tutti: mentre nella metà nerazzurra arriva per la prima volta a San Siro con una valigia piena di nuove idee e motivazioni un nuovo presidente, pronto a rinforzare le fondamenta di una società fatta e finita, nella sponda rossonera, le fondamenta che parevano a prova di dinamite fino a poche settimane fa, paiono crollare improvvisamente a causa delle dimissioni presentate da Adriano Galliani. Tempistiche coincidenti, motivazioni agli antipodi, conseguenze diametralmente opposte.

Ponendo sullo stesso piano le due situazioni e guardandole dall'esterno, a far preoccupare non può che essere quella milanista. Un interrogativo è dominante: la società è pronta ad un salto nel vuoto? Perché di ciò effettivamente si tratta. Un salto nel vuoto. Niente di più, niente di meno. Abbandonare la costanza portata da 27 anni di esperienza meticolosa e quasi mai banale, per un enorme punto interrogativo, sarà la migliore delle scelte? Lo sarà magari tra qualche mese ma potrebbe non esserlo adesso. Ci insegnano che non esistono grandi rivoluzioni senza spargimento di sangue, e su questo potremmo essere anche d'accordo. Ma vale davvero la pena di sacrificare un qualcosa di assodato, immutabile e costante, in vista di un domani dall'incerta sorte? Tutto ciò, senza dimenticarlo, tramite delle scomode dichiarazioni rese qualche settimana fa all'Ansa, dove la "delfina" di casa Berlusconi, Barbara, sbandierava pubblicamente il desiderio quasi "guevariano" di revoluciòn rossonera. Pubblicamente, ripetiamo, non nelle segrete stanze. Fatto non trascurabile quello di utilizzare la stampa per esprimere un concetto che, di certo, sarebbe stato meglio affermare in privato. Il tutto con l'apparente benestare del presidente, combattuto tra due affetti, quello professionale e quello familiare.

Agire con lucidità? Complicato in un mondo come quello del pallone trainato principalmente dalle emozioni. Quelle dei tifosi, ad esempio, stufi di assistere ad un crollo costante e doloroso. Quelle dei calciatori, rimasti smarriti dall'addio di una figura che pareva quasi patriarcale all'interno di una società tanto invidiata quanto presa spesso ad esempio. E chissà che Silvio non si senta davvero un meltin' pot di emozioni in questo frangente: un presidente in bilico tra la voglia spasmodica di nuove vittorie ed il timore di trovarsi da soli, quasi sperduti dopo anni di proficua collaborazione.

Cosa riserverà il futuro? Come ripartirà il Milan dopo questo improvviso cambio di rotta? Come si affronta un qualcosa che non si conosce? Non resta che aspettare, guardare e constatare silenti. I cambi epocali si comprendono solo a distanza di tempo...

29 novembre 2013

Storie di calcio: il Parma dei fenomeni

Ho vinto le mie prime coppe della carriera. Finalmente anch' io posso dire di avere conquistato qualcosa. E ora voglio lo scudetto o la Champions League: questo Parma ce la puo' fare”.
Pienamente d’accordo con Gigi Buffon. Il Parma resta per me un mistero inspiegabile del calcio e dello sport. Era una squadra formidabile, zeppa di campioni, che ha raccolto molto ma molto meno di quanto avrebbe potuto. Non mancavano i giocatori, ne la società, ne gli allenatori, ne gli investimenti. Eppure i ducali non son mai riusciti a riempire la bacheca con un tricolore o una Champions League. Il crac Parmalat ha fatto il resto, spazzando via una delle squadre più belle e forti del mondo.
Nel raccontare la storia del successo emiliano, in quel di Mosca, voglio partire da un video. Qualche anno dopo, nel 2005, la Rai decide di proporre uno speciale sul doping nel mondo dello sport. I dirigenti dell’emittente di stato arrivano in possesso di un video, girato nell’hotel moscovita in cui il Parma è ospitato. Sette minuti in cui viene ripreso Fabio Cannavaro, difensore della Nazionale e futuro capitano, alle prese con una flebo. Lo stopper campano, all’indomani del putiferio suscitato da quel filmato, ha spiegato di persona di cosa si trattasse.
La flebo conteneva il Neoton che non risulta nella lista del doping. Forse la gente si è spaventata un po' per la flebo in se stessa, però in quella camera c'era allegria, un clima disteso, e quindi nessuno può pensare che si siano fatte cose strane, anche perché a riprendermi ero io. Non vedo perché sia stata fatta una trasmissione sul doping e fatto vedere un filmato di una flebo che non è doping. Non riesco a capire come il filmato, di cui io ho le cassette originali, sia andato a finire in mano alla Rai”.
Nessuno potrà mai dire che la vittoria del Parma, tanto netta quanto meritata, possa esser stata viziata da sostanze illecite. Ci sono stati controlli antidoping nel post-partita e nessun calciatore emiliano è stato trovato positivo. Ho voluto partire da qui per sottolineare, senza suscitare polemiche filo o anti juventine, quanto il doping nel calcio sia stato un falso problema. Per anni l’attenzione dei media si è focalizzata su questa tematica, quasi fosse il male del calcio. Eppure la vera piaga di questo meraviglioso sport non è il doping, come non sono gli arbitri. Sono l’ignoranza e la violenza, che purtroppo saranno protagoniste di una storia più avanti.
Della notte russa, nella splendida cornice dello stadio Lužniki, voglio solo ricordare le magie di Hernan Crespo, uno degli attaccanti più forti che io ricordi; i dribbling di Enrico Chiesa, i lanci di Veròn e la favola di Paolo Vanoli, l’ennesima dimostrazione che con impegno, lavoro e dedizione si va lontani.
Il Parma arriva all’appuntamento finale con una squadra fuori categoria. La difesa è un vero bunker, con gente del calibro di Buffon, Fabio Cannavaro, Sensini e Thuram. Il centrocampo può contare sui muscoli di Dino Baggio, la fantasia della “brujita” Veròn e la corsa di Diego Fuser. In avanti Malesani può schierare Crespo, non a caso capocannoniere del torneo, ed Enrico Chiesa, un tandem di fantasia e potenza, cinismo e concretezza. Il percorso dei ducali nella competizione è stato liscio, tranquillo. Superato con un leggero affanno il Wisla Krakow nei sedicesimi di finale, da quel momento in avanti una marcia senza sbavature. In fila vengono prese a “pallate” i Glasgow Rangers, il Bordeaux e l’Atletico Madrid. I francesi sono letteralmente umiliati al Tardini, con un 6-0 roboante, impreziosito da una doppietta a testa per i due centravanti parmigiani. Gli stessi attaccanti son poi protagonisti della splendida vittoria esterna al Vicente Calderòn di Madrid, dove l’Atletico è “matato” per 1-3. Con un percorso del genere è indubbio arrivare all’appuntamento decisivo con i galloni del pronostico.
L’Olympique Marseille è lontanissima parente della squadra che dominava in Europa grazie a Papin, Deschamps e Bokšić, ma rappresenta comunque un avversario temibile. Guidati dal campione del mondo Laurent Blanc, i francesi sono un misto di esperienza e sfrontatezza. Porato in porta e Blanc in marcatura sono i leader di una retroguardia che può schierare il futuro interista Domoraud (uno che a Milano cercano ancora oggi di dimenticare) e William Gallas, futura colonna del Chelsea. A centrocampo la stella è un giovane Robert Pirès, intorno a cui agiscono l’ex di turno Daniel Bravo ed il sudafricano Issa, un buon giocatore finito nel mirino delle critiche dopo due autogoal ai mondiali di Francia. L’attacco vive sulle spalle del mai rimpianto ex rossonero Christophe Dugarry e Fabrizio Ravanelli. I francesi sono arrivati in finale avendo la meglio sul Bologna di Mazzone, Kennett Andersson e Signori, con I felsinei arresisi solo a cinque dalla fine, estromessi da un goal di Blanc che sa di beffa. Dopo lo 0-0 del Velodrome ed il vantaggio casalingo di Paramatti sembrava fatta per un derby emiliano in quel di Mosca, ma l’esperieza del capitano transalpino ha fatto la differenza.
Il ruolino delle due squadre, dunque, parla chiaro. Il Parma è una squadra spumeggiante, bella da vedere, e con un attacco atomico. L’Olympique è invece compagine solida, ben strutturata dietro e cinica davanti. I marsigliesi, però, hanno grossi problemi. A Mosca non possono infatti schierare alcuni gicoatori chiave: Gallas, Luccin e la coppia d’attacco Ravanelli-Dugarry. Il reparto avanzato grava quindi sull’ariete lionese Florian Maurice, un prospetto interessante ai tempi delle nazionali giovanili che non è riuscito a confermarsi nel calcio dei grandi.
Nonostane sia decisamente più forte, il Parma parte piano, quasi sornione. Veròn fatica a prendere in mano il gioco e così il primo tiro in porta e' dei francesi. Il diagonale di Blondeau, che gioca avanzato come quarto centrocampista a destra, ballando tra Vanoli e Cannavaro, non può spaventare Buffon. Il Marsiglia s’illude di governare la prima fetta ma le trame dei bianchi transalpini non bastano per spaventare il Parma, il cui primo merito e' quello di non rintanarsi nella propria meta' campo. I ducali iniziano a carburare e non e' un caso quindi che dopo una blanca punizione di Veron, facilmente bloccata dal portiere, capiti a Crespo l’occasione da goal. Il centravanti argentino, ben smarcato da Chiesa, ha la palla giusta, ma la conclusione del numero 9 è troppo alta. E’ però lo squillo di tromba, il segnale che il Parma non dorme. A tradire i suoi è proprio Blanc, l’eroe stagionale fino a quel momento. Il capitano cerca di appoggiare di testa al portiere ma manca clamorosamente l'intervento, permettendo a Crespo d’inserirsi. Porato prova all’ultimo istante a frenare l’argentino con un’uscita disperata, ma il pallonetto di destro scavalca l’estremo difensore e gonfia la rete. Dopo una fase fin troppo lunga di studio la squadra di Malesani si sblocca definitivamente e da quel momento la partita è a senso unica. Graziato al 31' da una conclusione troppo alta di Veron, il clan dei marsigliesi affonda rapidamente, incapace di reagire dopo l’errore del suo uomo simbolo. E’ Paolo Vanoli, bravo a farsi trovare pronto su cross di Fuser, a insaccare il raddoppio prima che l’arbitro mandi tutti a riscaldarsi nel tepore degli spogliatoi.
Una innocua punizione di Bravo è l’unica reazione dell’OM, ormai in balia degli uomini di Malesani. I primi dieci minuti della ripresa sono un monologo gialloblu con Thuram, Crespo e Veròn vicini al terzo goal. Marcatura che non tarda ad arrivare, quando al 55’ Veron scatta sulla destra, e appoggia verso il centro.  Il velo di Crespo è degno di un centravanti consumato ed esperto, la botta di Chiesa sotto la traversa fa scattare l’Aida nel cielo di Mosca.
Il Marsiglia dimezzato dalle squalifiche e ormai fuori partita non prova nemmeno una reazione. Gli ultimi minuti della panchina del Parma sono un incandescente conto alla rovescia verso la meritata premiazione, sugellata dalla coppa alzata al cielo nel gelo moscovita da capitan Sensini.
Sembra l’inizio di un’era, di un’epopea che non arriva e non arriverà mai per il club ducale. Da Parma passano allenatori e giocatori di prima fascia, fuoriclasse in campo e fuori. Eppure ai gialloblu manca la zampata, il guizzo felino di un successo alla portata. Nel festeggiare i primi cento anni della società l’attuale presidente, Tommaso Ghirardi ha detto: “Qui è passato un pezzo del meglio del calcio internazionale. Anche oggi migliaia di tifosi sono accorsi allo stadio, dimostrando grande attaccamento a questa maglia. Non so se il più grande giocatore della nostra storia è stato Crespo, so che oggi il protagonista è il Parma. Non pensaimo al futuro, siamo una squadra che da anni sta facendo bene”.
Ha ragione, quella squadra ha fatto la storia, anche senza vincere uno Scudetto.



