Esperto di Calcio

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30 gennaio 2015

Cuadrado, London calling

La cessione di Cuadrado al Chelsea è probabilmente l'operazione di mercato più importante di questa sessione invernale. Quando Josè Mourinho vuole un giocatore se lo va a prendere, non ci sono indugi o quant'altro. Il colpo del Chelsea è stato dipinto dai media nostrani come "l'ennesima conferma che il nostro calcio è di secondo piano". Io, però, la penso in maniera leggermente diversa.
E' innegabile che stiamo vivendo un periodo in cui l'appeal delle nostre grandi squadre (e del campionato in genere) non è ai massimi storici, tuttavia penso sia giusto ridimensionarci per poi ripartire più forti di prima. Insomma, quello che hanno fatto in Germania nel corso dell'ultimo decennio. Il calcio è un gioco semplice e tremendamente bello, fatto di programmazione, sudore, impegno e dedizione. Se bastasse scucire denaro per vincere sceicchi, petrolieri e milionari russi avrebbero le bacheche intasate di trofei, ma non mi risulta.

Andando controcorrente, quindi, dico che la cessione di Cuadrado non è un male, né per il calcio italiano né per la Fiorentina. Certo, perdiamo un giocatore molto forte e spettacolare, che compie però 27 anni e che, fino ad oggi, non è mai stato decisivo. La sua velocità, i suoi dribbling, i suoi goal, sono sempre stati un valore aggiunto per lo spettacolo, ma quasi mai hanno pesato sui risultati della Fiorentina. Cuadrado è sempre stato un calciatore essenziale nello scacchiere di Montella, ma più per la sua imprevedibilità che per il reale apporto dato al gioco della "Viola". Il risultato era un formidabile corpo estraneo alla squadra, capace di tirare fuori dal cilindro numeri d'alta scuola o risultare fuori dall'idea tattica di squadra. Nella batteria di solisti alle spalle di Diego Costa, formidabile centravanti spagnolo, Cuadrado ha tutte le possibilità di fare grandi cose, ma per conquistare il cuore di Mourinho dovrà sudare e sacrificarsi, disciplinarsi ed ascoltare. La Premier League non è la Serie A, ed un vecchio amico del colombiano, al secolo Stevan Jovetic, glielo avrà sicuramente già detto.

Una cifra importante, dicevo. Ma soprattutto un'operazione impossibile da bloccare. Quando metti una clausola rescissoria il coltello non lo hai più dalla parte del manico. O meglio, lo hai avuto stabilendo la cifra di vendita, e questo dovrebbe portare una reciproca soddisfazione per le parti.
Nel caso specifico parliamo di una cifra importante, 35 milioni di euro. La Fiorentina, che sul valore del ragazzo è stata irremovibile, è riuscita a chiudere l'operazione come meglio non avrebbe potuto. Ha rinunciato a qualcosa nella parte cash (33,4 milioni anzichè 35), ma ha compensato in maniera intelligente e pragmatica. Il prestito di Salah, con tanto di ingaggio pagato, toglie le castagne dal fuoco a Montella, che si trova bello che pronto il sostituto. La società avrà quindi il tempo di muoversi, di vagliare le opzioni tecnico-tattiche migliori per il futuro della squadra. E sappiamo tutti che Macia non è uno sprovveduto.

Sei mesi di tempo per capire quale possa essere il futuro tattico della squadra, si diceva. Ma anche sei mesi per capire se Montella resterà o no sulla panchina gigliata. Nel caso lasciasse Firenze, come penso fortemente (direzione Napoli), il nuovo allenatore si troverebbe in dote un bel tesoretto. Investire ora parte dei milioni incassati, quindi, sarebbe controproducente. Sia perchè il mercato di gennaio è storicamente poco conveniente, sia perchè il futuro della Fiorentina ha più di un punto interrogativo. La cessione di Cuadrado, ad ogni modo, era abbastanza inevitabile. E allora meglio venderlo bene ora, prendendo tanti soldi, un buon giocatore e prendersi il tempo necessario per riflettere e reinvestire. L'ultima volta che Macia ha avuto il tempo di farlo ha portato a Firenze gente come Gonzalo Rodriguez, Borja Valero e Pepito Rossi, non proprio nomi di secondo piano.

