"Tutti i ricordi, tutte le gioie, tutti i trionfi e – per dirla tutta – anche qualche recente amarezza… oggi tutte queste immagini mi passano davanti e a un certo punto si appannano e si dissolvono in quell’abbraccio meraviglioso della mia ultima partita a Torino. Quella è la fotografia che racchiude tutto, l’istantanea che voglio portare sempre con me.
I giocatori passano, la Juventus rimane. Rimangono i miei compagni, ai quali auguro il meglio: tiferò sempre per loro. Rimanete soprattutto voi tifosi, che siete la Juventus. Rimane quella maglia che ho amato e amerò sempre, che ho desiderato e rispettato, senza alcuna deroga, senza sconti. Sono felice che altri dopo di me possano indossarla, anche e soprattutto la “10” che da quando esistono i nomi sulle maglie bianconere, ha sempre portato il mio. Sono felice per chi la indosserà l’anno prossimo, sono felice che da qualche parte – in Italia e nel mondo – qualcuno sta sognando di indossarla. E sarei orgoglioso che volesse ripercorrere la mia storia, come io ho fatto con altri campioni, altri esempi, altre leggende.
Da domani non sarò più un giocatore della Juventus, ma rimarrò per sempre uno di voi".
Questa è la storia che più di tutte le altre è permeata di significato, di sentimento. Allo stesso tempo, però, è anche l'unica che avevo paura di scrivere. Raccontare con delle semplici parole cos'è stato Alessandro Del Piero, nella mia vita, non è semplice. Può sembrare retorica, esagerazione, ma quello che io considero ancora oggi "il" capitano è il calciatore che più di tutti gli altri mi ha avvicinato a questo magnifico sport, che ha stabilito un profondo legame fra me e il calcio.
Nel corso dei suoi 19 anni alla Juventus Del Piero è cresciuto, da giovane promessa è diventato un campione affermato, poi un simbolo, una bandiera. Io, che ho iniziato a sognare di emulare i suoi tiri a giro in tenera età, sono cresciuto con lui.
Correva l'anno 1992, un giovane ragazzo veneto si affaccia al grande calcio con la locale maglia del Padova, squadra militante in cadetteria. Ad allenarla c'è Mauro Sandreani, allenatore che non troverà mai grosse fortune in Serie A, ma che porterà sempre con sè il merito di aver lanciato nel grande calcio un ragazzo gracile ma dalla classe cristallina. Quel ragazzo si chiama Alessandro Del Piero, viene da una normalissima famiglia di Conegliano e ha un solo grande sogno: diventare un calciatore. Madre natura non gli ha regalato un fisico fuori dal comune, ma si è fatta perdonare regalandogli classe e tecnica da vendere. In Primavera è inarrestabile, ma la minuta struttura spaventa i grandi club. Il Milan, squadra allora dominante in Italia ed Europa, lo fa visionare ma lo scarta, preferendo puntare su altri giovani. Ad accaparrarselo è la Juventus di Boniperti, che nel 1993 lo porta sotto la Mole.
Agli ordini di Trapattoni vive una prima stagione esaltante, conoscendo il grande palcoscenico della Serie A il 12 settembre, subentrando a Fabrizio Ravanelli nella gara in trasferta contro il Foggia di Zeman, un nome che ricorrerà più avanti nella sua carriera.
Che il ragazzo avesse una marcia in più, del resto, si era già capito ad inizio stagione: se con i pari età Del Piero sembra un extraterrestre, basta una settimana d’autunno per vedere come, con i grandi, si trovi già perfettamente a suo agio. Il 19 settembre 1993 lo Stadio delle Alpi, contro la Reggiana, saluta la prima rete del campioncino padovano.
"È stato un giorno davvero esaltante. Abbiamo vinto, ho segnato la mia prima rete ed era anche l’anniversario di matrimonio dei miei genitori. È stato un giorno speciale in tutti i sensi".
