La Gazzetta dello Sport dedica, sul suo sito ufficiale, un bello speciale scudetto alla Juventus. I voti, opinabili ma abbastanza realistici, fotografano la vittoriosa stagione della Vecchia Signora. La Juventus è toranta, se l'anno scorso si poteva avere qualche dubbio, ora si sono completamente diradati.
Abbiamo passato il campionato domandandoci chi fosse l’anti-Juve. Sull’onda dell’avvelenata Supercoppa di Pechino, si è subito proposto il Napoli, poi è sbucata a sorpresa la Strama-Inter che ha saccheggiato lo Stadium portandosi a -1. Successivamente è lievitata la qualità della Lazio di Petkovic. Dopo la sosta, con un Balotelli in più, il Milan è risalito perentorio. Il finale del Napoli ha chiuso il cerchio. In questo frenetico passaggio di testimoni non è mai stata scalfita una verità: la vera anti-Juve è la Juve. Più forte della concorrenza per qualità di valori, forza atletica e organizzazione, solo la squadra campione avrebbe potuto rimettere in gioco il titolo, se avesse investito esagerate energie nella Champions o se avesse sofferto l’appagamento dello scudetto vinto. Non è successo, grazie a una continuità di rendimento che Conte ha felicemente sottolineato con un’etichetta opportuna: lo scudetto della "ferocia". Facile dare tutto quando si accendono i fari di Stamford Bridge, più difficile in un dimesso pomeriggio a Pescara.
I dipendenti di Conte hanno timbrato ogni settimana con la stessa dedizione e la stessa rabbia agonistica, anche se l’ossessionante ripetitività del 3-5-2 poteva dare nausea da catena di montaggio. La Juve ha sempre avuto in faccia la maschera grintosa di Lichtsteiner, la concentrazione mostruosa di Barzagli e la generosità agonistica di Marchisio. Per questo, il primo merito del 29° scudetto è etico: aver giocato anche quest’anno come se la pancia fosse ancora vuota. Il secondo merito è tattico. Lo scorso anno Conte ebbe bisogno di un’odissea tattica: salpò dall’amato 4-2-4, attraversò i mari del 4-1-4-1 e del 4-3-3, per approdare al porto sicuro del 3-5-2. Il viaggio di ricerca gli ha fatto perdere punti e lo ha costretto a rimontare. Quest’anno ha schierato in griglia una macchina già rodata, dagli equilibri perfetti. Alla prima curva era già in testa, mentre Inter, Milan e Roma smanettavano ancora bulloni ai box alla ricerca dell’assetto giusto. Buffon, Pirlo e Vucinic sono stati protagonisti, ma meno abbaglianti dell’anno prima. L’attacco anche quest’anno ha fatto a meno di campioni trascinanti alla Cavani e alla Balotelli. Lo scudetto 2012-13, ancor più del precedente, è stato uno scudetto di squadra. Con un solo leader indiscusso: il gioco.
CONTE (L'ALLENATORE) 10+ — Qui siamo in difficoltà perché nel pagellone di un anno fa avevamo dato 10 a Conte e quest’anno meriterebbe un voto più alto. Non potendo sfondare il tetto convenzionale, aggiungiamoci un più. Voto più alto perché si era alzata l’asticella di due tacche: bisognava disinnescare le distrazioni da Champions, che avevano fatto franare il Napoli l’anno prima; bisognava spremere dalla ciurma la stessa ferocia agonistica, essenziale al gioco di Conte, avendo in pancia uno scudetto appagante. Il tecnico bianconero ha saltato alla grande e senza che il mercato lo avesse dotato di molle speciali, a parte Pogba. Lo scorso anno Conte vinceva quasi d’inerzia. Quest’anno, finita la lunga imbattibilità, ha insegnato alla sua Juve a convivere con la sconfitta e ad andare oltre con personalità. Aver guidato la squadra dalla tribuna fino a dicembre è stato un handicap e quindi un merito in più. Il rischio-Champions l’ha attutito miscelando un saggio turno-over, mai esagerato, in modo da riuscire a entrare nel G-8 d’Europa senza compromettere il cammino di campionato.