12 gennaio 2015

Storie di calcio: Seedorf-Inzaghi, i numeri non mentono

Io sono un grande estimatore di Seedorf, questa premessa è doverosa farla. L'ho sempre apprezzato, come calciatore e come uomo di calcio, e continuo a pensare che la sua intelligenza potrebbe fare benissimo al nostro sistema sportivo ed ai giovani talenti.
Detto questo, sono i numeri quelli che vanno analizzati, e ad oggi dicono che il tanto vituperato olandese, messo in panchina con ancora le scarpette da calcio ai piedi, ha collezionato 35 punti in 19 partite. 
Il gioco espresso dal suo Milan non era spumeggiante, è vero, ma ha saputo fare di necessità virtù. Ha ereditato una squadra che non si era né scelto né costruito ed ha saputo dargli una sua dignità, facendo un girone di ritorno tutto sommato buono. La società, che fortemente lo aveva voluto e blindato con un contratto fino al 30 Giugno 2016, non lo aveva aiutato sul mercato. Seedorf si era infatti trovato per le mani la rosa a disposizione di Allegri con l'aggiunta di Adil Rami, che oggi gioca e non gioca, ed il marocchino Taarabt. In aggiunta aveva a disposizione Balotelli, universalmente riconosciuto come una mela marcia in quel di Milanello, ma era orfano di El Shaarawy, intento a curarsi dai suoi misteriosi mali di gioventù.

Ecco, nonostante tutte queste difficoltà e la totale assenza di esperienza da allenatore, Seedorf aveva portato in dote 35 punti, frutto di 11 vittorie, 2 pareggi e 6 sconfitte, tre delle quali contro Napoli, Juventus e Roma. In Champions League era sì uscito subito agli ottavi, ma contro quell'Atletico Madrid che per un soffio non era riuscito ad alzare la coppa nel derby con il Real. Insomma, non male per un debuttante.


In estate, però, Seedorf è stato allontanato in favore di Pippo Inzaghi, vero pupillo dell'amministratore delegato Adriano Galliani. Pippo, maturato come tecnico lavorando con gli allievi prima e la Primavera poi, è chiamato sulla panchina rossonera con un chiaro intento: riportare il Milan in Europa. E tutti quanti sappiamo che per il Milan esiste una sola competizione europea, la Champions League. Per farlo la società non ha investito cifre massive sul mercato, ma ha saputo comunque regalare alcuni colpi niente male. In porta arriva Diego Lopez dal Real Madrid, un estremo difensore capace di togliere il posto ad Iker Casillas. La difesa è puntellata con l'acquisto in pompa magna dell'esperto centrale brasiliano Alex ed Armero, pur sempre il terzino sinistro titolare di un'ottima nazionale come la Colombia. A centrocampo il tassello giusto è Giacomo Bonaventura, talento italiano da troppo tempo sottovalutato. Accanto a lui arriva il promettente Van Ginkel, olandese scuola Chelsea.
Ma è in attacco che la società riserva i suoi fuochi d'artificio, cedendo Balotelli (con il benestare assoluto dell'allenatore) ed acquistando Jeremy Menez e Fernando Torres, non proprio nomi da poco. Con un El Shaarawy in più, finalmente ristabilito, la differenza in termini di rosa è palese, difficile sostenere il contrario. Se poi pensiamo che oggi, a mercato ancora aperto, è arrivato anche Cerci e si fanno i nomi di Destro e Osvaldo, il confronto è impari.

Eppure con materiale migliore, maggiore esperienza ed un'intera preparazione estiva per plasmare la squadra, i punti a referto sono meno. Anche vincendo l'ultima di andata, Inzaghi avrebbe portato in dote 29 punti, frutto di 7 vittorie (una ancora da ottenere), ben 8 pareggi e 4 sconfitte. Sul piano del gioco, poi, non si è visto alcun miglioramento. Tolti gli exploit di inizio torneo, infatti, i rossoneri hanno espresso un gioco scialbo, una difesa poco solida ed un attacco totalmente dipendente dalla giornata di Menez, unico vero trascinatore del Diavolo. Gli unici acuti sono stati quelli contro Napoli e Roma, poco prima della sosta natalizia, svalutate dalle nette sconfitte casalinghe con Sassuolo e Palermo, ed i pareggi contro le pericolanti Cagliari, Empoli e Cesena. Così facendo la Champions League è un miraggio. 