27 novembre 2013

Storie di calcio: la tripletta che elegge Ronaldo a "Fenomeno"

“Secondo me resta il più grande di sempre, il miglior attaccante che abbia mai visto. Meglio anche di van Basten, un giocatore veramente impossibile da marcare. Ne parlavo con un grande come Maldini, Ronaldo ci ha fatto fare una serie incredibile di "figure da cioccolatai". Vi assicuro che noi abbiamo marcato gente come Maradona, ma lui era assurdo. Lo marcavi stretto e lui ti chiamava la profondità, coprivi lo spazio per non dare la profondità e lui ti puntava in uno contro uno, era ossessionante”.
Le parole di un grande difensore come Costacurta testimoniano perfettamente chi è stato Ronaldo. Quando penso e pronuncio quel nome io penso sempre e solo a Luìs Nazario de Lima, il solo ed unico Ronaldo. Non fraintendetemi, Cristiano Ronaldo è un campione, ma il numero 9 carioca è un’altra cosa. Per me, nonostante abbia giocato nell’Inter, ha rappresentato un giocatore unico, incredibile. Lui ed Alessandro Del Piero sono stati i miei eroi, i miei modelli. Non penso sia mai esistita una prima punta forte e completa come Ronaldo. Aveva tutto, dribbling e velocità; senso tattico e fiuto del goal; tecnica e intelligenza; estro e fantasia.
La sera del 26 Ottobre 1996 la stella di Ronaldo si consacra definitivamente nel firmamento celeste. La tripletta con cui schianta il Valencia è divina. I tifosi del Camp Nou impazziscono letteralmente di gioia, capiscono di avere in casa il più forte giocatore del mondo, l’unico in grado di cambiare il destino di una partita con un lampo, con un’accelerazione. Eppure son passati appena due mesi dal suo approdo nella Liga, nessuno si sarebbe mai aspettato un impatto così forte. La forza con cui Ronaldo imperversa negli stadi spagnoli è come quella di un uragano. Nelle prime dieci partite realizza dodici reti, una delle quali è unica. Alla tripletta con cui “mata” il Valencia ci arriveremo fra poco, il suo vero capolavoro risiede nel goal rifilato il 12 Ottobre al Compostela. Al 35’ minuto Ronaldo ruba palla a Passi nel cerchio di centrocampo. Non ci pensa un attimo e parte in progressione, seminando tutto e tutti. Corre 47 metri in 11 secondi, accarezzando il pallone 14 volte per saltare come birili cinque avversari. Uno dopo l’altro, inermi di fronte alla rapidità e alla tecnica del campione brasiliano. La palla s’insacca ovviamente alle spalle del portiere, il Camp Nou esplode.
Le radio catalane non sanno come descrivere questo ragazzo pelato, rapido come il fulmine e letale come un puma. Indicono un concorso per dargli un soprannome, un nomignolo con il quale tutti i tifosi blaugrana possano riconoscere il loro numero 9. Nasce qui la leggenda del Fenomeno, destinata a durare negli anni e a resistere in imperitura memoria.
Non esiste uomo che lo abbia visto giocare che non abbia strabuzzato gli occhi di fronte alle sue giocate, alle sue magie. Non esiste calciatore che lo abbia affrontato o sia stato suo compagno e che non sia rimasto incantato dalla sua classe irriverente, a tratti devastante. Di lui, dalle pagine del suo sito ufficiale, ha scritto l’altro mio idolo, Alessandro Del Piero: “Ho sempre sostenuto che la grandezza di un giocatore si misura anche dalla grandezza dei suoi avversari, dei grandi duelli che anche uno sport di squadra come il calcio sa regalare. Gli anni di Ronaldo in Italia, nella sua prima esperienza con l’Inter, sonostati caratterizzati dalla nostra sfida, Del Piero-Ronaldo, Juve-Inter. A fine partita ci cercavamo sempre, per scambiarci la maglia. Ronaldo è stato uno dei giocatori che ho stimato di più. Il suo annuncio di ieri mi ha colpito, anche se non sorpreso.
Purtroppo a decidere per lui sono stati gli infortuni che hanno tormentato gli ultimi anni della sua carriera. Come Marco Van Basten, per citare un altro fuoriclasse di livello assoluto, la sfortuna ha impedito a tutti gli appassionati di calcio (me compreso) di vedere ancora sul campo le prodezze di questi “mostri”. Ma quello che ha fatto Ronaldo resterà per sempre nella storia del calcio e negli occhi di chi ama questo sport, indipendentemente dal colore della maglia, dal tifo, dalle bandiere. Giocatori come Ronaldo appartengono a tutti. E’ stato toccante sentire dire a Ronaldo nella sua conferenza stampa di addio, le lacrime, quella frase “mi sembra di morire” perché una parte di lui non ci sarà più, il calciatore Ronaldo. Ma per fortuna adesso inizia un’altra vita. Grazie per quello che hai fatto sul campo e per essere stato un grande avversario, Fenomeno”.

E’ la chiusura che racchiude l’essenza del Ronaldo giocatore, uno straordinario fuoriclasse capace di illuminare le serate più buie; caparbio ed in grado di rialzarsi nei momenti più difficili, con la stessa forza e sfrontatezza di quando in Spagna spaccava le difese. Come la retroguardia valenciana, messa a ferro e fuoco da una sontuosa tripletta del futuro Pichichi.
Imporsi in una squadra ricca di storia, fascino e campioni non è semplice. Solo i fuoriclasse si ambientano rapidi e veloci, grazie al talento, al carisma ed un’innata capacità nell’essere decisivi. Ronaldo è stato un maestro in tal senso. Approdato giovanissimo in una squadra che schierava giocatori del calibro di Blanc, Figo, Guardiola, Stoichkov, Luis Enrique e De la Pena, il centravanti carioca ha saputo ritagliarsi fin dai primi allenamenti il ruolo di leader. Bobby Robson ha visto in lui quel talento che pochi altri hanno potuto sfoggiare nella storia del calcio, quel colpo in grado di rendere unica una giocata. Ed è così che pochi secondi dopo il goal al Compostela il tecnico inglese si gira verso la panchina e domanda: “com’è possibile?”. Già, nessuna esultanza, nessun gesto di clamore, solo semplice e pura incredulità.
Ronaldo rendeva possibile l’impossibile, superava i limiti del gioco. Contro il Valencia, realizzando quella fantastica tripletta, urla al mondo il suo nome. Tre reti magnifiche, fuori dal normale. Nella prima c’è l’essenza stessa del giocatore, che prende palla sulla trequarti ed in men che non si dica è già diventato imprendibile, veloce come un puma e aggraziato come un cigno. I centrocampisti andalusi nemmeno lo vedono, i difensori lo temono. Quando il brasiliano si persenta dinnanzi a Ferreira ed Otero i due sembrano spaesati. Il Fenomeno lancia la palla in mezzo a loro, evita il tentativo di fallo e si presenta in una frazione di secondo di fronte a Zubizzareta. Il grande ex della partita è freddato con la facilità di chi ha il goal nel sangue, spiazzato dal piatto destro di Ronaldo.
Il secondo è troppo semplice, per lui. Lanciato in profondità da Figo, Ronaldo riceve sulla trequarti. Scatto bruciante verso l’area di rigore, protezione palla sul ritorno del centrale e sinistro al fulmicotone sul secondo palo.
Il terzo, nel momento più difficile del match, è un capolavoro di rara classe e precisione. Ronaldo strappa il pallone a centrocampo, anticipando anche il suo compagno. Lo scatto è talmente devastante da far sobbalzare in piedi i novanta mila del Camp Nou. Nemmeno un fallo a modi “sandwich” può fermare la corsa del Fenomeno, che si presenta davanti al portiere spagnolo e lo fredda con un piatto tanto delicato quanto irriverente.
L’hattrick al Valencia fa conoscere Ronaldo al mondo intero, che smette di considerarlo un ragazzo promettente. Fino alla notte del 26 Ottobre il ragazzo carioca è rimasto un giocatore da valutare, il solito attaccante brasiliano per cui bisogna vedere il reale valore. Ronaldo segna, lo fa sempre e con goal meravigliosi, unici. E’ immarcabile perchè un centravanti completo, il migliore che io abbia mai visto giocare. Segna in ogni modo e maniera, ridicolizzando qualsiasi difensore. Accanto a Nilis, Stoichkov, Figo, Bebeto, Romario non fa differenza. Ronaldo si è preso il palcoscenico calcistico mondiale e non ha nessuna intenzione di mollarlo.