Ripensate a Juve-Napoli dell’andata: 2-0, gol di Caceres e Pogba. Riserve: appunto. Il Napoli dalle seconde linee non ha saputo mungere altrettanto e invece avrebbe potuto, soprattutto con Insigne. Il rischio-pancia piena invece Conte lo ha superato grazie al suo talento di motivatore. Anche qui il Napoli è apparso inferiore: negli snodi chiave del torneo, quando avrebbe potuto avvicinare la vetta, ha sofferto crisi d’ansia e di personalità. Tra l’organico del Napoli che ha il capocannoniere del campionato (Cavani) e quello della Juve che non ha un attaccante in doppia cifra non ci sta un divario in doppia cifra, a maggior ragione in una stagione in cui la Juve ha dato tanto alla Champions e il Napoli poco alla Europa League. Gran parte del baratro l’ha scavato il lavoro di Conte: con l’organizzazione di un modulo portato alla perfezione, con le motivazioni che hanno assicurato continuità e, soprattutto, con un gioco sempre propositivo che ha accresciuto l’autostima della squadra. Nei tre incroci stagionali, la Juve ha sempre agito, il Napoli solo reagito. In due campionati: più di 30 punti di vantaggio sul Napoli! Per tutte queste ragioni: bravo Conte, 10+.
VIDAL 9 — La sua media voto è inferiore a quella di altri compagni, perché quando non gli va, non lo nasconde e si becca certi votacci, tipo a Trieste con il Cagliari: un rigore causato su Sau e uno calciato alle stelle. Ma quando gli va (cioè quasi sempre) sbanca. Nessuno ha dato l'impressione di essere tanto decisivo. Nessuno lo precede nella combinata potenza-tecnica. L’autunno d’oro (5 gol) e i nobili sigilli d’aprile (doppietta alla Lazio, rigore al Milan, gol al Toro ) hanno marchiato il titolo. Quasi doveroso che il gol dei coriandoli l’abbia imbucato lui: rigore al Palermo. Dove lo trovi un mediano che ringhia come un terzino e segna come una punta? Con 10 gol è il capocannoniere di casa, unico in doppia cifra. Non è un caso che Vidal sia stato il migliore con il Bayern e che all’Allianz Arena sia stato l’unico a contrastare i bavaresi sul piano della personalità e dell’intensità. Non è un caso che le grandi d’Europa lo inseguano. Banalmente, un top-player internazionale.
BARZAGLI 8,5 — Al massimo può distrarsi un po’, vedi con il Siena e con il Genoa in casa, perché la sua forza poggia su una concentrazione feroce, e quando l’avversario non ti pungola l’orgoglio possono registrarsi cali di tensione. Ma sono veramente goccioline in un mare di granitica affidabilità. Primo assoluto dei bianconeri nel rapporto potenzialità-resa. Nessuno ha viaggiato alla sua altezza media di rendimento e quando la cornice si fa torrida (San Paolo, Inter a San Siro), il ragazzone smanetta i comandi e sale di quota. Una stagione mostruosa per rendimento ed efficacia, quella della sua piena maturità agonistica. E’ stato il bianconero più presente in campionato: 33 giornate su 35. E’ arrivato dalla Germania: usato sicuro. Dovesse spiegare l’anima della sua Juve con un uomo solo, Conte probabilmente direbbe: Barzagli.
BONUCCI 8,5 — Il bianconero cresciuto di più tra uno scudetto e l’altro. All’inizio della stagione scorsa sgomitava per affacciarsi tra i titolari e vincere la diffidenza dei tifosi. Conte lo impose al centro della difesa e del suo progetto tattico: ultimo baluardo e primo regista, quando Pirlo è assediato dal pressing. Pochi in squadra hanno le sue responsabilità. In questa stagione le ha sopportate con la personalità e la sicurezza dei grandi. Lo chiamano Franz o Gaetano, per sorridere della prepotente autostima che lo porta ad avanzare petto in fuori e palla al piede, come un Beckenbauer o uno Scirea. Quest’anno di lui si è sorriso molto meno. Ora regge paragoni importanti. Qualche fisiologico passaggio a vuoto (con l’Inter allo Stadium, col Milan a San Siro), ma in generale una continuità di resa anche sorprendente. Rispetto a un anno fa gli manca soltanto qualche gol prezioso.