9 gennaio 2015

Storie di calcio: salvate il soldato Osvaldo

Sguardo da divo di Hollywood, capello curato, carattere fumantino. Descritto così non sembrerebbe quasi un calciatore, eppure i numeri del grande attaccante li ha tutti. Pablo Daniel Osvaldo, italo-argentino classe '86, è uno di quei talenti che difficilmente passano inosservati. La sua forza sta nel modo in cui gioca a pallone e nella cattiveria con la quale punta le difese avversarie. Fare goal, per lui, non è mai stato un problema, anzi. Il suo limite sta invece in un carattere difficile da domare, in quello sguardo che esprime chiaramente il suo essere poco incline alle regole, agli schemi.
Sulle qualità di Osvaldo nessuno ha mai avuto da ridire. Tutti i suoi allenatori, ivi compreso l'attuale commissario tecnico dell'Italia, ne hanno sempre scorto il grande potenziale, fisico, tecnico e tattico. Eppure, nonostante le sue doti siano fuori dal comune, ha sempre faticato ad integrarsi in un ambiente, a diventare il vero leader del reparto avanzato.

Cresciuto in Argentina nel Lanùs, Osvaldo esplode con la maglia dell'Huracan, mettendo a segno 11 reti nel campionato albiceleste a soli 19 anni. L'Atalanta si accaparra le sue prestazioni e di lì in avanti inizia un lungo peregrinare per l'Italia, fra Lecce, Firenze e Bologna.
A 24 anni l'occasione di mettersi in mostra in un grande torneo gliel'ha regala l'Espanyol. A Barcellona il talento di Osvaldo deflagra letteralmente, mettendo a referto 22 reti in poco più di 15 mesi. Nella Liga segna e fa segnare, fa reparto e aiuta i compagni. Sembra finalmente sbocciato il talento che tutti gli addetti ai lavori si aspettavano. 
Nel 2011 lo riporta in Italia l'ambiziosa Roma di Luis Enrique, che lo pone in mezzo ad un tridente con Totti e lo spagnolo Bojan Krkic, appena arrivato dal Barcellona. In men che non si dica Osvaldo si conquista il posto da titolare a suon di reti, diventando insostituibile nello scacchiere tattico del tecnico catalano. Ma l'avventura di Luis Enrique a Roma dura poco, e con il suo esonero iniziano i primi problemi per Osvaldo, messo in discussione dal traghettatore Andreazzoli. In tempo zero viene fuori il più classico dei pandemoni alla Osvaldo, con tweet, urla e liti.
L'estate successiva approda in giallorosso Zeman. Fra i due è amore al primo sguardo, perchè Osvaldo è "una forza della natura" a detta del boemo. Il centravanti vive una stagione sublime, mette a referto 17 reti ma continua a non avere un rapporto idilliaco con la piazza romanista. La relazione scoppia con l'allontanamento di Zeman, suo massimo sponsor, e l'approdo di Rudi Garcia alla corte romanista. 
L'inevitabile trasferimento porta il bomber in Inghilterra, al Southampton. Dopo un inizio scintillante ed un paio di reti da fantascienza, l'idillio finisce. E così Antonio Conte lo porta alla Juventus dove fa in tempo a vincere uno Scudetto con goal sotto la curva Sud della Roma e dito sulla bocca a modi scherno. Sembra un ragazzo nuovo, sta in panchina e non fa polemiche, gioca e ha un bel rapporto con i compagni e con l'allenatore. L'epilogo, anche in questo caso, non è dei migliori. Conte lascia la Juventus e Marotta preferisce investire su Alvaro Morata, lasciando Osvaldo a Southampton.