25 novembre 2013

Storie di calcio: Real Madrid v Barcelona, El Clasico

Quando lasciai il Real, un paio di anni fa, il Barcellona mi contattò per due volte. Io però non accettai l’offerta. Non avrei mai potuto farlo, sono madridista dentro”.

Non esiste in Spagna una rivalità come quella fra catalani e castigliani, almeno non nello sport. Il Clasico è la partita fra i due simboli calcistici e non solo della penisola iberica, è un evento di cui si inizia a parlare settimane prima; non è paragonabile alle grandi sfide del campionato italiano o inglese, dove non è mai ben chiaro quali siano i due team più importanti e tifati del momento. In Spagna no, qui il Clasico è il Clasico, sempre. Poco importa chi sia davanti a chi e quanti punti di vantaggio abbia, perché Madrid-Barcellona è, prima di tutto, una sfida tra le due città simbolo di un modo di vedere il proprio paese completamente agli antipodi.
Da una parte c’è la capitale di uno Stato unitario, federale ma unitario. La capitale dove si concentrano i poteri, politici ed economici, che si posiziona simbolicamente al centro, per estendere le proprie reti lungo tutto il Paese. Dall’altra parte vi è la principale città della principale comunità autonoma, dove si parla una lingua differente, dove le differenze culturali sono talmente forti che si cerca insistentemente l’indipendenza. Non v’è partito politico, in Catalogna, per moderato che sia, che non firmerebbe domani stesso per rendersi indipendente. E qui, in questa città, c’è tanta cultura, tanta attrattiva turistica, c’è il mare. La forza dello scontro, come si può facilmente intendere, è prorompente.

Questa competizione e questa differenza sostanziale tra i due modelli si specchia nella contrapposizione tra due modelli calcistici agli opposti. Da una parte c’è il Real Madrid, una potenza economica senza eguali, con centinaia di migliaia di aficionados che detengono quote azionarie della società e che ogni estate compra il fior fior delle migliori leve del calcio internazionale, campioni di fama mondiale e i giovani più forti che si trovano sul mercato. Spende cifre da capogiro nel tentativo di portare nell’arena del “Santiago Bernabeu” le migliori “bestie” per far divertire il suo popolo e soddisfare la sua brama di vittorie. Sul versante opposto c’è il Barcellona, che gestisce la propria squadra con una filosofia completamente opposta, privilegiando la costruzione di un mondo e di un sistema-Barcellona con una propria fortissima identità culturale, preferendo puntare sui settori giovanili, la “masia”, in grado di sfornare campioni in casa. E’ la mentalità catalana a fare il resto, dove il gioco del calcio è visto come momento d’aggregazione e non come spettacolo per divertire un popolo. Ciò si riflette nella gioia che i giocatori di questo club esprimono nel giocare al calcio e con cui contagiano la propria tifoseria. Far parte del Barcellona, giocarci, allenarlo, dirigerlo, è come aderire a una filosofia di vita.

Real Madrid-Barcellona, la storia del calcio. C’è chi dice, in Spagna, che i catalani abbiano vissuto decenni in una sorta di complesso d’inferiorità per le vittorie accumulate in passato dai rivali. Non so se questo sia vero, se lo chiedete ad un catalano mai lo ammetterà; viceversa un castigliano sventolerà con orgoglio questo dato. Ciò di cui son certo, però, è che l’amore che lega gli spagnoli alla propria casacca, alla città in cui vivono, alla cultura che hanno appreso, li rende sostanzialmente unici. Qui in Spagna, si diceva, se ne parlava per settimane, ogni giorno, in ogni luogo, e su ogni giornale. Poi arriva il giorno della partita, si supporta la propria squadra, la si ama e la si sostiene incondizionatamente. E poi si ricomincia a discutere, a parlare del Clasico nel post match. Tutto questo fino alla partita successiva, che rappresenterà sempre un momento unico nella storia del calcio spagnolo.

La sera del 7 gennaio, all’indomani dell’Epifania, non solo ho imparato a conoscere il Clasico e la sua rivalità, ma ho anche approcciato per la prima volta un attaccante estremamente efficace. Non molto alto ma in possesso di uno stacco aereo impressionante; non bellissimo da vedere ma efficace come un killer silenzioso; non pubblicizzato ma sempre sul pezzo. Cileno, originario di Santiago del Cile, ha affinato il suo colpo forte fin da bambino “colpendo il lampadario di casa con la testa”. Sto parlando ovviamente di Iván Luis Zamorano Zamora, numero 9 madrileno per quattro anni prima di farsi conoscere nel Bel Paese, indossando la maglia dell’Inter ed essendo ricordato per la più strana casacca nella storia di un calciatore, l’unico ad indossare un numero combinato. L’1+8 richiesto ed accordato dall’Inter e dalla federazione rimarrà sempre un caso unico, proprio come il bomber cileno che annichilisce il Barça per inaugurare un 1995 davvero esaltante per lui ed il Real Madrid, chiuso con il successo in Liga.
Real Madrid e Barcellona si presentano all’appuntamento del Bernabeu con formazioni di tutto rispetto, come sempre. Non si tratta ancora delle formazioni fantascientifiche a cui siamo abituati negli ultimi dieci-quindici anni. Tuttavia parliamo sempre di giocatori di primissima fascia, alcuni campioni in erba ed altri già affermati. I padroni di casa, allenati dall’ex stella Jorge Valdano, offrono il solito calcio propositivo, votato all’attacco. Davanti a Buyo il leader della retroguardia è Fernando Hierro, pilastro della Spagna e uomo di gran carisma. La difesa è poi completata con l’eterno Manolo Sanchìs e Quique Sànchez Flores, recentemente tornato alla ribalta come allenatore. A centrocampo uomini di qualità eccelsa, a iniziare dalla stella danese Michael Laudrup, definito da Michel Platini “il migliore al mondo, ma solo in allenamento”. A “far legna” il nazionale iberico Amavisca accanto a cui agisce un altro grande talento del calcio locale, Luis Enrique, uno che appena un anno più tardi si macchierà del più grande sgarbo possibile: passare al Barcelona, il percorso inverso del portoghese Luis Figo, a cui il Camp Nou non perdonerà mai il tradimento. In avanti Valdano si affida alla sicurezza Zamorano e ad un giovane campione in erba, il classe 1977 Raùl Gonzalez Blanco. Su di lui mi hanno impressionato le parole di Valdano, che ha detto: “Il giorno prima del suo debutto gli sottoposi una questione per metterlo alla prova: “Sto pensando di farti giocare titolare, ma ho paura che possa sentire troppo la pressione.” Mi guardò con una faccia sbalordita, ma capì immediatamente quello che volevo sentirmi dire: “Se lei vuol vincere, faccia giocare me. Se vuole perdere, scelga pure uno qualunque, rispose. Alcuni giocatori sanno giocare a calcio fin dalla nascita, alcuni giocatori sono uomini prima di uscire dall’adolescenza; alcuni giocatori sono vincenti senza ancora aver vinto nulla; alcuni giocatori continuano ad imparare dopo aver avuto successo. Tutti questi casi rari si fondono in Raúl, un tipo che, tra l’altro, appare assolutamente normale. Sono sul punto di esaurire le parole. Primo: sa fare tutto bene. Secondo: lo fa ogni giorno meglio”.

I blaugrana salgono a Madrid con la solita voglia di vincere. Johan Cruyff presenta un undici compatto, che rinuncia a sorpresa all’estro del brasiliano Romario. In porta Carles Busquets, padre dell’attuale mediano catalano; mentre la difesa è la solita linea a quattro, composta da Sergi, Abelardo, Ferrer e “Rambo” Koeman, carnefice della Sampdoria nella finale di Champions del 1991. A centrocampo Amor, Bakero e Guardiola garantiscono quantità e qualità; il romeno Hagi, ex d’occasione, è quella scintilla di imprevedibilità che deve, nei piani del santone olandese, innescare il bulgaro Stoichkov. Isolato e poco servito, il numero 8 faticherà a trovare spazio nelle maglie della difesa blanca, la rinuncia a Romario si rivelerà infatti un errore cruciale.

