Ti ho visto impotente ieri sera, più volte. Ti ho visto silente, attonito e spaesato quando dall'impianto del Maracanà risuonava il tuo nome: Leo Messi, pallone d'oro del Mondiale. A cosa serve vincere un premio individuale quando nella tua mente c'è solo la voglia di scrivere la storia? Una camminata triste, solitaria, quella di chi sa di aver perso l'occasione della vita. Quella di chi sa di aver giocato male le sue carte a pochi centimetri dalla gloria. Quella di chi ripensa alla sua sfida, magari imprecando per aver evitato uno scatto in più, aver sbagliato il tocco decisivo, non aver inventato a sufficienza. E' la triste storia di chi, chiamato a dover COSTANTEMENTE dimostrare il proprio talento, si ferma, con le chiavi tra le mani, davanti le porte del paradiso.
"L'eterno secondo", "non sarai mai Diego", "non sei un grande capitano", "non hai le spalle larghe", "non sarai MAI il più grande di tutti i tempi". Quelle vocine continuano a rimbombare nella tua testa. Rivolte proprio a te che ti sei ritrovato ad essere sempre il più piccolo in un mondo di giganti, il catalano tra gli argentini, il diez dopo Dios. Tu che hai sempre preferito scrivere poesia con il mancino più che prendere parola in pubblico. In fondo da te non ci si aspettano dichiarazioni forti, da te non ci aspettano discorsi motivazionali alla squadra. Forse sai anche che c'è chi è più bravo di te nel farlo. Secondo me quella fascia neanche la volevi...
"Non sarà mai Diego". E forse è pure meglio così. Il calcio è bello perché è unico: non ci sono due partite uguali tra loro, non ci sono due campionati uguali tra loro, non ci sono giocatori uguali tra loro. In fondo cosa avete in comune? Siete bassi entrambi, vestite entrambi la 10, siete tutti e due argentini. Vivete però su due pagine di storia differenti, in due capitoli separati da diversi chilometri, di due mondi lontani anni luce. L'eroe delle Malvinas e di Napoli da una parte, il timido fenomeno ingobito esile e silente dall'altra. Fa comodo vedervi uno contro l'altro, fa piacere ai tifosi, ai giornalisti, anche a chi di calcio mastica poco. "Maradona era tutta un'altra cosa...".
Guardandoti uscire a capo chino, poche ore fa, anche io ho pensato: "ci credevo davvero, l'avevo sognata ed era 1-0 con il tuo gol, dove ti sei nascosto?". Poi ho ripensato alla tua annata storta, alla tua carriera incredibile, ad una federazione a cui fai comodo (faccia pulita, il miracolo del campioncino cresciuto con i sacrifici), a quel mondo che gioco forza rappresenti. Mi fermo, rifletto. Non si può dubitare di te, o almeno non lo posso fare io. Semplicemente non era scritto, non era così che doveva andare. NON SEI QUELLO CHE GLI ALTRI VORREBBERO CHE TU FOSSI. Vai accettato così, per quello che sei. Puoi piacere, puoi essere odiato. In fondo questa è la storia di tutti quelli che si trovano al centro dell'attenzione. Non potrò mai avere un metro di giudizio imparziale nei tuoi confronti, perché per me sei IL CALCIO, più di chiunque altro. Con il tuo mancino, con le tue spalle strette e con i tuoi silenzi. La macchia resterà indelebile, ma il dipinto, nel suo insieme, rimane un assoluto capolavoro.
UNICO, nonostante tutto.
Mauro Piro - Il calcio secondo me
Un grande grazie al sopracitato Mauro, amico e collega stimato che ha voluto condividere questo bellissimo editoriale su Leo Messi con tutti gli amici di Esperto di Calcio. Nel suo pezzo Mauro racchiude tutto ciò che penso di Leo, un calciatore straordinario che pensa solo al campo. Non ha mai voluto essere il capitano o il leader, non è mai andato spavaldo davanti ai microfoni a fare dichiarazioni e proclami. Se n'è sempre stato nel suo angolino ad allenarsi e giocare. Ha deciso campionati e coppe, ma è sempre stato protetto da un gruppo solido e coeso. Puyol, Xavi e Iniesta in campo, Guardiola in panchina. Nessuno di loro ha mai messo pressione su Messi, lo ha mai caricato di responsabilità eccessive. Lui non è un leader, ma non ha la pretesa di esserlo. Lui non è Maradona, e non ha la pretesa di esserlo. Diego aveva carisma e grinta, Leo continuità e professionalità. E' questo il grosso divario che c'è fra i due. L'uno voleva essere la stella, l'altro vuole vincere, in silenzio. E non è una colpa.
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