MARCHISIO 8,5 — Non ha ingombrato le copertine come nel campionato scorso, quando grandinò gol (9), colpì bersagli eccellenti (Inter, Milan, Roma, Fiorentina) e visse la stagione della consacrazione. Reduce da un Europeo sfiancante, con ridotte finestre di recupero (Champions), un fisico come il suo, che pare sproporzionato alle energie versate, un po’ ha sofferto. Poi guardi le medie voto e scopri che è il primo dei titolari: 6,34. La splendida stagione scorsa non l’ha imborghesito. La generosità agonistica è il suo stile di vita. Duttile tatticamente, ha fatto pure il trequartista, per consentire a Conte di recuperare Pogba. Il Principino è il simbolo della forza etica di questa Juve: lavora sempre sodo, anche fuori dalle copertine. Tre gol nei derby sono un vezzo orgoglioso per un figlio della Mole.
BUFFON 8 Non ha toccato i picchi spettacolari dello scudetto precedente, anche perché l’assetto ormai rodato della squadra lo ha protetto meglio. Ha registrato qualche passaggio a vuoto. Non è il baluardo atteso quando cala l’Inter di Strama a saccheggiare lo Stadium e violare una verginità lunga 49 match. Il peggio lo vive dopo il panettone, davanti allo scatenato Icardi (Samp) e anche nella trasferta di Parma scricchiola. Ma sono momenti in una stagione che non hanno scalfito la proverbiale affidabilità. Rummenigge gli dà del pensionato a Monaco, Gigi risponde in campionato:protagonista nelle vittorie in trasferta su Lazio e Inter. Da copertina un riflesso su Palacio che spara da un metro. I grandi reagiscono così. Il fiore all’occhiello è una parata su Emeghara in Juve-Siena 3-0. Anche in questo titolo tante sfumature di Gigi.
PIRLO 8 — Impossibile ripetere il favoloso campionato scorso, quello dell’orgoglio, dopo lo strappo col Milan. L’Europeo giocato da protagonista, le fatiche di Champions e un anno in più hanno pesato. Gli avversari hanno stretto morsa: Bertolacci (Genoa) glielo ha fatto capire già alla 3ª giornata a Marassi, francobollandolo di brutto. Ha sofferto pure contro reparti attrezzati, come quello della Fiorentina, al Franchi. Ma, detto questo, è stato la prima guida dello scudetto, la solita macchina da assist, l’inimitabile distributore di tempi e personalità, con un tesoretto importante di cinque punizioni-gol. Già in gol alla prima. I lanci illuminati per gli incursori che s’imbucano in area sono l’antidoto migliore al mal d’attacco. Se si spegne il numero 21 (Juve-Samp 1-2), si spegne la Juve. Il dopo-Pirlo va preparato, ma non è ancora cominciato.
POGBA 8 — Il ragazzone francese fa un passo dei suoi, a gamba lunga, verso il cuore della Juve e verso un futuro da protagonista. Lo sforzo di Conte per fargli spazio, avanzando Marchisio nel 3-5-1-1, avrà un seguito ancora più robusto nella prossima stagione, magari con altri moduli. Intanto negli spezzoni giocati e nelle partite da titolare ha dimostrato di poter già essere il domani: 5 gol e una personalità da predestinato, fatta di fisicità esplosiva e di sapienza tecnica notevole. Lo scaldabagno scagliato all’incrocio dei pali dell’Udinese entra di rigore del trailer di questo 29° scudetto. Pochi ne hanno avuto percezione istintiva, ma sapete qual è lo juventino dalla media voto più alta in campionato? Lui, Paul Labile Pogba, anni 20, cresta alta. Non ci si aspettava tanto quest’estate. Per questo lo premiamo con un voto tondo, anche se ha giocato meno dei titolari.
