Se il Sud America è universalmente riconosciuto come il continente del "futbol bailado", l'Europa è la patria dei difensori e dei portieri. La scuola degli estremi difensori europei è eccelsa, direi unica. Yashin, Zamora, Zoff, Banks e Schmeichel; e ancora i più contemporanei Kahn, Buffon e Casillas, che io inserisco in questa lista nonostante il macroscopico errore nella finale di Champions League contro l'Atletico Madrid.
I portieri del vecchio continente sono i più forti, i più preparati e i più affidabili. Non è in discussione questo punto. I più istrionici e spettacolari, però, vengono ancora una volta dal continente americano. Quante volte ci è capitato, in Europa, vedere un portiere che va a calciare un calcio di punizione? Quante volte si è visto un estremo difensore partire palla al piede e puntare gli avversari nell'uno contro uno? Quante volte si sono visti estremi difensori scrivere il proprio nome sul tabellino dei marcatori? In America tutto questo è normale, benvenuti nel continente amerindo.
Josè Luis Chilavert: nel Luglio del 1965 - a Luque, Paraguay - nasce un ragazzone dalla carnagione scura e lo sguardo duro. All'anagrafe viene registrato come José Luis Félix Chilavert González, e diventerà il più celebre giocatore paraguagio nella storia del calcio.
188 cm per 90 kg di peso, Chilavert aveva un fisico da corazziere. La sua struttura muscolare era impressionante, sviluppava una potenza inimmaginabile per i comuni mortali. Rispetto ai longilinei portieri di adesso, i Buffon per intenderci, non aveva nulla a che fare. Chilavert aveva il fisico di Angelo "Tyson" Peruzzi, uno che senza infortuni sarebbe stato nei 10 migliori degli ultimi 30 anni. E proprio come Peruzzi, Chilavert era una forza della natura. La potenza che sprigionava in uscita, per chiudere l'attaccante, era tremenda. Ti correva dinnanzi come un cane da caccia e ti "azzanava" con la forza di un leone.
Elastico ed esplosivo, fra i pali era una sicurezza. Ma Chilavert non passerà alla storia per le sue parate o i suoi interventi plastici; bensì per il suo piede sinistro. Un calcio forte e preciso, una sorta di sciabolata fendente, efficace. Chilavert, un po' come il più conosciuto Sinisa Mihajlovic, aveva un modo fantastico di calciare da fermo. Prendeva tre o massimo quattro passi di rincorsa. Non aveva bisogno di arrivare sul pallone con la ferocia di un bufalo in corsa, gli bastava appoggiare il peso del corpo in avanti e lasciare andare la gamba. L'interno del suo sinistro faceva prendere alla palla una traiettoria dritta, sospinta dalla potenza del colpo. Fendeva l'aria senza mai arrotarsi su sé stessa, e spesso costringeva il portiere avversario a parate sensazionali o a raccogliere il pallone in fondo al sacco.
Una carriera la sua ricca di soddisfazioni, a livello personale e di club. In Sud America ha vinto tutto, compresa una Intercontinentale contro il Milan di Capello, Maldini, Baresi e Savicevic. Personaggio bizzarro, irascibile e a tratti pantagruelico, Chilavert chiude la sua carriera nel 2004, con la maglia che più di tutte ha indossato, il Velez Sarsfield.
Il suo bottino di goal è da capogiro: 54 con i club e 8 con la Nazionale del Paraguay, per la quale ha indossato ovviamente la fascia di capitano. Dei 62 goal totali, 45 li ha realizzati su calcio di rigore; 15 su punizione e 2 su azione.
Rogerio Ceni: nel Gennaio del 1973 - a Pato Braco, Brasile - nasce un ragazzo che, a modo suo, farà la storia del calcio. All'anagrafe è registrato come Rogério Mücke Ceni, ma tutti quanti lo conoscono solo come Rogerio Ceni.