Pronti via la casa blanca mette sotto gli storici rivali. Passano appena quattro minuti e Raùl sporca un pallone in area. Sembra un’azione conclusa, ma come un falco arriva Zamorano. Il cileno controlla e spara un missile sotto la traversa, che lascia Busquets di sasso. Sulle ali dell’entusiasmo i madrileni continuano a spingere, ad attaccare. Il Barça non ci capisce nulla e dopo altri quindici minuti di “bambola” è ancora Zamorano a colpire. Luis Enrique lo pesca in area di rigore, l’attaccante protegge il pallone con il corpo dal ritorno di Ferrer e di piatto trafigge per la seconda volta l’estremo difensore. E’ la serata della vita per Zamorano, letteralmente immarcabile, tanto nelle palle alte quanto nei movimenti. Passano pochi minuti e Laudrup lo pesca con un cross delizioso. Il numero 9 arriva bene, si coordina ma il calcio al volo finisce in tribuna.
L’errore carica ancora di più l’orgoglio del sudamericano, che trascina i suoi. Proprio quando le squadre si avviano al riposo e Cruyff ha mandato a scaldare Romario, la doccia gelata. Laudrup contrasta caparbiamente Sergi, che si fa soffiare il pallone con la sufficienza di un dilettante. Il danese alza la testa e vede il taglio di Zamorano, che non deve far altro che appoggiare in rete e raccogliere l’ovazione del Bernabeu. Una tripletta nel Clasico è qualcosa di mistico, un evento che solo chi ha vissuto può spiegare. Farlo davanti a ottanta mila spagnoli in festa, che urlano “oi cileno”, penso sia una di quelle esperienze che tutti meriterebbero di vivere, di provare.
Come detto Johan Cruyff prova a correre ai ripari. Cambia modulo sostituendo il cervello del centrocampo, Guardiola, con il difensore Nadal, zio del grande tennista che imperversa oggi sui campi di tutto il mondo. A centrocampo fuori uno stordito Bakero e dentro Romario, il grande escluso della vigilia. Inevitabile che il Barça provi a far qualcosa, ad attaccare. Ma non c’è nulla da fare, il Real è troppo in palla, troppo superiore.

Laudrup, scatenato come raramente gli è capitato, salta uomini come birilli. Al limite dell’area scherza letteralmente Nadal, superandolo facendogli passare il pallone a destra e passando alla sua sinistra. Il cross è morbido, dolce come uno zuccherino. Zamorano è al posto giusto al momento giusto, ma il palo nega al cileno uno storico poker. Mentre Busquets prova a respingere vanamente, arriva Luis Enrique. Il tap-in è semplice come bere un bicchier d’acqua e l’esultanza con tanto di urla a squarciagola fotografa quanto il centrocampista dia alla sua maglia, tutto. Il Barça è annichilito, sulle gambe. Il Real Madrid non si ferma, anzi, continua ad attaccare. Giusto così, fermarsi e far possesso palla sarebbe un’umiliazione, se rispetti gli avversari e li consideri dei rivali giochi, sempre e fino alla fine. Barcelona e Real Madrid si detestano, ma sono ben consapevoli che devono la rispettiva grandezza l’una all’altra. L’unico modo per onorare la partita, quindi, è giocare al massimo sino al fischio finale. Lo fa il Real Madrid, lo farà il Barcellona in una storia che leggerete più avanti. E così, nemmeno due minuti dopo il 4-0, ecco servita la scala reale. La palla in profondità di Martin-Vazquez, subentrato a Raul, è geniale. Zamorano è solo davanti a Busquets, che esce qualche passo per chiudergli lo specchio. Il cileno è freddo, glaciale, serve l’accorrente Amavisca, uno che non ha mai avuto una particolare affinità con il goal. La palla però è perfetta, solo da spingere in rete. Lo spagnolo non si fa pregare e realizza il quinto goal, una lezione pazzesca per il Barça e Johan Cruyff, uno che a perdere non c’è mai stato.

Devo essere sincero, Cruyff non mi è mai stato simpaticissimo. Campione assoluto, innegabile questo, ma che non sento mio. Non l’ho vissuto in prima persona e le poche volte che l’ho sentito parlare, da allenatore, aveva modi troppo arroganti. Eppure una delle sue frasi, secondo me, racchiude l’esenza di questo sport, della lotta e dell’impegno che serve per emerge. “Durante ogni allenamento, qualunque sia il tuo sport, ti senti distrutto perché in ogni allenamento devi andare oltre quello che sul momento ti sembra il tuo limite: tu cominci a correre, a scattare a calciare e dopo un po' ti sembra di aver esaurito ogni energia, mentre hai solo esaurito quello che io chiamo "primo fiato". A quel punto bisogna sforzarsi per superare la piccola crisi che sembra bloccarti, per arrivare al "secondo fiato": che ovviamente arriva solo dopo qualche minuto di sofferenza. Quando l'allenatore dà lo stop senti il cuore che batte vertiginosamente, sembra che debba scoppiarti nel petto: devi riuscire a ricondurlo al suo ritmo normale in meno di due minuti; se non ci riesci è meglio che apri una tabaccheria o tenti di diventare Presidente del Consiglio: vuol dire che hai sbagliato mestiere”.
Il Real ha giocato e non si è fermato, non ha mai rallentato il ritmo, proprio come suggeriva il guru olandese. E per questo, ne sono sicuro, un uomo di sport come Joahn ne è stato felice.

22 novembre 2013

Epurazione Sportitalia: quando a rimetterci non sono mai i potenti

L'Italia è sempre l'Italia, non cambierà mai. Chiunque legga questo blog avrà capito un pò di cose su di me, ed una di queste non l'ho mai nascosta: odio la mediocrità e l'ingiustizia quando si parla di calcio e di lavoro. Fra tutti i giornalisti sportivi italiani, due secondo me racchiudono alla perfezione lo stile italico del "mors tua vita mea". Parlo ovviamente della premiata ditta Criscitiello-Pedullà, due che l'unico palinsesto sportivo serio (SkySport) non penserebbe di ingaggiare nemmeno dopo aver bevuto ettolitri di vodka. Bene, avevano trovato la loro dimensione con Sportitalia, format basato come i programmi di fine anni '90 sulle discussioni calcistiche e la biondona scociata sullo sgabello a intrattenere. Ora, non è un caso se trasmissioni come Guida al Campionato o il Processo del Lunedì son finite, morte. Eppure erano condotte da giornalisti più capaci e preparati (uno era Biscardi, traete voi le conclusioni...).
Criscitiello, occhiale alla moda e sorrisetto scaltro, ha ovviamente annunciato di persona la chiusura della televisione, con una patetica scenetta che vi riporto qui.



Il siparietto dell'incontro fra lui stesso e Pedullà è rivoltante, raccapricciante per chi come tanti giovani lavoratori ha perso stipendio e posto, nonostante capacità lavorative ben più evidenti di sti due qui. Conosco personalmente alcuni bravi ragazzi, appassionati di sport e di calcio che hanno provato a protestare, a far qualcosa. L'aiuto dei più famosi e potenti giornalisti, il loro supporto? Nessuno, zero. E che importa, loro il posticino ce l'hanno....
Panorama ha iniziato a interessarsi alla vicenda per fortuna, e penso sia doveroso far girare questo articolo, tratto dalla edizione online del rotocalco.