L'exploit di Del Piero mostra a tutti che l'investimento fatto dai bianconeri è stato indovinato, ma per il momento il titolare della maglia numero 10 è Roberto Baggio. Difficile obiettare. Forte del Pallone d'Oro appena conquistato, il "divin codino" è un campione assoluto, di quelli che nascono uno ogni vent'anni. Del Piero lo sa ed entra in spogliatoio in punta di piedi. I numeri li ha, se ne rendono conto tutti fin dai primi allenamenti, ma la strada davanti a lui è ancora irta e faticosa. Ad aiutarlo ci sono l'esperienza di Trapattoni e i consigli di Vialli, che fin da subito lo prende sotto la sua ala protettrice.
Passavano le settimane e la consapevolezza di Del Piero cresceva; di pari passo le presenze in campo. A fine stagione metterà in bacheca 11 presenze e la bellezza di 5 reti, non male per un debuttante. Ancor meglio se pensiamo che le abbia realizzate in soli 403', con una media superiore ad un goal per partita.
In estate Giovanni Trapattoni saluta la Vecchia Signora per accasarsi al Bayern Monaco, nobile del calcio europeo che necessita di essere riportata agli antichi fasti. Sulla panchina della Juventus arriva un toscano con le idee chiarissime, Marcello Lippi. Il feeling fra i due è immediato. Alessandro si dedica anima e corpo agli insegnamenti del nuovo tecnico; Lippi gli concede sempre maggiore spazio. Roberto Baggio resta ancora il titolare, ma nel cuore dell'allenatore e dei tifosi quel giovane padovano inizia ad insinuarsi.
Si sono spese tante parole sul presunto dualismo fra Baggio e Del Piero, su di uno scarso rapporto fra i due. In realtà erano tutte menzogne, allo stato puro. I ragazzi si rispettano, e non potrebbe essere altrimenti. Roberto intuisce subito che dinnanzi a sè ha un fuoriclasse, non l'ultimo arrivato; Alessandro mostra tutto il rispetto dovuto ad un campione assoluto. In allenamento duettano che è un piacere. Chi come me ha avuto la fortuna di vederli insieme sul campo del vecchio "Comunale" di Torino lo sa, sono stati utili l'uno per l'altro. Baggio ha rappresentato per Del Piero l'ispirazione, il simbolo, la leggenda cui aspirare; Alessandro è stato per Roberto la scossa per non sedersi. Lui come Totti sono stati quegli stimoli che lo hanno portato ad essere uno dei migliori di sempre, anche a fine carriera.
Lippi è nuovo sulla grande scena calcistica, ma ha personalità da vendere. Il suo calcio propositivo è basato su un tridente di movimento, composto da Baggio, Ravanelli e Vialli. Alle loro spalle la prima scelta è Del Piero, che complice qualche acciacco di troppo per il "divin codino", mette insieme la bellezza di 29 presenze ed 8 reti. Il numero dei goal non deve trarre in inganno, perchè Alessandro stupisce il mondo in quel 1995 con il suo marchio di fabbrica. Nasce infatti il "goal alla Del Piero". Parte sulla trequarti sinistra, accarezza dolcemente la palla con il destro e punta l'avversario. Scatto improvviso per trovare lo spazio, rientra sul destro e scocca il tiro. La parabola è morbida e precisa, con il pallone che sembra fuori dai pali e piano piano gira e rientra, fino ad insaccarsi sotto l'incrocio del secondo palo. Il volo dell'estremo difensore, proteso con la mano di richiamo, è sempre eluso dall'arcuata parabola.
Al timone della dirigenza juventina è seduta la cosiddetta triade, Moggi, Giraudo e Bettega. I tre fiutano l'affare e a fine stagione, dopo aver festeggiato lo Scudetto, parlano con Lippi. Il tecnico avalla la scelta di puntare su Del Piero e cedere Roberto Baggio, subito accasatosi al Milan di Capello e Berlusconi. Del Piero viene così investito della numero 10, maglia sempre indossata a livello giovanile. Alessandro è felice, può finalmente vestire la casacca portata dal suo idolo, quel Michel Platini che campeggiava sul poster nella sua cameretta.
