"Mercenari". Una ignobile etichetta per dei campioni che hanno portato il club sul tetto del mondo. Più vado avanti e più penso che il tifo organizzato, da qualunque nazione provenga, sia uno dei mali di questo sport.
Ripercorriamo i fatti: dal 2008 al 2013 il Barcelona non si limita a vincere, ma stravince. I blaugrana cambiano la concezione di calcio, un po' come l'Ajax di Cruijff o il Milan di Sacchi; Guardiola non si limita a raccogliere l'eredità vincente del Barcelona di Rijkaard, impartisce ai catalani una nuova filosofia. Non tutti hanno amato o amano il tiki-taka (ammesso e non concesso che si scriva in questo modo), ma è senza dubbio innegabile che questa filosofia di gioco abbia regalato partite emozionanti, vibranti. Tanto in Liga quanto in Champions, il Barcelona si è imposto come il club più vincente del nuovo millennio.
I tifosi, estasiati dalle giocate di campioni del calibro di Xavi, Iniesta e Lionel Messi, hanno negli anni gremito il Camp Nou ed arricchito la società ed il marchio catalano. La squadra li ha ripagati sul campo, conquistando titoli a profusione, in Spagna, Europa e nel mondo.
Nell'estate 2011 Pep Guardiola saluta la Catalogna designando un successore: Tito Vilanova. Il tecnico iberico, storico vice di Pep, guida la squadra con lo stesso gioco del predecessore. Possesso palla e giocate di alta scuola confermano il Barcelona come il club dominatore in Spagna. In Champions il cammino non è quello dei vecchi tempi, ma è solamente il super Bayern di Heynckes a spegnere la corsa blaugrana verso l'ennesimo alloro europeo. Tito, però, è tartassato dalla sfortuna. Un tumore lo porta a rinunciare alla panchina del Barcelona, che la dirigenza decide di affidare per la prima volta dopo anni ad uno straniero. Il Barça non è nuovo ad affidarsi a manager stranieri, ma è la scuola olandese quella che ha saputo rimpolpare la bacheca della sede. Stavolta, però, il tecnico arriva dall'Argentina, più precisamente da Rosario. Gerardo Martino, soprannominato El Tata, viene ingaggiato alla vigilia della Liga per guidare la squadra.
Martino si siede sulla panchina più ambita di Spagna e le voci si sprecano. I più dicono sia stato lo stesso Messi a volerlo in Catalogna, ma questo, io, francamente non lo so. Di certo mi sono accorto che Martino è entrato nel mondo catalano con i piedi di piombo. La squadra non l'ha fatta lui, ma il materiale a sua disposizione è di primissima qualità. Pronti-via, il difficile non è tanto dare una fisionomia di gioco alla squadra, che potrebbe esprimersi con il pilota automatico, ma far convivere le stelle dell'attacco. Messi è probabilmente il giocatore più forte della terra, e accanto a lui s'inserisce un certo Neymar. All'inizio l'ingaggio del brasiliano sembra un affare, poi viene fuori la verità: l'acquisto di Neymar ha prosciugato le casse blaugrana.
La convivenza fra la Pulce ed il carioca non è semplicissima, ma pian piano funziona. I problemi emergono lentamente, tanto in Catalogna quanto nel resto della penisola iberica. Il Barça vive una stagione sfortunata, perdendo praticamente tutta la difesa nel momento clou della stagione. Valdes si fulmina i legamenti; Puyol e Piquè riempiono l'infermeria. La cerniera difensiva del Barcelona, che non è mai stata il punto forte della squadra, inizia a sgretolarsi. Mascherano, senza una guida, finisce per annegare; Bartra fatica come pochi.
Parallelamente, in Spagna, le due compagini madrileni tornano ai fasti dei vecchi tempi. Il Real si è affidato ad Ancelotti, sinonimo di successo tanto in Italia quanto nel resto del continente. L'Atletico Madrid, fuori dal giro che conta da circa vent'anni, torna ad essere uno squadrone. Simeone plasma i Colchoneros per vincere qualcosa d'importante, dopo essersi bagnato le labbra con Europa League e Supercup.
Si arriva a fine stagione ed il Barcelona è in corsa su tutti i fronti. In Champions l'urna di Nyon mette sulla strada del Tata Martino il connazionale Diego Pablo. L'Atletico spaventa i campioni al Camp Nou; li annichilisce al Calderon. Passano pochi giorni e gli uomini di Martino perdono a Granada, lasciando sul campo andaluso una buona porzione di campionato.
In settimana la goccia che fa traboccare il vaso. Il Barça affronta gli eterni rivali del Real Madrid nella finale della Copa del Rey, un trofeo che dal nome dovrebbe appartenere ai castigliani. Pronti-via è l'argentino Di Maria a portare avanti i madrileni, trafiggendo il solito indecoroso Pinto. Bartra pareggia a metà ripresa, prima di farsi ridicolizzare in accellerazione da Bale, per il goal del definitivo successo blanco.
A questo punto la rabbia dei tifosi deflagra in tutto il suo furore. I tifosi aspettano la squadra e sfogano la frustrazione con insulti e frasi ingrate. Lo stesso Messi, un attaccante a dir poco formidabile, non viene risparmiato. L'insulto più carino è quello di "tenere più alla grana che alla maglia". La vera domanda, però, è come sia possibile tutto questo.
Mi sembra che si stia su un altro pianeta, perchè gli unici mercenari, secondo me, sono i tifosi. Sono loro che tengono più ai successi che alla maglia, festeggiando i trofei e la gloria, per poi dimenticarsi tutto rapidamente. E' nei momenti difficili che i tifosi devono stare accanto alla squadra; è dopo le grandi sconfitte che il vero calciofilo applaude i propri beniamini. Soprattutto se nei dieci anni precedenti quegli stessi giocatori hanno regalato qualcosa come sei campionati e tre Champions League, solo per citare le vittorie più prestigiose.
Ma tant'è..l'ingratitudine sta di casa sulla Rambla. A pagare, come sempre, sarà l'allenatore; ma la società dovrebbe invece dare un forte messaggio ai tifosi, perchè se si mettono a contestare i supporters del Barça, significa che qualcosa, nel calcio, davvero non funziona.
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