Continua il nostro approfondimento sulla vicenda Sportitalia e sulla chiusura del network le cui frequenze sono state acquistate dal gruppo di Valter La Tona, già editore di Alice, Arturo, Leonardo, Marcopolo e Nuvolari. Nuovi studi a Roma e nuovi nomi per i canali che si chiamano ora Sport Uno, Sport Due e Sport Tre. Quello che non si conosce è invece la situazione degli ex dipendenti che nel giro di pochi mesi si sono ritrovati in ferie forzate e senza prospettive. Tra mensilità non pagate, mancanza di chiarezza e comunicazione, ecco la triste storia ripercorsa da uno dei dipendenti che per tutelarsi ha scelto di restare anonimo.
Ricostruiamo la vicenda dall'inizio...
Per quel che riguarda i giornalisti, una trentina, dal luglio 2010 abbiamo avuto il primo contratto a tempo determinato che da gennaio 2013 è diventato a tempo indeterminato. Fino al 2010 abbiamo lavorato tutti con partita IVA, e non abbiamo mai avuto un contratto giornalistico. Per quanto riguarda i tecnici invece da tempo avevano un contratto a tempo indeterminato.
Quando è iniziata a precipitare la situazione?
Eravamo gestiti da una società che si chiamava Interactive e che è fallita un anno fa. Da lì sono stati creati due rami d'azienda, uno per i giornalisti e uno per i tecnici, EDB Media e EDB Service. Sono andati all'asta questa estate a fine luglio e sono stati acquistati da LT televisioni. Poi i passaggi che ha fatto LT sono molto ambigui, bisognerebbe leggere l'interessante articolo del sole 24 ore .
Le voci su LT non parlano di un'azienda in buone condizioni...
Il valore che avevano queste aziende è dato dalle LCN, ossia dalle numerazioni del digitale terrestre. Volevano acquistare le frequenze e non la televisione con i suoi dipendenti. Poi come detto nel comunicato hanno anche un'azienda, Sitcom Media, che ha 90 dipendenti in cassa integrazione. Non sembra proprio un'azienda sana...
Dopo la vendita come è andata?
E' avvenuta ai primi di agosto e naturalmente non abbiamo visto nessuno perché era estate. A fine settembre noi giornalisti abbiamo avuto un colloquio con un rappresentate della LT e con il loro direttore artistico. Poi dieci giorni dopo è stato lo stesso per i tecnici, un semplice colloquio conoscitivo. Più passava il tempo e più non veniva presentato un piano industriale così ad ottobre ci siamo rivolti ai sindacati. Sapevamo che sarebbero stati necessari dei tagli e una ristrutturazione ma continuavano a non dirci nulla. Tutto è andato bene fino al momento delle mensilità di settembre. Di solito veniamo pagati il 10 di ogni mese. Sono stati pagati tutti i tecnici mentre i giornalisti no: alcuni non sono stati pagati, altri solo in parte.
E poi?
La situazione è precipitata. Sono usciti articoli, tra cui uno su Italia Oggi, che lanciavano ufficialmente l'allarme. I soldi non arrivavano, uscivano dichiarazioni di La Tona che non facevano chiarezza e così d'accordo con il sindacato si è deciso di scioperare il 30 e 31 ottobre. Il giorno prima, il 29 di ottobre, abbiamo avuto un incontro con Orienta Parteners (la società a cui LT si è affidata per fare i tagli e revisionare il bilancio, ndr) ma non ci sono state date scadenze. Non sapevano quando avrebbero potuto pagare i giornalisti, non si sapeva del piano industriale, non si sapeva nulla... La sera del 31 è arrivata la prima raccomandata tramite posta elettronica dove EDB Media ci metteva in ferie forzate dal 1 di novembre per 15 giorni. Noi il 4 di novembre ci siamo presentati in azienda chiedendo di lavorare e siamo stati fatti uscire, è stata una forma per dimostrare la nostra disponibilità a continuare a fare il nostro lavoro. Poi il 5 è uscito l'articolo della Gazzetta che ci aveva fatto tirare un bel sospiro di sollievo ma ci eravamo solo illusi. Il 7 abbiamo avuto un nuovo incontro con Orienta Partners che ha smentito categoricamente l'articolo della rosea facendoci sapere che ci sarebbero stati "morti e feriti"
In quanti manterranno il proprio lavoro?
I tecnici non hanno avuto alcun tipo di contatto con l'azienda, alcuni di propria iniziativa hanno chiesto di essere ricevuti per cercare di trovare almeno una collaborazione. Oltre agli amici di Criscitiello che naturalmente continueranno a lavorare con lui... Si può ipotizzare che alcuni abbiamo rescisso il contratto con EDB Media e in cambio ci sia uscito un contratto a partita IVA con LT o con una società di LT. Altri, il cui contratto scadeva a dicembre, hanno ricevuto una lettera di rescissione anticipata del contratto. Sono stati messi in stand by, hanno chiesto di poter parlare a Roma con La Tona ma ogni colloquio si farà alle sue condizioni. Ora sto un po' generalizzando per dare un'idea, bisognerebbe guardare e valutare caso per caso. Parte dei giornalisti si salverà, almeno una decina, credo più facile quelli nella zona di Roma... Vai a capire con che tipo di contratti...
Il problema però sono i tecnici...
Per loro non c'è nessun progetto e nessuna prospettiva...
L'ultimo incontro che avete avuto con l'Orienta Partners?
Giovedì pomeriggio scorso (14 novembre, ndr) c'è stato incontro con Orienta Partners. Ci hanno comunicato che il piano industriale sarebbe stato pronto per il 14 di dicembre, ma che i soldi per pagare gli stipendi di ottobre non ci sono. Non sanno quando potranno saldare la mensilità di ottobre, non hanno neanche i soldi per far stampare i cedolini delle buste paga e stanno pensando su suggerimento del sindacato di accedere alla cassa d'integrazione in deroga. Speriamo che la situazione cambi, ma è davvero dura....
Gli studi di Milano sono deserti?
A Milano la produzione si è bloccata. Fino a ieri lavoravano quattro/cinque emissionisti per De Agostini, adesso invece sono stati messi in ferie anche loro... Il barlume di produzione si è esaurito del tutto. La situazione è davvero disperata. La cosa che ci ha più preoccupato è la mancanza di comunicazione. EDB Media e EDB Service sono state acquistate da LT, poi è stata tabula rasa.
LA CRONOLOGIA DEI FATTI
A seguito dell’acquisizione da parte di LT Televisioni srl del 100% delle quote di EDB Media (composta principalmente da giornalisti di cui circa 20 a
contratto t.i. FRT e una decina di collaboratori a progetto o p.i.) ed EDB Service (50 tecnici), ovvero le due società che producono i canali televisivi
Sportitalia1, Sportitalia2 e Sportitalia24, avvenuta il 29 luglio 2013 attraverso l’aggiudicazione dell’asta fallimentare presso il tribunale di
Milano, la OS e le RSA delle società hanno ripetutamente richiesto un incontro alla dirigenza per avviare un confronto sul piano industriale e sugli assetti del gruppo. Incontro sempre rimandato.
Silenzio da parte della proprietà rotto solamente dall’annuncio di LT Media a “Italia Oggi” il 26 ottobre scorso dell’uscita di EDB Media ed EDB Service dal perimetro del gruppo. Annuncio non smentito e che quindi avrebbe comportato la vendita dei lavoratori a loro totale insaputa e senza alcuna informazione circa la nuova proprietà.
Ad aggravare la situazione:
- il ritardo nell’erogazione degli stipendi di settembre 2013 (ad oggi non ancora saldati nella loro totalità. Molti giornalisti, infatti, hanno ricevuto solo l’80% di quanto dovuto)
- la mancata erogazione di 4 mensilità di buoni pasto
- l’interruzione nell’ultima settimana della possibilità di avvalersi di linee telefoniche, agenzie stampa (nazionali) e video (internazionali), nonché l’impossibilità di utilizzare i diritti delle immagini dei campionati di calcio di Serie A e Serie B. Situazione che di fatto ha reso quasi impossibile il lavoro giornaliero della redazione.
- perdurante assenza di comunicazioni ufficiali da parte del gruppo Lt Media sul futuro piano industriale
Per tutte queste ragioni i lavoratori di EDB Media e Service, unitamente alla SLC-CGIL, hanno indetto due giornate di sciopero per l’intero turno di lavoro per il giorno 30 e 31 ottobre ’13 al fine di avere un incontro con la nuova proprietà.
Nella giornata del 29 ottobre la società Orienta Partners, incaricata da Lt Media della ristrutturazione di Edb Media e Service, ha acconsentito all’
incontro richiesto che però non ha fornito alcuna risposta credibile e tantomeno esauriente circa il futuro della forza lavoro e del piano editoriale ed industriale. Incontro in cui, invece, le uniche certezze emerse sono state la sofferenza economica e la cessazione di ogni attività editoriale a partire dal 1 novembre 2013.
Lo sciopero è stato così confermato come da prima comunicazione senza che vi sia stato alcun riscontro da parte dell’azienda. Azienda che, inoltre, ha impedito ai giornalisti di garantire fasce di informazione durante le giornate di agitazione essendo queste non autorizzate dal contratto FRT.
Nella stessa giornata del 29 ottobre l’azienda ha avuto un incontro nella sede romana con Michele Criscitiello (giornalista di Edb Media con contratto
indeterminato FRT) accordandosi con lo stesso per la realizzazione dagli studi Roma di una trasmissione calcistica entro una decina di giorni. Coinvolti nel progetto anche due giornalisti a tempo indeterminato di Edb Media e uno a p.i. da lui indicati. Lo stesso Criscitiello in una intervista datata 31 ottobre (http://www.davidemaggio.it/archives/85600/michele-criscitiello-lt-sport-sportitalia-intervista ) ha rilasciato un’interessante dichiarazione sul futuro dei lavoratori di Edb Media e Service: “Per molti di loro purtroppo l’ esperienza lavorativa si concluderà qui perché la politica aziendale sarà
diversa e perché se siamo arrivati a questo punto vuol dire che a livelloeconomico c’era qualcosa che non andava. Io sono solidale con quelli che stanno scioperando anche se non ho partecipato perché credo sia meglio avere un confronto con l’editore piuttosto che passare per i Sindacati che non hanno mai portato a nulla.
Quasi contemporaneamente ecco il comunicato della proprietà:
LT TELEVISIONI srl (Gruppo LT MULTIMEDIA) comunica di avere siglato un accordo di partnership editoriale e commerciale con SITCOM MEDIA srl (Gruppo Sitcom), la Società che ha rilevato da EDB MEDIA srl il ramo d'azienda relativo ai canali 60, 61, 62 del digitale terrestre, per la trasmissione sul digitale terrestre dei tre nuovi canali del GRUPPO LT MULTIMEDIA: SPORT UNO, SPORT DUE e SPORT TRE. L'accordo, nel suo complesso, permette il completamento del nuovo progetto editoriale della LT TELEVISIONI srl e, attraverso un accordo per la produzione di format e programmi originali dedicati allo sport e non solo, permette di finanziare il piano di ristrutturazione industriale avviato dalla EDB Media srl e della EDB Service srl, finalizzato a salvaguardare la continuità delle attività di produzione e l’occupazione. Il progetto di riorganizzazione è stato affidato ad Orienta Partners, società specializzata in ristrutturazioni aziendali.
Nella serata del 31 ottobre, Edb Media e Edb Service hanno comunicato ai loro dipendenti la messa in ferie forzata dal 1/11/2013 al 15/11/2013 (10gg
lavorativi).
Infine alla mezzanotte del 31 ottobre hanno fatto la loro comparsa sulle frequenze di SportItalia1, SportItalia2 e SportItalia24 (60, 61 e 62 del d.t.)
i nuovi canali Sport Uno, Sport Due e Sport Tre. Nel dettaglio: la programmazione di LT Sport Uno è composta da eventi appositamente commentati da collaboratori esterni mai stati parte di EDB Media (forse con un’unica eccezione). In parallelo i palinsesti di LT Sport Due / Tre sembrano composti da “cassettati” realizzati precedentemente all'ideazione del canale. Il tutto mentre i dipendenti di Edb Media e Service sono in ferie
coatte.
AGGIORNAMENTI
Sabato 2 novembre:
Tramite comunicazione scritta il Sindacato contesta formalmente all’azienda la messa in ferie forzate dei lavoratori: nel merito, nei tempi e nella modalità della comunicazione.
Lunedì 4 novembre
Durante il presidio organizzato fuori dall'azienda tutti i lavoratori presenti sono entrati mettendo a disposizione la propria prestazione lavorativa e contestando la messa in ferie forzata. Ovviamente sono stati invitati ad allontanarsi e ad uscire immediatamente dall'Amministratore Delegato di Edb Media e Service (seguirà raccomandata con descrizione dell'accaduto e formale messa a disposizione della prestazione lavorativa). Nella stessa giornata è stato comunicato ad alcuni lavoratori (contratto a progetto o p.i.) la rescissione unilaterale del rapporto collaborativo.
Persistono quindi pesanti timori sulla continuità del perimetro occupazionale dei dipendenti di EDB Media e EDB Service.