Molti si spaventerebbero, ma non Del Piero. Si carica la squadra sulle spalle ed incanta il mondo con le sue giocate. Dribbling di alta scuola, verticalizzazioni geniali e goal da applausi. Ne fanno le spese Borussia Dortmund e Glasgow Rangers, letteralmente annichilite nei gironi di Champions League. Già, l'Europa che conta, quella vinta una sola volta e troppe volte sfiorata dalla Signora. Così, mentre il Milan di Baggio festeggia lo Scudetto, la Juventus di Del Piero macina vittorie in ambito internazionale.
Il Real Madrid di Raùl, altro giovane campione, prova a spaventare i bianconeri, capaci di eliminare gli spagnoli grazie ad una punizione del numero 10 ed una rete di Padovano.
Il Nantes non rappresenta un ostacolo reale, che ha invece le sembianze di un olandese rude e deciso: Van Gaal. Nella finale di Roma, infatti, è l'Ajax di Van Der Sar, Davids, Litmanen e Kluivert a partire con i galloni del pronostico. Ai rigori, però, la spunta proprio la Juventus di Del Piero, predicato di calciare il quinto ed ultimo rigore della serie. Ma non è necessario, Peruzzi e Jugovic regalano ai piemontesi la coppa dalle grandi orecchie, lanciando Del Piero nel firmamento.
Di lì in avanti si susseguono incredibili successi e cocenti delusioni. La bacheca si arricchisce di numerosi trofei, ma troppo spesso colorati del solo tricolore italiano. In Europa, infatti, inizia una vera e propria maledizione per Del Piero e per la Juventus. Due consecutive finali di Champions, con la seconda che darà il via al periodo più opaco della sua carriera. Nel maggio del 1998, ad Amsterdam, la Juventus si trova di fronte il Real Madrid. Del Piero e Zidane sono le stelle di quella finale, ma entrambi steccano la partita. Alessandro è stremato, arriva dopo una stagione eccessivamente tirata. Durante il match sente un forte dolore alla coscia, ma tiene duro. Rientrato negli spogliatoi la diagnosi: stiramento alla coscia.
I Mondiali francesi sono alle porte ed il commissario tecnico Cesare Maldini ha riposto in Del Piero gran parte delle sue speranze. Stante la situazione l'Italia porta Roberto Baggio, che risulterà in quella rassegna decisamente più pimpante.
Uscito ai quarti contro la Francia, Del Piero cerca di riposarsi e torna in campo nel settembre del 1998. La Juventus di Lippi, però, non è più la stessa. Del Piero stesso non incide come qualche mese prima, e a inizio inverno il crack. Allo scadere di una trasferta in casa dell'Udinese, Del Piero calcia in contrasto con Bertotto. Il ginocchio si piega in maniera innaturale ed il legamento si spezza. Di lì una lunga riabilitazione, fatta di molte cadute e poche gioie. La difficoltà ad andare in rete, specie su azione; gli scudetti persi all'ultimo minuto contro Roma e Lazio nell'acquitrino di Perugia; la morte del padre. Ma proprio nel giorno in cui la tristezza aleggia nel cuore, il ritorno. Come l'araba fenice, Del Piero risorge dalle sue stesse ceneri. Prende palla sulla sinistra, l'accarezza dolcemente con la sua e salta il suo diretto avversario. Si presenta in velocità di fronte al portiere e lo supera con un tocco sotto delizioso e letale. L'urlo liberatorio, stringendo i pugni e gridando tutta la sua rabbia, è un esplosione di sentimenti, un misto di rabbia e tristezza che Alessandro deve gridare al mondo.
Ripresosi la Juventus, Del Piero torna ad essere il centro del mondo juventino. Fascia di capitano al braccio e numero 10 sulle spalle, Alessandro ristabilisce con Marcello Lippi l'antico sodalizio. Accanto a lui giostra un altro bomber che farà storia, David Trezeguet. I due si stimano e si apprezzano, come uomini e come giocatori. Si completano alla perfezione, tanto da diventare nel corso degli anni la miglior coppia di attaccanti della storia della Juventus.
