Quando si pensa al Brasile viene immediatamente in mente il futbol bailado, la tecnica sublime, il bel gioco ed un sole che ti accarezza la pelle. A circa ottomila chilometri di distanza sorge una delle città più belle del mondo, culla della cultura classica e madre della più grande civiltà della storia: Roma. Nella capitale del Bel Paese i calciatori brasiliani hanno da sempre trovato uno dei luoghi migliori in cui esprimersi, in cui trovare una seconda casa. Apri-fila del movimento è stato un attaccante di Rio de Janeiro, Dino da Costa, approdato in giallorosso nel 1955 e ben presto divenuto un idolo dei tifosi. Capace di segnare 12 reti in 9 derby con la Lazio, è tutt'oggi il più prolifico cannoniere della stracittadina romana, al pari di Marco Del Vecchio e Francesco Totti. Dopo di lui Josè da Silva, Da Costa Jair e quel Benedicto Sormani capace di incantare in campo e condurre la squadra dalla panchina una volta ritiratosi.
Quando penso al binomio Roma-Brasile, è però impossibile non pensare immediatamente a Paulo Roberto Falcao e Toninho Cerezo, campioni capaci di fare la storia del calcio e del club capitolino. Falcao è stato una colonna della società dell'allora presidente Dino Viola, un leader, in campo e fuori. Arrivare ad esser apostrofato come il "divino" o "l'ottavo re di Roma" è un'onorificenza che la tifoseria della Sud ha concesso ad un solo altro uomo, un certo Francesco Totti.
Il "baffuto" Toninho Cerezo è stato invece simbolo della voglia di vincere, tanto da sacrificare le proprie vacanze pur di giocare (e decidere) la finale di Coppa Italia contro la Sampdoria, squadra con cui giocherà e vincerà negli anni avvenire.
Da sempre fra i campioni della Seleçao e la Roma si è stretto un forte legame, che nel corso degli ultimi vent'anni è stato di luci ed ombre, successi e tonfi. Simbolo di questo rapporto sono certamente due difensori, che con il loro carisma e le loro giocate hanno segnato indelebilmente la storia del club. I tifosi della "Lupa" avranno già capito di chi sto parlando, Aldair Nascimento do Santos e Marco Evangelista de Moraes.
Aldair, approdato alla Roma nel lontano 1990 dal Benfica, è stato uno stopper fantastico, che faceva dell'eleganza e della concretezza i suoi punti di forza. Marcatore implacabile a dispetto della sua velocità non proprio memorabile, Aldair sapeva come pochi essere nel posto giusto al momento giusto, frapporre il suo corpo e le sue lunghe leve alla propria porta, per chiuderla a doppia mandata. Soprannominato dai tifosi "Pluto", il difensore brasiliano ha saputo guadagnarsi l'affetto ed il rispetto della piazza, tanto da portare al braccio la fascia di capitano per molti anni.
Marco Evangelista de Moraes, o più semplicemente Cafu, è stato per il Brasile e per la Roma un'istituzione, un pezzo di storia. Ancor prima di essere un terzino formidabile, Cafu è stato un esempio in campo e fuori. Sempre gentile e sorridente, ha incarnato i giusti valori che un campione dello sport deve avere. La gioia nel fare il proprio lavoro, nell'allenarsi e nel far fronte a successi e sconfitte, sono le qualità che tutti i grandi sportivi dovrebbero avere. In campo Cafu era un'ira di Dio, solcava la fascia con impressionante regolarità ed era sempre pronto, tanto in difesa quanto in attacco. Il soprannome "Pendolino" descrive perfettamente le capacità del terzino destro più forte degli ultimi vent'anni, abile tanto nel ripiegare quanto nell'offendere, sempre pronto a farsi in quattro per i compagni e l'ultimo a mollare. Il suo palmarès, fatto di trionfi in ogni continente e squadra, parla da solo.
Franco Sensi aveva un debole per i brasiliani, nel corso della sua presidenza non solo Aldair e Cafu, ma molti altri carioca hanno avuto il privilegio di vestire la maglia giallorossa. Alcuni hanno ripagato la fiducia, altri hanno deluso amaramente.
Pensiamo ad esempio agli ultimi quindici anni, il periodo più sudamericano nella storia del club. Sono approdati a Roma, nell'ordine, Paulo Sergio, Zago, Fabio Junior, Emerson, Assunçao, Lima, Mancini, Cicinho, Doni, Taddei, Julio Baptista e Adriano, fino ad arrivare ai più recenti Marquinhos, Castan e Maicon. Quasi tutti giocatori di un certo livello, ognuno dei quali ha avuto una storia particolare.
Come Paulo Sergio, attaccante rapido e prolifico acquistato dai tedeschi del Bayer Leverkusen, con cui i Sensi faranno sempre ottimi affari. Campione del Mondo nel 1994, Paulo Sergio griffa 24 reti in due anni e saluta la piazza romana per andare a chiudere la carriera in Germania, al Bayern Monaco. Prima di andarsene, lascia a tutti un indelebile ricordo nel perentorio 5-0 contro il Milan. Un goal memorabile, fantastico, in cui salta con irridente semplicità Costacurta e batte Sebastiano Rossi con un potente destro incrociato.