21 novembre 2013

Rafał Leszczyński - 1992 - Polonia

Continua il sodalizio fra Esperto di Calcio e Calciodellest, il portale numero uno per il calcio dell'Europa orientale. Oggi vi presento un interessantissimo prospetto fra i pali, Rafał Leszczyński. Impariamo a conoscerlo con i più esperti amici di Calciodellest:

Le convocazioni del nuovo treiner Nawalka sono state prese dai media polacchi come una grossa sorpresa, nessuno si sarebbe mai aspettato che l'ex treiner del Gornik convocasse una decina di giocatori che militano nelle squadre polacche. La convocazione shock per i media è stata quella del giovanissimo portiere del Dolcan Zabki, squadra che milita in 1 liga a pochi chilometri da Varsavia e squadra che anche in passato ha sfornato buoni giocatori. Rafał Leszczyński attualmente è il portiere dell'under 21 da pochi mesi avendo preso il posto di Skorupski e questa convocazione in prima squadra non è stata presa molto bene dai media. Molti giornali si chiedono il motivo di questa convocazione e sopratutto cosa può dare un portiere che arriva dalla 1 liga in nazionale. Rafal ha iniziato la sua carriera nel 2008 nell'Olimpia Varsavia Juniores per passare poi nel 2010 al Dolcan dove milita adesso, portiere veramente bravo come vuole la tradizione calcistica dei portiere polacchi, una scuola che credo dopo quella italiana è tra le migliori in europa in questo ruolo. Già la passata stagione seppur giovane era considerato un portiere da un grande futuro e la chiamata di mister Nawalka non è un caso perchè credo che nel prossimo campionato questo portiere avrà molte offerte da club anche stranieri.

20 novembre 2013

CR7 e Zlatan, quando la classe non è acqua

Spettacolo a Solna, due campioni illuminano i cieli di Svezia con lampi e magie. Ovviamente sto parlando di Zlatan Ibrahimovic e di Cristiano Ronaldo, due fuoriclasse assoluti. Uno più dell'altro, ed infatti il più forte ha trascinato con una tripletta (dopo il goal all'andata) i suoi compagni, l'intero suo paese.
Al Mondiale 2014 ci sarà dunque il Portogallo di Cristiano Ronaldo, che ha avuto la meglio nello spareggio contro la Svezia di Re Zlatan. Niente Brasile per il centravanti del PSG che anche ieri ha provato a trascinare con la fascia al braccio i suoi alla rimonta. Fin dai primi minuti di gioco è parsa subito evidente la superiorità tecnica dei portoghesi, capaci di costruire gioco con un giro palla rasoterra molto fluido. Al contrario sembrava decisamente più complesso lo sviluppo dell’azione per i padroni di casa, che spesso sono stati costretti ad affidarsi al lancio lungo.
Dopo un primo tempo borioso e dominato dalla paura, nel secondo la Svezia è entrata in campo con l’intenzione di segnare il gol dell’1-0, esponendosi così alle ripartenze del Portogallo che si è prontamente portato in vantaggio. Al 50esimo è un tiro ad incrociare del solito Cristiano Ronaldo a gelare i gialli di casa. Il discorso qualificazione sembrava definitivamente chiuso, ma la squadra di Bento non aveva fatto i conti con Zlatan Ibrahimovic, che nel giro di tre minuti ha prima segnato con un colpo di testa su azione d’angolo e poi ha portato in vantaggio i suoi con un bolide su calcio di punizione. Con un solo gol da segnare per qualificarsi il pubblico di casa ha iniziato a crederci, spingendo a gran voce la sua nazionale. La Svezia però si è fatta prendere troppo dall’entusiasmo concedendo ancora un contropiede a Ronaldo che, come in occasione del primo gol, è scappato in campo aperto incrociando con il sinistro in rete. Sempre il madridista ha chiuso definitivamente il discorso due minuti più tardi segnando la sua tripletta personale nell’ennesima azione di contropiede. I tifosi del prossimo Mondiale non potranno dunque vedere in campo Zlatan Ibrahimovic, ma potranno godere di uno straordinario Cristiano Ronaldo, il miglior giocatore del mondo in questa seconda parte del 2013.



Diversi ed al contempo simili; amici e allo stesso tempo rivali. Ibra e Ronaldo si rispettano in campo e fuori, com'è giusto che sia fra immensi campioni. Il Pallone d'Oro, se ha un senso, quest'anno lo vincerà Cr7, tutt'al più Messi perchè è, come il portoghese, un mostro, un fenomeno. Tutto il resto è noia.

19 novembre 2013

Storie di calcio: la Juventus di Del Piero sul tetto del mondo

Diaz si deve vergognare per le sue insinuazioni sulla vittoria della Juventus della Coppa Intercontinentale contro il River Plate del 1996. Abbiamo vinto quel trofeo e la Coppa dei Campioni qualche mese prima perché eravamo più forti e meglio allenati. Se avessimo fatto uso di sostanze illegali non avremmo vinto solamente ai rigori contro l'Ajax e con un gol di Del Piero su un mio calcio d'angolo nel finale contro gli argentini. Li avremmo potuti asfaltare nel gioco e nel risultato, al contrario entrambe le finali sono state gare molto equilibrate e molto dure fino all'ultimo minuto. Evidentemente a Diaz quella sconfitta brucia ancora e dopo quasi 17 anni cerca alibi. Peraltro, come per ogni squadra dopo ogni partita, vi erano controlli antidoping a sorteggio e non mi pare siano emersi problemi. La delusione provocata dalle parole di Diaz deriva dal fatto che lui è un professionista, ex grande attaccante e attuale ottimo allenatore, non un tifoso dal quale mi potrei anche aspettare certe dichiarazioni”.
Schietto, diretto, senza peli sulla lingua. Angelo Di Livio era così anche in campo, un giocatore generoso, che non toglieva mai la gamba e che non mollava mai. Ad uno così non puoi dire nulla, perchè giustamente i successi se li sente sulla pelle, li rivendica per l’impegno e la fatica che ha messo sul rettangolo verde. Lo sfogo, dai microfoni di Radio Manà Sport, racchiude un po’ l’essenza della Juventus di Lippi, una squadra fatta di guerrieri ancor prima che di campioni.

La finale del Novembre ’96, giocata a Tokyo, è una di quelle partite che difficilmente si dimenticano. Non tanto perchè assegnò il platonico titolo di “campione del mondo”, ma per l’atmosfera che la contraddistinse. La sfida fra Juventus e River Plate ha rappresentato per me la scoperta di un calcio nuovo, quello sudamericano. Fino ad allora conoscevo le gesta dei campioni argentini e brasiliani, apprezzavo le loro nazionali, ma non avevo mai approcciato la cultura calcistica di un continente fanatico per il pallone, di cui presto non avrei potuto fare a meno.
La nuova coppa non ebbe un battesimo ufficiale. La si chiamò in due modi: Coppa Intercontinentale e anche Coppa Europa-Sudamerica. La prima edizione venne dunque subito disputata nel 1960 e quasi inevitabilmente bagnata dal successo dell'invincibile Real di Di Stefano e Puskas. Di lì in avanti l’Intercontinentale divenne l’occasione per misurare la bravura di due continenti, di due filosofie di calcio: il pragmatismo europeo contro l’estro sudamericano. Inutile negare il fascino di un trofeo snobbato solo da chi lo perde.

Juventus e River Plate non sono due squadre qualsiasi, rappresentano l’elitè dei propri continenti. Entrambe hanno già giocato e vinto l’Intercontinentale, lo scopo è quell di confermarsi e tornare a casa con un trofeo importante, tanto nell’essenza quanto nel suo simbolismo. I bianconeri di Lippi arrivano in Giappone con la consapevolezza dei grandi. Dopo uno Scudetto ed una Champions League il tecnico viareggino ha radicalmente cambiato la sua squadra. Fuori Vierchowod Baggio, Vialli e Ravanelli; dentro Paolo Montero, Zinedine Zidane ed Alen Bokšić. Inutile negarlo, un ricambio generazionale formidabile, tanto da portare i media di tutto il mondo a considerare la Juventus come largamente favorita.

Il River Plate di Ramòn Dìaz arriva all’appuntamento senza quel clamore mediatico che una squadra come il River meriterebbe. La vittoria nella Copa Libertadores, contro gli ostici colombiani dell’Amèrica de Calì, è stato il coronamento degli sforzi di un’intera società, abile a catalizzare i migliori giocatori argentini e sudamericani.
Eroe dell’impresa, in quel del Monumental, un certo Hernàn Crespo. Soprannominato “Valdanito” per la sua somiglianza con l’ex centravanti del Real Madrid, Crespo è stato ceduto in Italia al Parma di Tanzi e Ancelotti. Insieme a Crespo ha lasciato il River un’altra colonna della squadra, Matìas Almeyda, anch’egli approdato nel Bel Paese per giocare con la maglia della Lazio.

Guai a pensare che i Millonarios siano una squadra allo sbando, Ramòn dìaz ha infatti al proprio arco alcune frecce pericolosissime. In porta l’affidabilissimo Roberto Bonano, uno che non a caso andrà a giocare al Barcellona. In difesa la solidità del paraguagio Celso Ayala e la rapidità di Juan pablo Sorìn, terzino sinistro che calcherà scenari importanti e con alle spalle una sfortunata stagione proprio nella Juventus, con cui si è fregiato del titolo di campione d’Europa nonostante le misere due presenza. A centrocampo la concretezza di Sergio Berti e Leonardo Estrada, al servizio della fantasia di uno dei talenti più interessanti dell’intero panorama calcistico mondiale: Ariel Ortega. Soprannominato “El Burrito”, Ortega è il classico numero 10 argentino, dotato di classe invidiabile, visione di gioco e senso del goal. In avanti, orfano di Crespo, Dìaz può comunque contare sull’esperienza dell’ex granata Francescoli e di un giovane Julio Ricardo Cruz, uno che negli anni avvenire si scatenerà contro la Vecchia Signora. Prima riserva un certo Marcelo Salas. Insomma, una squadra di tutto rispetto.