CHIELLINI 7,5 — Inizia in ritardo la stagione per infortunio, si ferma di nuovo a dicembre e perde quasi tre mesi. Rientra titolare nella bolgia del San Paolo, segna il gol che tiene il Napoli a -6 e si batte il petto alla Tarzan: cuore di capitano, anche in una stagione sofferta.
LICHTSTEINER 7 — Il migliore degli esterni di Conte, il simbolo della continuità: in gol alla prima contro il Parma, come uno scudetto fa. Pesante anche il gol a Palermo. Un calo in autunno, rifiorisce dopo la sosta. Isla, che doveva dargli il cambio, non è mai pervenuto.
VUCINIC 7 — Spesso decisivo. Ha confermato genio, non la continuità dell’atteso salto di qualità. Troppe le partite indisponenti, tipo l’ultimo derby. Nove gol per l’unico punto fermo dell’attacco, nella capolista che crea tantissimo, sono pochi.
ASAMOAH 6,5 — Doveva portare furore atletico sulla fascia. Ottimo inizio, ma dalla Coppa d’Africa torna il fratello spompo. Si riprenderà a primavera. Nell’attesa, ecco Peluso (11 presenze, voto 6), arrivato a gennaio dall’Atalanta.
QUAGLIARELLA 6,5 — Una partita buona, poi la smentita. Non costringe mai Conte a confermargli la fiducia e Conte non si affanna a dimostrargliela. Esistono rapporti più empatici. Ma 8 gol su 11 gettoni da titolare non sono pochi (splendido quello all’Inter).
CACERES 6 — Gioca con continuità e resa dopo la sosta al posto dell’infortunato Chiellini. Il gol di testa al Napoli allo Stadium è uno degli snodi importanti. Si ferma alla vigilia del Bayern per incidente d’auto: avrebbe fatto comodo per una difesa a 4.
GIACCHERINI 6 — Coccolato dagli allenatori (Prandelli compreso), non ha mancato di ricambiare la fiducia con la solita dedizione e puntualità tattica. Ormai pienamente a suo agio nel ruolo di interno. Al Catania, in extremis, ha segnato uno dei gol-scudetto.
GIOVINCO 6 — Nessuno tra i partner di Vucinic ha avuto tanto credito: 21 volte titolare. I 7 gol, quasi mai decisivi, non bastano a dire che abbia ricambiato. Buone partite, mai l’evoluzione a pedina continua e determinante. Autostima superiore alla resa.
PADOIN 6 — Soldatino di fascia. Non sarà Robben, ma a destra ha sempre assicurato corsa, attenzione tattica e sacrificio. Una garanzia, come Marrone, ormai sicuro vice-Bonucci: 8 presenze, voto 6. Con lui in campo la Juve ha sempre vinto.
MATRI 6 — Vale il discorso di Quagliarella: 7 gol su una ventina di presenze (solo 8 da titolare) non sono malaccio. Ma il passo indietro rispetto alla stagione scorsa (10 reti, gol-scudetto al Milan) è stato palese. Carenza di personalità e qualità tecnica.
ISLA 5 — La delusione della stagione. Innesto fallito e non solo per il grave infortunio che ha alle spalle. Non si è mai acceso il motore acquistato a Udine. Impercettibile anche l’apporto di altri due nuovi: Bendtner (8 presenze, s.v.), Anelka (1, s.v.)
DE CEGLIE 5 — Un campionato fa le sue cavalcate diventarono il simbolo della rimonta sul Milan. Sembrava la consacrazione di un giovane da Juve. Quest’anno la smentita: presenze quasi dimezzate, sparito dai radar a inizio febbraio. Ora si parla di mercato.
0 comments:
Posta un commento