E arriviamo ai giorni nostri, con il centravanti che accetta le lusinghe dell'Inter e si mette a disposizione di Mazzarri. Fra i due la stima è totale, la sintonia è ai massimi storici. La squadra non è ai vertici, ma Osvaldo gioca e si diverte. Mette a segno reti meravigliose e sembra trovare una buona intesa con Icardi. Nel mentre, fra un infortunio muscolare e qualche sconfitta di troppo, l'Inter cambia guida tecnica e riaffida la panchina a Mancini.
La fine dell'amore fra Osvaldo e i nerazzurri si consuma in una fredda sera torinese, a pochi minuti dalla fine del derby d'Italia. L'Inter parte in contropiede con Icardi e Osvaldo si propone in profondità. Il numero 9 alza la testa, vede il compagno ma decide di non servirlo e fare tutto da solo. Il risultato è un tiro inguardabile sul fondo, e a Osvaldo parte l'embolo. Corre contro Icardi ed il solo intervento di Guarin impedisce che i due argentini arrivino alle mani. Mancini, da par suo, redarguisce il solo Osvaldo, che ovviamente non la prende bene. 
Sembra finito tutto con il fischio finale, ma pare non sia così. Negli spogliatoi, stando ai bene informati, volano parole grosse fra il tecnico e il centravanti. La rottura è insanabile, definitiva. 
Lungi da me giustificare le mattane di Osvaldo, ma in un contesto simile è stato scriteriato riprendere solo uno dei due. L'errore di Icardi è stato marchiano e figlio di un egoismo altamente negativo. Un grande attaccante sa quando passare il pallone e quando fare tutto da solo, da questo punto di vista Icardi deve maturare ancora molto. Fra i due, comunque, era questione di giorni prima che un possibile conflitto esplodesse.
E adesso? Osvaldo è un separato in casa, ma potrebbe fare al caso di molte squadre. Per lui sarebbe l'ultimo treno di una carriera che poteva essere diversa. La sua luce si è fatta fioca e come giocatore sembra destinato a passare alla storia come un ragazzo dal grande potenziale che non è mai riuscito ad esprimersi. A meno che non approdi al Torino, dove sono sicuro potrebbe diventare un idolo incontrastato e risollevare le sorti dei cugini granata. Ma per ora è solo una suggestione...

8 gennaio 2015

Storie di calcio: non è un paese per vecchi (o forse sì?)

L'ho detto una volta e non mi stancherò di ripeterlo, il male del nostro calcio non va ricercato sul campo o nei fondi di investimento. Ciò che ha reso il nostro movimento meno forte di un tempo è la programmazione sbagliata. Troppo spesso ci troviamo di fronte a grandi dirigenti, o presunti tali, che si lasciano sfuggire giovani di belle speranze o campioni in divenire. Ed il più delle volte lo fanno in favore di ragazzi che non hanno né il talento né il pedigree dei giovani italiani. Il risultato che scaturisce da questa scuola di pensiero è un campionato scialbo, ricco di stranieri sopravvalutati e zeppo di giovani promesse nostrane confinate in provincia, dove lottano con le unghie e con i denti pur di accaparrarsi una maglia da titolare nella massima serie.

Partiamo dagli estremi difensori, ruolo nel quale la scuola italiana è da sempre maestra. Tolti Buffon e Handanovic, oggettivamente un gradino sopra tutti, i migliori portieri del nostro torneo si stanno dimostrando Perin, Sorrentino, Sportiello e Consigli. E guarda caso giocano tutti e quattro in compagini di grande tradizione ma lontane dalle lotte Scudetto o Champions League. Eppure non vedo grossi talenti nelle piazze più famose del "bel paese".
A Napoli hanno preferito investire 5 milioni di euro per un mediocre portiere come Rafael (non me ne vogliano gli amici napoletani, avrà fatto anche vincere una Supercoppa ma fra i pali è da brividi) piuttosto che coltivare in casa un talento cristallino come Sepe, un anno più giovane del brasiliano e grande protagonista nell'Empoli di Sarri.
Il Milan, che cercava l'erede di Abbiati, ha acquistato dal Real Madrid lo spagnolo Diego Lopez. Il numero uno rossonero è un calciatore di sicuro affidamento, ma la sua carta d'identità (1981) non garantisce al Diavolo la certezza di un quinquennio ai massimi livelli. Certezza che sarebbe stata assicurata da Perin o Consigli, che al momento fanno miracoli a Genova e Sassuolo pur di guadagnarsi la chiamata di un grande club o della Nazionale. E lo stesso discorso vale per Sorrentino, estremo difensore di sicuro affidamento che non ha mai avuto l'occasione di giocare in un top team, a discapito invece di presunti fuoriclasse.

