Daniele Conti mi è sempre piaciuto, per la sua tenacia, per la sua caparbietà. Giocare a calcio con il peso dell'eredità che il suo cognome comporta non penso affatto che fosse semplice. Crescendo nella Roma, poi, il peso dell'eredità si fa ancor più gravosa. Divenuto simbolo e capitano del Cagliari, è stato il papà Bruno a rendere omaggio al roccioso centrocampista, con una lettera molto bella. Tratta da cagliarinews.it, ecco come Bruno Conti parla del figlio.
Pensavo di averle vissute e provate tutte, poi mi ritrovo a 58 anni sul divano davanti alla tv con le lacrime agli occhi, e tua madre accanto, non spiccica parola, mi guarda incantata e troppo emozionata e felice per parlare e rompere l’incantesimo. Già ci avevi fatti piangere l’anno scorso con Brunetto, ora Manuel. La stessa scena, la stessa gioia. Perché quell’abbraccio racconta una famiglia, la nostra famiglia. Perché tutti conoscono il grande calciatore che sei diventato, in pochi però sanno quanto tu sia un grande uomo, un grande figlio, un grande padre.
Mi capita spesso di ripensare a quella mattina in cui mi chiamò il direttore sportivo della Roma Franco Baldini per comunicarmi la tua cessione al Cagliari in comproprietà per una stagione. Proprio in Sardegna, pensai, la terra in cui io e tua madre ci eravamo innamorati nell’estate dell’82. Ero felicissimo, anch’io poi mi sono dovuto fare le ossa al Genoa prima di giocarmela nella Roma. Forse all’inizio, in cuor mio, speravo di rivederti presto con la maglia giallorossa, e quel gol al Perugia sotto la Sud resterà un ricordo indelebile. Quindici anni dopo è andata in tutt’altro modo. Una storia diversa, forse più bella, di sicuro speciale. Hai fatto una scelta importante, la più difficile, ma alla fine hai vinto tu.
Ricordo i primi momenti al Cagliari, l’esordio, i sogni, le difficoltà. Per anni ti sei portato sulle spalle quel cognome pesantissimo, ingombrante. Soffrivo quando la gente ti paragonava a me, non era giusto. Col tempo però, hai zittito tutti, poi li hai conquistati sul campo. Col talento, con la forza, col carattere. E in questo si, siamo uguali perché entrambi siamo testardi e corretti allo stesso tempo, non cerchiamo sotterfugi, guardiamo tutti in faccia a testa alta con la cultura del lavoro e della famiglia.
I due gol al Torino mi hanno ricordato quello al Napoli nel 2008. Proprio in questi momenti vengono fuori gli uomini duri. E da capitano vero a fine partita, ti ho ascoltato commosso, hai dedicato la vittoria ai compagni e ai tifosi.
Forse dal vivo io e tua madre non ti abbiamo ma realmente detto quanto siamo orgogliosi di te. Oltre ad aver onorato il nostro sangue in campo, hai portato avanti, grazie anche a tua moglie Valeria, i valori della nostra famiglia in una società complicata, problematica e superficiale, come faceva tuo nonno Andrea, muratore e padre di sette figli. E per questo, figlio mio, non smetteremo mai di ringraziarti.
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