In tutto il mondo approcciano lo sport guardando i numeri, le statistiche. In Italia non lo facciamo, ma non per questo significa che non ci riempiamo la bocca con dati e matematica. La perversione di ogni italiano è sempre e solo una: la disposizione tattica. 4-4-2, 4-3-3, 4-2-3-1... ogni squadra e momento, nel Bel Paese, è buono per etichettare l'allenatore o la squadra con un sistema di gioco.
Il gioco del calcio e tutti questi discorsi, però, possono essere racchiusi in un'unica grande affermazione. Mi piacerebbe poter vantarmi di averla coniata, ma è di un allenatore forse troppo sottovalutato negli ultimi vent'anni, Carletto Mazzone. "La tecnica è il pane dei ricchi, la tattica è il pane dei poveri".
Sacrosanta verità. Semplice, diretta, efficace. Il calcio è un gioco piuttosto semplice, in cui contano due grandi aspetti: la tecnica e l'atletismo. La tattica è qualcosa che viene di conseguenza, i grandi allenatori non si focalizzano su sistemi di gioco o numeri, ma si concentrano sugli uomini che hanno a disposizione. Tutti hanno preferenze, idee, approcci filosofici al gioco. Ma la costante è sempre e solo una: il calciatore. E' il giocatore che ti fa vincere la partita; è il campione che ti cambia il match con una giocata, con un lampo. Non si può rinchiudere il gioco del calcio in numeri e fotografie, ma ne va colta l'essenza e la filosofia.
Prendiamo ad esempio il 4-4-2, il sistema di gioco basilare per il calcio. Questo può essere interpretato in mille modi e maniere, con ali difensive o offensive; mezz'ali libere di inserirsi; il rombo di centrocampo; il regista davanti alla difesa; la linea tradizionale. La vera differenza è fatta da chi va in campo, perchè i campioni si mettono al servizio dei compagni. I grandi attaccanti sono i primi dei difensori; i più efficaci marcatori e terzini sono in prima linea nell'appoggiare la manovra d'attacco. E' così, semplice e allo stesso tempo così efficace, quasi banale.
Sono gli allenatori mediocri a parlare costantemente di equilibrio tattico; sono i perdenti che dal pulpito giustificano l'esclusione dei giocatori di classe in favore di un assetto bilanciato. Prendiamo alcune grandi squadre come esempio. La Juventus di Lippi trovava posto per Del Piero, Vialli, Ravanelli e Paulo Sousa; il Milan di Capello schierava Savicevic, Boban, Donadoni e Van Bastern prima, Simone poi. Il Barcellona di Crujff, pur venendo spazzato via in finale dai rossoneri, metteva sul rettangolo verde Stoichkov, Romario e Beguiristan, un trio pesantissimo. Per non parlare poi del Real Madrid, che negli anni ha fatto del gioco offensivo un vero must. McManaman, Anelka, Morientes e Raul (con due veri propulsori come Roberto Carlos e Salgado in difesa) prima; Figo, Solari, Beckham, Zidane, Raul e Ronaldo poi. E parliamo di squadre ai massimi livelli, il grado più elevato della qualità calcistica mondiale.
Persino i maestri del calcio fisico, i britannici, hanno saputo assecondare il talento dei campioni più tecnicamente baciati da madre natura. Xabi Alonso, Luis Garcia, Kewell, Baros e Gerrard per il Liverpool di Benitez; Scholes, Tevez, Rooney e Cristiano Ronaldo per lo United di Ferguson.
Questi non sono numeri, ma esempi. Reali. Chi di calcio ne capisce sa che nessun allenatore vero, nel mondo, rinuncerebbe alla qualità in favore di una propria filosofia tattica. Chi parte dal modulo e vi costruisce intorno la squadra, gioco forza fallisce. Il calcio non perdona, non ammette repliche.
Ecco perchè rido quando sento supponenti giornalisti della rosea o della televisione di stato parlare di moduli, di numeri. Chi accenna al 3-4-1-1; chi al 4-1-3-1-1 chi ad altri fantomatici sistemi tattici. Sono parole al vento, che lì rimangono. A calcio ci giocano undici uomini, e vince chi ha più voglia di farlo.
Per giocare bene basta avere disciplina, corsa, testa e cuore. I campioni, quelli veri, hanno tutte queste caratteristiche, unite ad una tecnica ed una classe eccellenti. Il calcio che amo, quello che voglio, è composto da uomini veri, pronti a sacrificare lo spettacolo in favore del risultato. L'Italia del 2006, la tanto vituperata Italia di Lippi, ne era lo specchio perfetto. Undici formidabili uomini, che correvano e sudavano l'anima. Una difesa blindata, ermetica; un centrocampo che si poggiava sulla classe di Pirlo e Camoranesi e i polmoni di Gattuso; un attacco che aveva in Luca Toni un riferimento incredibilmente solido. Pochi fronzoli, ma tanta sostanza. Tattica o non tattica che fosse, i ragazzi scendevano in campo per vincere. Con questo atteggiamento e questa dedizione, i risultati li porti a casa.
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