Come sempre fioccano i successi in campo nazionale, ma la Champions League resta una chimera. Dopo aver "fatto fuori" il Real Madrid di Raùl, Ronaldo, Zidane e Figo, è il Milan di Shevchenko a togliere dalle mani di Alessandro la seconda Champions League della sua carriera, la prima che avrebbe potuto alzare come capitano.
Nemmeno l'approdo di uno specialista in Europa come Fabio Capello cambia le cose, anzi le peggiora. La Juventus esce prematuramente due anni su due; Del Piero fatica a trovare spazio fra i titolari. Capello gli preferisce Trezeguet e Ibrahimovic, ma ogni volta che il capitano mette piede in campo lascia il segno. Le prestazioni gli valgono la chiamata dell'antico maestro Lippi al Mondiale tedesco. Se nel 1998 il dualismo era con Baggio, nel 2006 lo vive con Francesco Totti, che parte quasi sempre con i galloni del titolare. Lippi ha però massima fiducia in Del Piero, che lo ripagherà con un fantastico goal nella semifinale con la Germania. All'atto conclusivo, poi, è suo uno dei cinque rigori che ci regalano la Coppa, e la gioia nei festeggiamenti romani al Circo Massimo è palpabile.
Nel frattempo Del Piero vive una situazione molto particolare, come tutti i bianconeri. La Juventus, per via di Calciopoli, è retrocessa. La squadra (o per meglio dire la corazzata) di Capello viene smantellata e parte l'inevitabile esodo. Il primo ad accettare di scendere in B con i colori del suo cuore è proprio Del Piero, che fin da subito rincuora i tifosi. La scelta del capitano spinge le altre bandiere, Trezeguet, Buffon e Nedved a restare. Insieme fanno partire la ricostruzione della Juventus, partendo da un'assolata trasferta di Rimini.
La Serie B è visto da tutti come una sorta di Purgatorio, e Del Piero suona la carica in un ambiente depresso, a tratti abbattuto. La presenza del suo uomo simbolo rinvigorisce la juventinità di Torino, che si immedesima ancor di più nel suo numero 10. Il capitano risponde con prestazioni sublimi ed un titolo di re dei cannonieri che fino a quel momento non aveva mai vinto.
Il ritorno nella massima serie è contraddistinto da difficoltà ed un pronto rientro nell'Europa che conta.
Decisivo per tutta la stagione risulta ancora una volta Del Piero, capace di festeggiare per il secondo anno di fila il primato nella classifica marcatori, battendo sul filo di lana Trezeguet. A testimoniare lo straordinario legame e rapporto che intercorre fra i due, ecco l'ultima partita in quel di Genova. I due lottano per il titolo e alla Juventus viene assegnato un calcio di rigore. Sul dischetto va Del Piero, goal. Poco dopo un secondo tiro dagli undici metri, l'occasione perfetta per il veneto di consolidare la leadership. E' però lui che prende il pallone e lo porta a David, che scaglia un destro potente nel sacco. L'abbraccio fra i due, che chiuderanno appunto primo e secondo, è una pagina di sport bellissima.
L'anno successivo è sempre Alessandro il faro del gioco bianconero, anche se al suo fianco non gioca più lo spietato centravanti francese.
"Caro David,
è arrivato il momento di dirsi ciao. Ho perso il conto delle stagioni che abbiamo giocato insieme e dei gol che abbiamo fatto. Di sicuro, siamo la coppia che ne ha segnati di più nella storia della Juventus, più di Charles e Sivori – due immensi campioni - e questo lo sai bene è un grande orgoglio per entrambi.
Quante formazioni in questi anni finivano così: Del Piero e Trezeguet, Trezeguet e Del Piero. Quante vittorie, quante delusioni (per fortuna, molte meno delle soddisfazioni che ci siamo tolti), quanti abbracci: non c’è altro compagno con cui io abbia giocato di più.
Diciassette gol all’anno di media, come il tuo numero di maglia: questo basta per dire che bomber sei. Ma per me che ho giocato al tuo fianco, non c’è bisogno di numeri. Ritengo sia stato un onore fare coppia in campo con uno dei più grandi attaccanti del mondo, in assoluto.