188 cm per 85 kg, Rogerio Ceni rappresenta il perfetto portiere carioca, bravissimo con i piedi e meno preciso in fase di salvataggio. A differenza del paraguayano Chilavert, Rogerio Ceni non è mai stato un fuoriclasse fra i pali, ma un onesto gregario. Nello sport ci sono anche loro, a volte sono più importanti delle stelle. Questo potrebbe essere il caso, perchè Rogerio Ceni scriverà una parte di storia del calcio grazie alle sue abilità lontane dall'area di rigore, almeno la propria.
Destro naturale, non possiede un calcio forte e violento come quello di molti colleghi. Rogerio Ceni ha nei piedi la delicatezza tipica di un carioca, la dolcezza che un classico numero 10 brasiliano ha nelle sue dita.
Il suo marchio di fabbrica, infatti, è la cosiddetta punizione "a foglia morta", con la palla che supera la barriera e si abbassa lentamente, fino ad infilarsi sotto l'incrocio avversario. E non a caso Rogerio Ceni giocava con il doppio numero sulle spalle, proprio a richiamare la casacca che ha reso famoso il calcio nel mondo, la 10. Ed ecco allora il portiere carioca indossare una singolare 01, che racchiude in sè i crismi del fantasista e il numero 1 dell'estremo difensore.
Una carriera, la sua, spesa praticamente tutta in una sola squadra: San Paolo. Con la camiseta paulista ha saputo battere qualsiasi record, il più importante dei quali è quello dei goal segnati: 115.
Cosa dire a corredo di un dato simile? Francamente non lo so, anche perchè Rogerio Ceni è ancora in piena attività, ed il numero è solo destinato a crescere.
Renè Higuita: il colombiano Renè Higuita è stato uno di quei miti che ha accompagnato l'infanzia e l'adolescenza di molti di noi. Celebre per la sua "Mossa dello scorpione", Higuita è stato un personaggio mediatico ancor prima che un buon portiere. Dipingerlo come un campionissimo nel ruolo sarebbe deontologicamente sbagliato, ma era impossibile non provare simpatia per lui.
Capelli lungi e sguardo da compagnone, sul suo conto si son diffuse le leggende più disparate. Alla storia sono passate alcune delle sue bravate, come quando nel 1993 fu tratto in arresto perché fece da mediatore in un sequestro senza avvisare la polizia e rimase in carcere per sette mesi; o come quando il 23 novembre 2004 venne trovato positivo alla cocaina in un test anti-doping mentre disputava il campionato ecuadoriano.
Specialista sui calci piazzati, Higuita scrive il suo nome sui tabellini dei marcatori in ben 55 occasioni. A differenza di Chilavert e Rogerio Ceni, il capellone colombiano amava però anche le sortite palla al piede, nel tentativo (spesso vano) di dare manforte ai suoi avanti. Delle sue azioni personali, celebre resta quella al San Paolo di Napoli contro il Camerun, nella kermesse di Italia '90. Persa palla con un improbo dribbling sulla trequarti, Higuita si fa infilare nel secondo supplementare dall'esperto e sempre decisivo Roger Milla, condannando i cafeteros al ritorno a casa.
Jorge Campos: poteva mancare il Messico? Assolutamente no. Jorge Campos Navarrete, al secolo solamente Campos, è stato un giocatore unico. Portiere dai subbi gusti cromatici, il nazionale messicano si presentava in campo con sgargianti tenute ed una tenuta da rapper. Soprannominato "El Brody" o "Chiqui-Campos", l'estremo difensore di Acapulco ha vissuto una vita calcistica al massimo, giocando in due ruoli ben diversi l'uno dall'altro. Nato portiere, dopo alcuni anni si ricicla attaccante, riuscendo a segnare comunque 35 reti.
La sua maglia preferita, la numero 9, l'ha indossava tanto fra i pali quanto davanti al collega avversario, che cercava di trafiggere con sconcertante cinismo.
Indiscusso titolare della nazionale messicana, Campos ha creato nel 1998 un vero e proprio caso diplomatico. Il c.t. americano, infatti, voleva poterlo schierare sia come portiere che come centravanti, dal momento che non esiste alcuna regola che vieti la cosa. Blatter, inspiegabilmente, ha vietato la cosa alla rassegna francese, limitando ulteriormente la popolarità internazionale dell'estremo difensore messicano.
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