“Ha vinto la tradizione, l' esperienza e la classe del Real. A Parigi non c' è stata partita se non per una mezz' ora tra la più titolata squadra d' Europa e un avversario schiacciato dalla responsabilità di misurarsi con la storia della coppa Campioni”.
Impossibile negare che il Real Madrid sia la storia stessa del calcio europeo, come accennato dall’inviato della Gazzetta dello Sport. I blancos hanno sempre avuto un feeling speciale con l’Europa, e la finale di Parigi lo ha confermato per l’ennesima volta. E’ stata la partita di Raùl, un campione immenso, per cui ho sempre provato profonda ammirazione. In campo e fuori. Il Valencia di Cuper rappresentava invece il nuovo che avanza, una squadra senza una profonda tradizione che cerca di sedersi al tavolo dei grandi. Senza riuscirvi, nonostante possa godere di grandi giocatori.
Real Madrid e Valencia arrivano all’appuntamento chiave della stagione dopo una vera e propria maratona europea. La Champions del 2000, infatti, prevedeva due gironi eliminatori, un format concepito per esaltare lo spettacolo.
I madrileni, dopo aver superato agevolmente il primo girone come primi della classe, se la devono vedere con Bayern Monaco, Dinamo Kyev e Rosenborg. La qualificazione dei due top club è abbastanza scontata, ma le scoppole che il Real si becca dai bavaresi aprono sinistre crepe a Valdebebas. La sconfitta per 2-4 patita al Bernabeu, sotto i colpi dell’ex Roma Paulo Sergio, di Fink, Effenberg e Scholl è fragorosa come l’incedere di un’onda sullo scoglio.
Nei quarti di finale c’è il Manchester United di Ferguson, una squadra fortissima. L’impresa ad Old Trafford, di cui ho già parlato, parla da sola. La magia di Redondo, nell’azione dell’assist per Raùl, è una di quelle cose che poche volte ti capita di vedere. Un colpo di genio, che ti fa spellare letteralmente le mani dagli applausi. In semifinale, però, c’è di nuovo il Bayern Monaco. I pronostici son tutti per i tedeschi, capaci di calpestare il Madrid con otto reti nel secondo girone. Del Bosque studia la partita e impara dai suoi errori. Reintegra il francese Anelka, una testa matta zeppa di talento, e lo manda in campa. Il centravanti risponde presente dopo appena quattro minuti, spianando la strada ai blancos. Nella notte del Bernabeu è un autorete di Jeremies a chiudere partita e qualificazione. Il Bayern ce la mette tutta nella gara di ritorno, ma ancora Anelka regala il goal qualificazione, che per la casa blanca significa finale.
Il Valencia si avventura in Europa con la voglia di stupire, senza pressioni. Nessuno li mette nel novero dei favoriti, ma Raùl Hector Cùper ha a sua disposizione giocatori di livello mondiale. Inseriti in un girone tosto, con Bayern Monaco, Glasgow Rangers e Psv Eindovhen, i bianchi spagnoli stupiscono tutti. Vincono il girone, senza mai perdere con i bavaresi, ed arrivano al secondo girone eliminatorio come teste di serie. Il Manchester United incrina le certezze di Cùper con un secco 3-0, ma gli spagnoli riescono comunque a qualificarsi agevolmente, avendo la meglio sulla Fiorentina di Batistuta e Rui Costa e sui francesi del Bordeaux.
Nei quarti di finale la sfida è di quelle impari, con la Lazio poi campione d’Italia di Sven Goran Eriksson. Il Valencia impartisce una vera lezione di calcio ai romani, archiviando la qualificazione nel fortino del Mestalla. Cinque reti che rimbombano in Europa come il corno che suona prima di una battaglia. I trascinatori della squadra sono un basco, Mendieta, due spagnoli, Gerard e Farìnos, ed un attaccante di straordinario talento, Claudio “El Pjojo” Lopèz. In semifinale la corsa del Valencia sembra destinata a terminare, nel derby spagnolo con i blaugrana del Barcellona, guidati in campo da Rivaldo e Figo ed in panchina dal santone olandese Louis Van Gaal. Una doppietta di Angulo e le firme dei soliti Mendieta e Claudio Lopez archiviano per i valenciani la finale già nella gara di andata, dove Cùper vince la partita a scacchi con Van Gaal, nemmeno fosse quell’Antonius Block di Bergmaniana memoria.
Si arriva così alla notte del 24 Maggio, in una cornice favolosa come il Sant Denis di Parigi, stadio che ha ospitato la vittoria Mondiale della Francia sul Brasile. Un campo dove i campioni si esaltano, scrivono pagine di storie del calcio. Nel 1998 è stato Zidane ad abbagliare il pubblico francese con le sue giocate; due anni dopo sono i fuoriclasse del Real Madrid, che annichiliscono la generosa compagine valenzana. E non poteva essere altrimenti quando puoi schierare, fra gli altri, Iker Casillas, Roberto Carlos, Steve McManaman, Fernando Redondo e Raùl Gonzalez Blanco.