Adesso le nostre strade si dividono, nel calcio succede. Ti saluterò nello spogliatoio, ma mi fa piacere farlo anche pubblicamente: in bocca al lupo per la tua nuova avventura. Avremo tanti bei ricordi dacondividere, la prossima volta che ci vedremo".
A far coppia con il capitano è un italo-brasiliano, Amauri. I due iniziano bene, tanto da spaventare il Real Madrid in quel di Torino ed annichilirlo al Bernabeu. Re della notte spagnola come sempre Del Piero, che fredda Iker Casillas con due calci di punizione meravigliosi. L'ovazione del Bernabeu e l'applauso fragoroso alla sua uscita dal campo sono segni inequivocabili che contraddistinguono l'uomo e il calciatore.
Per farlo la società lo aiuta e come allenatore ingaggia un vecchio amico, Antonio Conte. Fra i due il rapporto è sempre stato schietto e sincero. Conte, capitano dall'addio di Vialli nel 1996, ha ceduto la fascia proprio a Del Piero, che non ha mai nascosto una certa stima nel suo centrocampista. Così, in un'assolata estate valdostana, Conte chiama Alessandro e Buffon. "Ragazzi, dovete aiutarmi. Siamo la Juventus e dobbiamo vincere". Le parole non sono probabilmente state queste, ma il concetto sì. Conte non lo dice alla stampa, ma il suo obiettivo è portare la Signora dove merita di stare.
L'impresa, perchè di impresa si tratta, si consuma nell'ultimo anno di Alessandro in maglia juventina. Al cospetto dei bianconeri c'è il Milan scudettato di Allegri, ma soprattutto di Ibrahimovic e Thiago Silva. La Juve però gioca bene, a mia memoria la più bella squadra dal primo Lippi in poi. Del Piero non è il protagonista indiscusso, ma è il guerriero che "osserva dalla collina ed è pronto a scendere in campo in caso di bisogno". Un moderno Pelide Achille calcistico.
I bianconeri giocano bene, vincono e convincono. Nel rush finale è Alessandro a mettere il sigillo decisivo, regalando tre punti contro un'agguerrita Lazio in una sera di Aprile in quel di Torino.
E poi il saluto dinnanzi al suo stadio, il suo nuovo stadio. Se è vero che la casa della Juventus è stata "battezzata a dovere"; è altrettanto vero che ad inaugurarla ci sia stato l'unico giocatore possibile, Del Piero. Immenso, padrone di ogni record, anche quello di esser l'unico della storia ad aver giocato in tutti e tre gli stadi della Juventus.
Non dimenticherò mai quel 13 Maggio del 2012, il giorno e la sera. Uno stadio gremito in ogni ordine di posto solo per lui. Alessandro gioca un'ora abbondante, segna una rete e poi il boato. Quando Conte lo richiama in panchina iniziano quaranta minuti di pura gioia e godimento. Non ricordo uno sportivo che abbia ricevuto un tributo così grande; un saluto tanto bello e caloroso. Dal suo saluto all'alzata della Coppa Scudetto non esiste nessuno all'infuori di Del Piero. Conte, Buffon, Pirlo..tutti importanti e artefici del successo, ma per tutta Torino esiste solo Alessandro Del Piero.
Quando passa sul bus scoperto fra due ali di folla, che così corpose si eran viste solo per i Mondiali, è un coro continuo e incessante. "Un capitano, c'è solo un capitano..un capitanoooooo". Ed è così, nel mio cuore Il Capitano sarà sempre Alessandro Del Piero. Grazie, sei e sarai sempre una leggenda.
2 comments:
Grazie, ho pianto. Hai descritto con perizia e passione le fasi più salienti di una carriera gigantesca.
Pit
Grazie Pit! Ci sarebbe stato ancora tanto tanto da dire. Alex, insieme a Baggio e Totti, è uno dei numeri 10 migliori degli ultimi vent'anni. Noi ce lo siamo goduti, dall'inizio alla fine. Calciatore meraviglioso, solo chi lo ha vissuto davvero lo può capire.
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