“Loro sono una squadra di pittori fiamminghi. La nostra? Speriamo che sia una di piemontesi tosti”.
Le parole di Giovanni Agnelli descrivono nel migliore dei modi l’impresa dei ragazzi di Lippi, capaci di sconfiggere una squadra giovane ed al contempo esperta, guidata in panchina dal maestro olandese Louis Van Gaal. Era l’Ajax dei De Boer, di Davids, Sedoorf, Blind e Litmanen. L’Ajax di Kluivert, carnefice del Milan solo dodici mesi prima, di Van der Sar e Kanu. Una squadra capace di rivoluzionare il calcio dei primi anni ’90, ponendosi in linea di discendenza diretta con la tradizione olandese di fine anni ’70.
Nella nostrana cornice dell’Olimpico di Roma è andata in scena una partita bella, ricca di tensione ed emozioni. Da un lato la Juventus, in predicato di doversi scrollare di dosso la triste vittoria dello stadio Heysel; dall’altro i campioni in carica di Amsterdam, presenatisi a Roma con le batterie a mille dopo la vittoria dell’ennesimo Scudetto in Eredivisie.
I bianconeri si presentano all’appuntamento più importante dopo aver dominato il girone di qualificazione, grazie ai primi goal europei “alla Del Piero”, ed aver eliminato il Real Madrid ed un sorprendente Nantes. I lanceri, forti dei propri mezzi, passano in scioltezza il girone di qualificazione e schiantano i tedeschi del Borussia Dortmund ed i greci del Panathinaikos, strapazzati per 3-0 all’Amsterdam Arena.
Van Gaal guida un gruppo collaudato, che si conosce a memoria. Una squadra composta da giocatori esperti e giovani fuoriclasse, reduce da uno strameritato successo contro il Milan di Capello, una squadra capace di dominare in ambito europeo negli ultimi anni. Lippi ha invece fra le mani un gruppo caparbio, guidato da un Gianluca Vialli in cerca di rivincita. Nel cuore del capitano bianconero, infatti, batte ancora forte la voglia di rivincita dopo la sconfitta patita con la Sampdoria, per mano del Barcellona di Johan Cruijff.
Una partita che vive anche sul duello fra due fantastici numeri 10: il finlandese Jari Litmanen ed Alessandro Del Piero. Uno spot bellissimo per il calcio, due campioni assoluti, corretti e puliti. Due ragazzi umili, due professionisti, due modelli. Hanno condotto le loro squadre alla finale, giocando, dribblando e segnando.
Litmanen è l’uomo in più di un Ajax già mostruosamente solido. Sa far male, è sempre nella posizione giusta al momento giusto. E questa caratteristica non la perderà nemmeno nella tiepida serata romana.
Del Piero è l’astro nascente del calcio mondiale. Ha incantato nella fase a gironi, realizzando reti di pregevole fattura contro il Borussia Dortmund e i Glasgow Rangers, beffati da quel tiro a giro scoccato dal vertice dell’area di rigore che diventerà il suo marchio di fabbrica.
Fin dal riscaldamento si capisce che la partita non sarà come le altre. Marcello Lippi maschera l’emozione di una finale nascosto dietro una nube di fumo. Van Gaal osserva i suoi ragazzi con l’aria truce di chi sa cosa vuole. I ventidue giocatori sono concentrati come non mai, pronti a una battaglia che nemmeno loro pensano essere così lunga.
L’Ajax scende in campo determinato e concentrato, ma non si aspetta una Juventus feroce, veemente. L’inizio degli uomini di Lippi è di un’intensità strabiliante. Non se lo sarebbe aspettato nessuno, neppure i lanceri. Al tredicesimo minuto è Fabrizio Ravanelli ad avventarsi come un falco sulla palla contesa da Frank De Boer e Van Der Sar. Il numero 11 s’intromette, porta via il pallone e da posizione defilata appoggia in rete, vanificando la scivolata di Silooy. E’ la scintilla che accende la miccia dell’Olimpico, impazzito di gioia nel vedere Penna Bianca esultare con la maglia sopra la testa.
La Juventus domina e manca più volte il colpo del raddoppio, tenendo in gioco gli olandesi. Un errore clamoroso, pagato poco prima dell’intervallo. I biancorossi si guadagnano una punizione da trenta metri. Sulla palla ci sono De Boer e Blind, che offrono due differenti soluzioni. Peruzzi sistema la barriera ma si fa sorprendere da un innocuo mancino del difensore olandese. Il portiere romano smanaccia come riesce e Jari Litmanen non si fa pregare. Stoppa il pallone e trafigge la Juventus, regalando il pari alla sua squadra.
Lippi non si scompone nemmeno quando deve togliere Antonio Conte ed inserire Jugovic, giusto un paio di minuti prima dell’intervallo. Al rientro dagli spogliatoi la Juventus riparte fortissimo, aggredisce l’Ajax e lo schiaccia nella sua metà campo. Vialli e Del Piero hanno due occasioni colossali, ma entrambi vengono traditi dalla tensione. Il capitano dribbla Van der Sar, ma il suo urlo è ricacciato in gola dall’esterno della rete. Il numero 10 ha sul destro la palla giusta, ma all’ultimo istante calcia troppo centralmente, trovando le manone del portiere olandese sulla sua strada.
La paura sale ad ampie falcate ed i supplementari non servono a decretare un vincitore. Per farlo ci si affida a quei maledetti calci di rigore, gli stessi che sono costati all’Italia un Mondiale solo due anni prima.
“I rigori li sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli”, diceva Maradona. Sacrosanta verità. Non ho mai pensato che vincere ai rigore possa avere meno dignità che vincere sul campo, giocando. Calciare dal dischetto è un fondamentale importante, essenziale. Vince chi è più bravo, freddo e lucido. Non chi è più fortunato. E quella sera i tirtori di Lippi non sono fortunati, ma bravi.
Il primo a partire dal dischetto è uno specialista vero, Edgar Davids. Il tiro del mastino olandese è forte, ma centrale. Peruzzi riscatta l’errore sul goal di Litmanen e para la conclusione del numero 8. Ferrara porta avanti la Juventus, incrociando con forza inaudita. Poi quattro rigori di fila, tutti in rete. Tocca a Silooy, che calcia forte aprendo il piatto. Peruzzi indovina l’angolo e consegna alla Juventus due match ball consecutive.
Tutti si aspettano sul dischetto Alessandro Del Piero, il rigorista per eccellenza. Nell’elenco presentato all’arbitro, però, il numero 10 risulta come ultimo rigorista. Sul dischetto si presenta lo slavo Vladimir Jugovic, già campione con la Stella Rossa di Belgrado nel 1991. Il numero 14 calcia forte, rendendo vano il volo di Van der Sar. Si gira e viene sommerso da un abbraccio di gioia, la Juventus è campione d’Europa.
La vittoria della Juventus ebbe per me i contorni mistici di una leggenda, la forza devastante di un uragano. Il copione del match sembra quasi un film in cui si sovrappongono esaltazione e delusione, speranza e paura.
Il ginocchio lacerato di Moreno Torricelli, la vena pronta ad esplodere sulla tempia di Luca Vialli, la corsa di Fabrizio Ravanelli, il beffardo sorriso di Vladimir Jugovic prima del rigore decisivo, la sofferenza di Antonio Conte, a bordo campo nonostante il dolore. Istantanee simili a graffiti scolpiti nella pietra: impossibili da rimuovere, scavati nella memoria di chi quella sera partì per un viaggio immaginifico.
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