Per esperienza e attitudine ai grandi palcoscenici gli uomini di Lippi sembrano poter aver la meglio contro un River giovane, sfrontato, che fa dell’attacco il suo unico credo calcistico. La realtà parla però di una partita inaspettata, comandata dai bianconeri e giocata in rimessa dagli argentini. Un River Plate capace di difendersi con un ordine e un’organizzazione mai visti prima, ed un Bonano superstar per quasi tutto il match. E’ proprio l’estremo difensore, infatti, a salvare prima su Zidane e poi sul solito Bokšić, devastante in fase di costruzione e sorprendentemente timido quando si tratta di graffiare.

Nel secondo tempo si riprende con lo stesso trend. La Juve è superiore, attacca il fortino degli argentini che tremano, barcollano, ma non cadono. Jugovic recupera un bel pallone a centrocampo e con un passaggio rasoterra pesca Del Piero, appostato al vertice sinistro dell’area di rigore. Quella è la mattonella di Alex, che punta Diaz, tiro a giro. La conclusione è sporcata dai difensori e ricade alle spalle di Ayala, al limite dell’area piccola. Sbuca Bokšić, che incoccia nuovamente su una miracolosa uscita bassa di Bonano. Passano pochi minuti e su una punizione dalla trequarti destra battuta Di Livio, svetta sul primo palo Del Piero che indirizza benissimo verso la porta, trovando Bonano ancora in traiettoria.

Dopo più di un’ora a cento all’ora la Juventus si prende un momento per rifiatare e per poco non le risulta fatale. Azione prolungata di Monserrat, scarico indietro per Diaz che dal vertice destro dell’area di rigore crossa teso e corto. Torre di testa dell’avanzato Berizzo per l’inserimento di Ortega, il fantasista brucia Peruzzi con un delizioso tocco sotto da posizione defilata ma la traversa salva i bianconeri. La goccia di sudore freddo, corsa lungo tutta la schiena degli undici bianconeri, spinge gli uomini di Lippi ad attacare. A meno di 10’ dalla fine Di Livio batte un calcio d’angolo. La parabola del numero 7 è arcuata, ma a mezza altezza. Difficile girarla di testa verso la porta, quasi impossibile domarla. Zidane la prolunga sul secondo palo, dove è appostato Alessandro Del Piero. Il numero 10 controlla il pallone in un fazzoletto e con lo stesso destro calcia forte verso il secondo palo. La traiettoria della conclusione è perfetta, la forza del pallone è tale che Bonano può solo osservare la sfera insaccarsi sotto l’incrocio dei pali.

Il finale è pirotecnico, Diaz toglie Cruz e getta nella mischia Marcelo Salas, ma è l’altro neo-entrato Gancedo a scaldare i guantoni di Peruzzi con un improvviso destro dal limite. Il River è riversato completamente nella metà campo della Juventus e Peruzzi deve ancora rispondere “presente” sul colpo di testa di Ayala, vanificando l’ultimo vero attacco degli argentini. Gli sforzi dei Millionarios lasciano infatti invitanti varchi per il contropiede, che non tarda ad arrivare. Del Piero pesca con un delizioso lancio Alen Bokšić, che in velocità semina senza problemi Berizzo, colpisce il palo esterno a portiere battuto.

Pochi minuti dopo il fischietto brasiliano Rezende decreta la fine del match. E’ un trionfo per la Juventus, targato Alessandro Del Piero. Non è semplice raccontare a parole cos’abbia rappresentato Del Piero, un campione assoluto, per distacco il calciatore che più di tutti ho amato ed incitato; stimato e sostenuto, nei momenti più felici e quelli meno gioiosi. Il numero 10 veneto, quello che per me sarà per sempre “il capitano”, è entrato nella storia bianconera da vincente e ne è uscito da Campione d’Italia, regalando anche nella sua ultima partita una rete nello stadio che lo ha visto realizzare il suo primo goal, nel lontano ’92. Diciannove anni di amore, di storia, in cui Del Piero ha scritto pagine di storia su cui la parola “fine” non sarà mai messa nera su bianco, perchè il nome di Alessandro rimarrà per sempre scolpito come una roccia.

Un giocatore ed un uomo straordinario, capace di portare sulle spalle il numero più pesante che la storia del calcio abbia in dote. Quando indossi la 10 non sei un giocatore qualunque, sei il faro della tua squadra, il giocatore che più di tutti ha la responsabilità di essere decisivo. E Del Piero è stato un campione estremamente caparbio, risoluto, freddo. Fra tutte le maglie, in Italia, quella più pesante è sicuramente quella della Juventus. Quando indossi la maglia bianconera sei un uomo fortunato, giochi in una grande squadra, ma sei costretto a vincere. Nel mondo poche squadre si identificano in un campionato come la Juventus. Real Madrid e Bayern Monaco sono le uniche compagini paragonabili alla Vecchia Signora, non perchè non esistano altre squadre formidabili, ma perchè queste tre hanno una caratteristica propria, esclusiva. Si identificano con il campionato nazionale. Il Italia il Milan ha una dimensione internazionale, l’Inter è storicamente una squadra ciclica, che va a corrente alternata; in Spagna il Barcellona, per ideologia e storia, non si è mai fuso con la Liga. In Germania, infine, solo il Bayern Monaco è sopravvissuto alla tradizione, resistento agli attacchi dell’Amburgo, del Borussia Dortmund e del Werder Brema.

Vestire la maglia numero 10 di una di queste squadre, e farlo per quasi vent’anni, è un’impresa che può riuscire solo ad un campione. Capace di esplodere raccogliendo il numero e l’eredità di un certo Roberto Baggio, forse l’italiano con maggior classe ed eleganza che gli dèi del calcio ci abbiano dato. Superlativo nel mettersi al servizio dei compagni e vicnere tutto quello che c’era da vincere, ivi compresa quella Coppa Intercontinentale di cui qui abbiamo raccontato. Facendo tutto questo con straordinaria semplicità, incantando il mondo con il goal “alla Del Piero”. Un destro a giro dal limite dell’area, con la palla che inesorabilmente s’infila nel “sette”, alle spalle del portiere. Una leggenda nata nel Bel Paese e divenuta realtà la sera del 13 Settembre 1995, al Westfalenstadion di Dortmund, quando Del Piero riceve palla, mette a sedere il nazionale tedesco Kohler e fa partire un’infida parabola che gonfia la rete della porta di Stefan Klos, proteso all’inverosimile per cercare di bloccare la traiettoria del pallone. Ma è impossibile evitare quelle reti, e lo capiranno ben presto quasi tutti gli estremi difensori, da Goram a Casillas, passando per Pagliuca, Julio Cesar e Jens Lehmann, trafitto nei secondi finali della semifinale Mondiale del 2006.


Me lo consigliò Ronaldo, lo voleva al suo fianco: inutile comprare tanti giocatori, basta prendere Del Piero e saremo fortissimi. Però non fu possibile imbastire la trattativa”.

Alessandro è una persona straordinaria, un giocatore fantastico e dalla grande umanità. Un professionista esemplare fuori e dentro il campo. Come calciatore mi rifiuto di spiegare le sue qualità perchè note e sotto gli occhi di tutti”.

Certo che Del Piero non invecchia veramente mai! E’ diverso da Zidane, a lui piace giocare, lo sente nell'anima; tra lui e il francese, scelgo lui”.

Quando parlano così di te due acerrimi rivali come Moratti e Ronaldo; uno straordinario tecnico come Marcello Lippi; ed un certo Diego Armando Maradona, allora vuol dire che hai fatto davvero qualcosa di incredibile. Ed in effeti Del Piero è stato un giocatore incredibile, per giocate e Palmàres, per carisma e continuità. Quando indossi la maglia della Juventus non ti viene chiesto di giocare bene o di entusiasmare, ma vincere. Il secondo posto è un fallimento, una stagione da buttare. Diventare il trascinatore, il leader, di una squadra del genere per vent’anni significa avere qualcosa di speciale. Una scintilla che si accende nei momenti più bui, come dopo la finale di Euro 2000, quando un suo errore sottoporta lo portò sul banco degli imputati per la sconftta azzurra. O come dopo la vittoirosa spedizione in Germania, quando fu il primo a non abbandonare la nave dopo la retrocessione in cadetteria, portando altri grandi campioni a fare una scelta di cuore.
Un fuoriclasse della Juventus e del calcio, cosacrato da compagni, avversari e dai tifosi. L’immagine del Santiago Bernabèu in piedi ad applaudirlo, dopo la fantastica doppietta del 2008, è forse uno dei momenti di sport più belli che io abbia mai visto. Il calcio come momento di aggregazione sociale, di gioia, di puro e semplice divertimento. Come quel sorriso dopo la rete al River Plate, con l’aria di chi sa di avercela fatta.

17 novembre 2013

Storie di calcio: Real Madrid-Valencia, la notte di Raùl

Ha vinto la tradizione, l' esperienza e la classe del Real. A Parigi non c' è stata partita se non per una mezz' ora tra la più titolata squadra d' Europa e un avversario schiacciato dalla responsabilità di misurarsi con la storia della coppa Campioni”.