Il numero 7, vicecapitano quella sera, è stato un centravanti leggendario, unico. Fabio Capello, un allenatore generalmente avaro nei complimenti, ha definito lui e Del Piero i giocatori più forti e decisivi che abbia mai allenato. Io non so se questo sia vero, perché nella sua “scuderia” Capello ha avuto fior di campioni, ma l’italiano e lo spagnolo hanno rappresentato due modelli di sport. Giocatori formidabili, fuoriclasse. Fuori dal campo uomini veri, sportivi encomiabili ed esempio per grandi e piccini. Raùl è stato senza ombra di dubbio il calciatore spagnolo più forte che io abbia mai visto. Ancor più di Xavi Hernandex ed Andrès Iniesta, Raùl aveva un carisma ed una incisività paurosi. In grado di freddare il portiere in qualsiasi modo e maniera, è diventato il simbolo del Real Madrid e l’esempio per tutti gli attaccanti spagnoli. Non a caso miglior marcatore di sempre della Casablanca (anche se Cristiano Ronaldo pare destinato a sorpassarlo), anche nella notte parigina, senza la fascia al braccio e con una Champions già in bacheca, Raùl è stato uno dei migliori in campo.
La partita parte sul filo dell’equilibrio, con le squadre che si studiano. Tutti si aspettano un Valencia aggressivo, sfrontato, ma gli uomini di Cùper non sono gli stessi che hanno schiantato la Lazio e il Barcellona. Sono emozionati, quasi intimoriti di fronte ai madrileni, che giocano più sciolti e rilassati. Il primo tempo sembra scivolare tranquillo, senza emozioni. Le squadre non hanno creato palle goal significative, si sono rispettate e hanno duellato a metà campo. Proprio da uno di questi scontri nasce una punizione, una manciata prima dell’intervallo. Sul pallone va Roberto Carlos, terzino brasiliano dal mancino fulminante. La distanza è tanta, ma il difensore prova ugualmente la conclusione. La palla rimpalla sulla barriera e dopo un batti e ribatti al limite dell’area di rigore, sulla destra, parte un cross. E’ Raùl a metterla al centro, dove il più lesto di tutti è Fernando Morientes, che ruba il tempo ai centrali valenciani e batte l’ex compagno Canizares.
Le squadre vanno al riposo sull’1-0, una doccia fredda per i ragazzi del tecnico argentino, che hanno l’obbligo di provarci, di reagire. La seconda frazione parte con il Valencia che cerca di fare la partita ed il Real che attende e riparte veloce, lesto. Sugli sviluppi di un calcio d’angolo, al 67’ la seconda secchiata d’acqua gelida sul Valencia. Dopo alcune respinte della difesa la palla si impenna e finisce al limite dell’area di rigore, dove arriva il centrocampista inglese McManaman. Il numero 8 si coordina in un istante e delizia il mondo con un gesto tecnico di rara bellezza, una “bicicletta” micidiale. Finta il tiro col sinistro e, in aria, colpisce con il collo del destro, insaccando alle spalle di un immobile Santiago Canizares.
Il Valencia a questo punto recita la parte di uno scolaretto balbettante di fronte al professore. Paralizzati dall' emozione e incapaci di esprimere quel gioco scintillante che gli ha portati a Parigi, Claudio Lopez e compagni consegnano il trionfo ad una squadra che si è dimostrata più pratica, risoluta ed esperta. Come squadre e sul piano dei singoli il Real ha dominato, vincendo quasi tutti i duelli. Nella ripresa ,quando il Valencia si è sbilanciato in avanti per pareggiare il gol di Morientes, Redondo e McManaman hanno spadroneggiato a centrocampo; Roberto Carlos ha imperversato sulla sua fascia ed Helguera ha chiuso a doppia mandata la difesa, rendendo sterile ogni tentativo portato da un Pjojo Lopez abbandonato al suo destino.
In avanti Raul ha fatto da guida sapiente per Morientes e Anelka, fino al momento in cui ha voluto porre il sigillo della sua classe sulla gara con un gol entusiasmante. Partito dal suo centrocampo, si è involato indisturbato verso la porta avversaria. Uno sguardo al portiere, un leggero rallentamento della sua corsa e “oop”,un dribbling formidabile per metterlo a sedere. La palla accarezzata dal numero 7 è magnifica, il suo sinistro dolce ed educato sposta il pallone quel tanto che basta per trovarsi davanti ad uno specchio della porta completamente vuoto, senza mai perderne il controllo. Il goal è il coronamento di una partita superlativa, una delle tante giocate dal campione spagnolo.
Ha vinto la tradizione, l' esperienza e la classe del Real. A Parigi non c' è stata partita tra la più titolata squadra d' Europa ed un avversario schiacciato dal peso dell’inesperienza e dalla responsabilità di misurarsi con un trofeo nemmeno sognato a inizio anno. È l' ottavo trofeo che il Real Madrid alza al cielo, dimostrando per l’ennesima volta la simbiosi naturale stabilitasi fra il club madrileno e la Champions League, grazie anche ai cinque successi consecutivi nelle prime cinque edizioni. Per far capire a tutti che non si vive di soli ricordi, ecco l' ottavo trionfo, il primo del nuovo millennio. Come dire: siamo il Real Madrid e continueremo per sempre a scrivere la storia.
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