Dopo aver visto l'incredibile Germania di Loew, la semifinale di questa sera sembra una partita poco spettacolare. Ma non è oro tutto ciò che luccica, perchè la grandezza di questo match è nella disposizione tattica delle due squadre. Sabella e Van Gaal si stanno dimostrando allenatori di grandissimo livello, con idee ed equilibrio. Non rinunciano né ad attaccare né alla propria filosofia di calcio, fatta di palleggio e profondità in casa Argentina e rapidità e concretezza sulla sponda olandese.
Le due squadre si temono e si rispettano allo stesso tempo, provano ad esprimere il proprio calcio senza riuscire ad imporsi l'una sull'altra. Il risultato è un primo tempo tattico e poco spettacolare, in cui i centrocampi hanno la meglio e impongono un gioco spezzettato e ricco di contrasti. A leggere le formazioni saltano agli occhi i nomi di Messi, Lavezzi e Higuain da un lato, Robben e Van Persie dall'altro; a fare la voce grossa sono però "el Jefecito" Mascherano e un redivivo Nigel De Jong, recuperato a tempo di record per dare equilibrio alla squadra, o più probabilmente un occhio in più a Leo Messi. L'unico che quando ha la palla fra i piedi, dimostra di essere sempre pericoloso. L'Olanda, invece, sembra quasi replicare il canovaccio della finale con la Spagna, in quel Sud Africa 2010 che ha visto gli orange perdere l'ennesimo Mondiale ad un passo dal successo.
Pronti-via il canovaccio tattico cambia poco. Il gioco è maschio, rude. Van Gaal è troppo esperto per non saperlo, e non è un caso se l'unico ammonito, Martins-Indi, rimane negli spogliatoi a meditare. Da lì a poco la stessa sorte tocca a De Jong, sostituito dal giovane Jordi Clasie, un ragazzo su cui ho scommesso anni fa. Una sostituzione che denota, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto carattere abbia Van Gaal. La paura di sbagliare, non sa cosa sia; il timore per l'inesperienza è qualcosa che non fa parte del suo dna. I successi all'Ajax, lanciando una generazione di fenomeni composta da gente come Davids, Seedorf, Bergkamp, Kluivert e i fratelli De Boer, erano in tal senso una prova altamente tangibile.
Col passare dei minuti ci si aspetta che le squadre si allunghino, che lo spettacolo salga di livello. E invece è la paura di sbagliare a paralizzare il gioco offensivo dei due contendenti, così la sensazione è che a sbloccarla possa essere il colpo di un singolo. E di campioni, in campo, ce ne sono parecchi. Uno di questi è Gonzalo Higuain, che si avventa come un cobra sul cross proveniente dalla destra. El Pipita brucia tutti e calcia la palla sotto la traversa, lasciando Cillessen di stucco. L'urlo in gola agli argentini, però, viene strozzato dall'esterno della rete prima, da un fuorigioco inesistente poi. L'equilibrio è ancora totale, lo spettro dei supplementari si materializza come un'ombra sempre più inquietante.
A pochi secondi dal novantesimo è Robben ad avere la palla giusta. Come spesso gli è capitato in carriera attende un attimo di troppo e non capitalizza la magica palla di Van Persie, facendosi stoppare in tackle da un sontuoso Mascherano in tackle. E così, sull'unico vero sussulto dei tempi regolamentari, s'infrangono le speranze di trovare l'avversario di una Germania che, ad oggi, sembra davvero non avere rivali.
Quando ti giochi una finale Mondiale ai tempi supplementari conta poco il gioco, ancor meno la tecnica e la tattica. A farla da padrone sono la testa, la determinazione e la paura. La paura è ciò che ti tiene vivo e non ti fa calare l'attenzione, ma ad un passo dal traguardo devi saperla dominare. Solo così si riesce a vincere, o come sarebbe più giusto dire per questo match a non perdere.
A provarci con più convinzione è l'Olanda, ma la noia regna sovrana. Già, quello che ad inizio partita era uno splendido esempio di tattica e ordine si è lentamente trasformato in un esercizio di timore, a cui nessuno dei giocatori in campo si è sottratto. Nemmeno il nuovo entrato Palacio, che ha sulla testa il pallone più importante della carriera, ma la torsione è debole e inefficace, tanto da finire docilmente sulle mani dell'estremo difensore orange.
I rigori sono scontati, inevitabili. Giusto così, la sensazione è che avrebbero potuto giocare altri due giorni, ma il goal non sarebbe arrivato. Come sempre in questi casi vince la squadra coi nervi più saldi, quella a cui gli episodi sono più favorevoli. E questa squadra è l'Argentina di Messi, ma soprattutto di Romero questa sera. L'ex Sampdoria si prende la sua rivincita e massimizza la precisione dei suoi compagni tiratori, regalando all'albiceleste una storica finale nel paese dove vincere sarebbe bellissimo.
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