Impossibile negare che il Real Madrid sia la storia stessa del calcio europeo, come accennato dall’inviato della Gazzetta dello Sport. I blancos hanno sempre avuto un feeling speciale con l’Europa, e la finale di Parigi lo ha confermato per l’ennesima volta. E’ stata la partita di Raùl, un campione immenso, per cui ho sempre provato profonda ammirazione. In campo e fuori. Il Valencia di Cuper rappresentava invece il nuovo che avanza, una squadra senza una profonda tradizione che cerca di sedersi al tavolo dei grandi. Senza riuscirvi, nonostante possa godere di grandi giocatori.
Real Madrid e Valencia arrivano all’appuntamento chiave della stagione dopo una vera e propria maratona europea. La Champions del 2000, infatti, prevedeva due gironi eliminatori, un format concepito per esaltare lo spettacolo.

I madrileni, dopo aver superato agevolmente il primo girone come primi della classe, se la devono vedere con Bayern Monaco, Dinamo Kyev e Rosenborg. La qualificazione dei due top club è abbastanza scontata, ma le scoppole che il Real si becca dai bavaresi aprono sinistre crepe a Valdebebas. La sconfitta per 2-4 patita al Bernabeu, sotto i colpi dell’ex Roma Paulo Sergio, di Fink, Effenberg e Scholl è fragorosa come l’incedere di un’onda sullo scoglio.
Nei quarti di finale c’è il Manchester United di Ferguson, una squadra fortissima. L’impresa ad Old Trafford, di cui ho già parlato, parla da sola. La magia di Redondo, nell’azione dell’assist per Raùl, è una di quelle cose che poche volte ti capita di vedere. Un colpo di genio, che ti fa spellare letteralmente le mani dagli applausi. In semifinale, però, c’è di nuovo il Bayern Monaco. I pronostici son tutti per i tedeschi, capaci di calpestare il Madrid con otto reti nel secondo girone. Del Bosque studia la partita e impara dai suoi errori. Reintegra il francese Anelka, una testa matta zeppa di talento, e lo manda in campa. Il centravanti risponde presente dopo appena quattro minuti, spianando la strada ai blancos. Nella notte del Bernabeu è un autorete di Jeremies a chiudere partita e qualificazione. Il Bayern ce la mette tutta nella gara di ritorno, ma ancora Anelka regala il goal qualificazione, che per la casa blanca significa finale.

Il Valencia si avventura in Europa con la voglia di stupire, senza pressioni. Nessuno li mette nel novero dei favoriti, ma Raùl Hector Cùper ha a sua disposizione giocatori di livello mondiale. Inseriti in un girone tosto, con Bayern Monaco, Glasgow Rangers e Psv Eindovhen, i bianchi spagnoli stupiscono tutti. Vincono il girone, senza mai perdere con i bavaresi, ed arrivano al secondo girone eliminatorio come teste di serie. Il Manchester United incrina le certezze di Cùper con un secco 3-0, ma gli spagnoli riescono comunque a qualificarsi agevolmente, avendo la meglio sulla Fiorentina di Batistuta e Rui Costa e sui francesi del Bordeaux.
Nei quarti di finale la sfida è di quelle impari, con la Lazio poi campione d’Italia di Sven Goran Eriksson. Il Valencia impartisce una vera lezione di calcio ai romani, archiviando la qualificazione nel fortino del Mestalla. Cinque reti che rimbombano in Europa come il corno che suona prima di una battaglia. I trascinatori della squadra sono un basco, Mendieta, due spagnoli, Gerard e Farìnos, ed un attaccante di straordinario talento, Claudio “El Pjojo” Lopèz. In semifinale la corsa del Valencia sembra destinata a terminare, nel derby spagnolo con i blaugrana del Barcellona, guidati in campo da Rivaldo e Figo ed in panchina dal santone olandese Louis Van Gaal. Una doppietta di Angulo e le firme dei soliti Mendieta e Claudio Lopez archiviano per i valenciani la finale già nella gara di andata, dove Cùper vince la partita a scacchi con Van Gaal, nemmeno fosse quell’Antonius Block di Bergmaniana memoria.

Si arriva così alla notte del 24 Maggio, in una cornice favolosa come il Sant Denis di Parigi, stadio che ha ospitato la vittoria Mondiale della Francia sul Brasile. Un campo dove i campioni si esaltano, scrivono pagine di storie del calcio. Nel 1998 è stato Zidane ad abbagliare il pubblico francese con le sue giocate; due anni dopo sono i fuoriclasse del Real Madrid, che annichiliscono la generosa compagine valenzana. E non poteva essere altrimenti quando puoi schierare, fra gli altri, Iker Casillas, Roberto Carlos, Steve McManaman, Fernando Redondo e Raùl Gonzalez Blanco.
Il numero 7, vicecapitano quella sera, è stato un centravanti leggendario, unico. Fabio Capello, un allenatore generalmente avaro nei complimenti, ha definito lui e Del Piero i giocatori più forti e decisivi che abbia mai allenato. Io non so se questo sia vero, perché nella sua “scuderia” Capello ha avuto fior di campioni, ma l’italiano e lo spagnolo hanno rappresentato due modelli di sport. Giocatori formidabili, fuoriclasse. Fuori dal campo uomini veri, sportivi encomiabili ed esempio per grandi e piccini. Raùl è stato senza ombra di dubbio il calciatore spagnolo più forte che io abbia mai visto. Ancor più di Xavi Hernandex ed Andrès Iniesta, Raùl aveva un carisma ed una incisività paurosi. In grado di freddare il portiere in qualsiasi modo e maniera, è diventato il simbolo del Real Madrid e l’esempio per tutti gli attaccanti spagnoli. Non a caso miglior marcatore di sempre della Casablanca (anche se Cristiano Ronaldo pare destinato a sorpassarlo), anche nella notte parigina, senza la fascia al braccio e con una Champions già in bacheca, Raùl è stato uno dei migliori in campo.

La partita parte sul filo dell’equilibrio, con le squadre che si studiano. Tutti si aspettano un Valencia aggressivo, sfrontato, ma gli uomini di Cùper non sono gli stessi che hanno schiantato la Lazio e il Barcellona. Sono emozionati, quasi intimoriti di fronte ai madrileni, che giocano più sciolti e rilassati. Il primo tempo sembra scivolare tranquillo, senza emozioni. Le squadre non hanno creato palle goal significative, si sono rispettate e hanno duellato a metà campo. Proprio da uno di questi scontri nasce una punizione, una manciata prima dell’intervallo. Sul pallone va Roberto Carlos, terzino brasiliano dal mancino fulminante. La distanza è tanta, ma il difensore prova ugualmente la conclusione. La palla rimpalla sulla barriera e dopo un batti e ribatti al limite dell’area di rigore, sulla destra, parte un cross. E’ Raùl a metterla al centro, dove il più lesto di tutti è Fernando Morientes, che ruba il tempo ai centrali valenciani e batte l’ex compagno Canizares.
Le squadre vanno al riposo sull’1-0, una doccia fredda per i ragazzi del tecnico argentino, che hanno l’obbligo di provarci, di reagire. La seconda frazione parte con il Valencia che cerca di fare la partita ed il Real che attende e riparte veloce, lesto. Sugli sviluppi di un calcio d’angolo, al 67’ la seconda secchiata d’acqua gelida sul Valencia. Dopo alcune respinte della difesa la palla si impenna e finisce al limite dell’area di rigore, dove arriva il centrocampista inglese McManaman. Il numero 8 si coordina in un istante e delizia il mondo con un gesto tecnico di rara bellezza, una “bicicletta” micidiale. Finta il tiro col sinistro e, in aria, colpisce con il collo del destro, insaccando alle spalle di un immobile Santiago Canizares.
Il Valencia a questo punto recita la parte di uno scolaretto balbettante di fronte al professore. Paralizzati dall' emozione e incapaci di esprimere quel gioco scintillante che gli ha portati a Parigi, Claudio Lopez e compagni consegnano il trionfo ad una squadra che si è dimostrata più pratica, risoluta ed esperta. Come squadre e sul piano dei singoli il Real ha dominato, vincendo quasi tutti i duelli. Nella ripresa ,quando il Valencia si è sbilanciato in avanti per pareggiare il gol di Morientes, Redondo e McManaman hanno spadroneggiato a centrocampo; Roberto Carlos ha imperversato sulla sua fascia ed Helguera ha chiuso a doppia mandata la difesa, rendendo sterile ogni tentativo portato da un Pjojo Lopez abbandonato al suo destino.

In avanti Raul ha fatto da guida sapiente per Morientes e Anelka, fino al momento in cui ha voluto porre il sigillo della sua classe sulla gara con un gol entusiasmante. Partito dal suo centrocampo, si è involato indisturbato verso la porta avversaria. Uno sguardo al portiere, un leggero rallentamento della sua corsa e “oop”,un dribbling formidabile per metterlo a sedere. La palla accarezzata dal numero 7 è magnifica, il suo sinistro dolce ed educato sposta il pallone quel tanto che basta per trovarsi davanti ad uno specchio della porta completamente vuoto, senza mai perderne il controllo. Il goal è il coronamento di una partita superlativa, una delle tante giocate dal campione spagnolo.
Ha vinto la tradizione, l' esperienza e la classe del Real. A Parigi non c' è stata partita tra la più titolata squadra d' Europa ed un avversario schiacciato dal peso dell’inesperienza e dalla responsabilità di misurarsi con un trofeo nemmeno sognato a inizio anno. È l' ottavo trofeo che il Real Madrid alza al cielo, dimostrando per l’ennesima volta la simbiosi naturale stabilitasi fra il club madrileno e la Champions League, grazie anche ai cinque successi consecutivi nelle prime cinque edizioni. Per far capire a tutti che non si vive di soli ricordi, ecco l' ottavo trionfo, il primo del nuovo millennio. Come dire: siamo il Real Madrid e continueremo per sempre a scrivere la storia.

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