Per i giocatori di movimento il discorso è analogo, con l'aggravante di aver importato un numero massiccio di stranieri mediocri. Ben vengano campioncini come Dybala, Vazquez, Kovacic e Cuadrado, non sono certamente loro il problema. Il nocciolo della questione risiede nella miopia dei grandi dirigenti del nostro calcio, che non riescono a vedere le potenzialità dei nostri ragazzi cresciuti a pane e calcio nei vivai dello stivale. E ci troviamo di fronte ad inspiegabili fenomeni di mercato in cui i club più blasonati investono svariati milioni per avere gente come Vidic, Alex, Medel, Torres, Cole, Romulo e David Lopez. Giocatori onesti che fotografano perfettamente il motivo per cui la Serie A non ha più l'appeal di un tempo. E non è una mera questione economica, perchè questi giocatori prendono stipendi milionari pur non dando un reale contributo alla causa.
E allora dopo sei mesi di campionato ti guardi in giro e scopri che Zaza e Berardi sono due grandi giocatori, ma che la Juventus ha preferito lasciarli a Sassuolo in vista di un futuro (forse) riscatto. E intanto Allegri lotta con una squadra che ha difficoltà ad andare in rete e che più che di un Romulo o di un Morata avrebbe avuto bisogno dei suoi giovani talenti in provincia.
Oppure noti che in difesa, laddove sono stati acquistati Richards, Alex e Vidic o dove trovano spazio Campagnaro, Rami e Maggio, ci sono giovani italiani che valgono più di loro. Rugani, Tonelli, Romagnoli, Zappacosta, Darmian, Rossettini..ragazzi validi e mai presi in considerazione nelle manovre di mercato. Si potrà obiettare che Rugani è di proprietà della Juventus, ma nessuno è andato a chiedere il prezzo del suo cartellino, e forse un motivo ci sarà.
La ragione è la stessa che ha portato quasi per caso un grande centrocampista come Bonaventura alla corte del Milan. Acquistato l'ultimo giorno di mercato come ripiego dell'affare Biabiany, l'esterno di scuola Atalanta si è conquistato la maglia da titolare a suon di grandi prestazioni, mettendo in ombra più quotati compagni. Ma per un Bonaventura che ce la fa, ci sono tanti Baselli, Bertolacci e Verdi che non trovano lo spazio che meriterebbero.

Viviamo in un paese dove i giovani non trovano lavoro, dove esistono gli stage non retribuiti e le collaborazioni in nero. Almeno nello sport, tutto questo, non dovrebbe esistere. Il calcio, lo sport in generale, dev'essere lo specchio della meritocrazia. Gioca e si mette in evidenza chi merita, non chi ha il procuratore migliore o chi può essere l'investimento giusto per il futuro economico della società. Ben vengano i giovani fuoriclasse, di qualunque nazione siano, ma anche giocatori d'esperienza come Perotti e Borja Valero. Ciò che non tollero è vedere i nostri club fare aste folli per mediocri giocatori dal sontuoso pedigree, giusto per accontentare il tifoso medio e far bella figura con il consiglio di amministrazione. Non è questo il calcio che voglio. E come me i milioni di italiani che amano questo sport, fatto di velocità, classe, tecnica, estro ed inventiva. 
Rivoglio i tempi in cui la classifica marcatori era dominata da Signori, Baggio, Del Piero, Chiesa e Montella, con Ronaldo, Crespo e Batistuta a sfidarli. Questo è il calcio che voglio, quello fatto dai grandi talenti italiani ed i fuoriclasse stranieri. Prima i nostri dirigenti lo capiranno, prima il nostro calcio si risolleverà e tornerà ad essere leader in Europa e nel mondo.

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