Perso Paulo Sergio, i capitolini decidono di puntare ancora su un attaccante della Seleçao, acquistando a peso d'oro quello che in patria viene soprannominato "il nuovo Ronaldo". Fabio Junior arriva dunque in giallorosso per 30 miliardi di lire e colleziona una sequela di magre figure che fanno ben presto capire al mondo intero che l'unica cosa in comune con il numero 9 dell'Inter è il taglio di capelli. La sua esperienza romana dura la miseria di 16 spezzoni di partita, sufficienti per far esultare la Sud nel momento del suo commiato.
Diversa fortuna ebbero Carlos Zago, Emerson e Marcos Assunçao, grandi in campo e idoli della piazza per quello storico Scudetto nel 2001. Zago era un difensore duro e ruvido come pochi, capace di formare con Aldair e Samuel una linea difensiva tutta sudamericana, l'unica che nel corso della sua storia Fabio Capello ha schierato a tre. Zago non aveva la classe di Samuel o la visione di gioco di Aldair, ma era il perfetto "mastino" che ogni squadra vorrebbe. Davanti a lui giostrava Emerson, approdato a Roma nuovamente dal Bayer Leverkusen. Il numero 8 è stato uno dei perni della squadra di Capello, un valore aggiunto. Abile tanto in fase di possesso quanto in ripiegamento, Emerson ha deciso con le sue giocate più di una partita, giustificando i 22 milioni di dollari versati nelle casse della squadra delle "aspirine". Dinamico e sempre concentrato, Emerson è stato il faro del centrocampo di Capello, affiancato ora da Tommasi, ora dal connazionale Assunçao. Approdato a Roma l'anno prima dello Scudetto, Assunçao non è stato un titolare inamovibile della mediana giallorossa, ma ha entusiasmato la gente come pochi. Aveva una visione di gioco notevole e calciava le punizioni in maniera divina. Specialista dai 25 metri, calciava di forza o precisione indifferentemente, scavalcando la barriera e gonfiando la rete in più di un'occasione.
Per rinforzare il reparto di centrocampo, l'anno dopo il tricolore, Capello chiede un brasiliano atipico. Niente piedi buoni o visione di gioco, ma tanta corsa e grinta. Lima era il classico calciatore che il tecnico di Pieris sa apprezzare. Senza fronzoli e con la voglia di lottare su tutti i palloni, Lima è entrato a piccoli passi nella storia del club giallorosso, lasciando un bel ricordo di sé. Come un gladiatore dell'antica Roma, Lima non contemplava la possibilità di arrendersi o togliere la gamba, uno spirito encomiabile che lo porterà a giocare oltre i 40 anni.
Gli anni di Spalletti, poco dopo l'ebbrezza tricolore, vedono una Roma molto attiva nel mercato brasiliano, con giocatori in entrata ed in uscita ad ogni sessione di mercato. Praticamente ogni zona del campo ha il suo carioca, ad iniziare dalla porta. Donièber Alexander Marangon, o per meglio dire Doni, arriva a Trigoria in sordina con i crismi del vice Curci. In men che non si dica l'estremo difensore di Jundiaì si conquista il posto da titolare e non lo molla per diversi anni, venendo anzi affiancato dal connazionale Jùlio Sèrgio nella stagione successiva.
La retroguardia viene puntellata con due laterali, approdati rispettivamente via Siena e Real Madrid. Rodrigo Taddei, jolly di fascia esploso nella squadra toscana, viene acquistato nell'estate del 2005 a parametro zero. Forse non si tratta di un fuoriclasse, ma la generosità dell'esterno di San Paolo è fondamentale per Spalletti, che fa di Taddei uno dei perni della sua squadra. Da par suo il brasiliano ripaga la fiducia con goal pesanti, come quello al Santiago Bernabeu negli ottavi di Champions League, e con giocate strabilianti. Celebre il numero che lui stesso ha ribattezzato "Aurelio" in onore del suo massaggiatore, esibito durante una delle notti europee sul campo ateniese dell'Olympiakos. Per un cursore che ha fatto la storia, uno che non ha lasciato alcuna traccia. Cicero Joao de Cèzare, meglio noto come Cicinho, viene acquistato per 9 milioni di euro dal Real Madrid. Presentato in pompa magna, il nazionale verdeoro dev'essere il fuoriclasse che puntella la difesa, che le conferisce qualità. La storia insegna invece che il terzino paulista è stato un vero flop sulle rive del Tevere, restando a libro paga fino all'ultimo giorno del suo pluriennale contratto.
A centrocampo, per raccogliere le pesanti eredità dei predecessori, arriva in un freddo giorno dell'inverno 2002 un talentuoso ragazzo di Belo Horizonte. Esploso nell'Atlètico Mineiro, Amantino Macini strega gli osservatori romani, che lo acquistano e lo parcheggiano sei mesi a Venezia, in Serie B. Qui trova diverse difficoltà di ambientamento, con mister Gregucci che lo fa sedere in panchina con sconcertante regolarità. Spalletti lo vuole comunque valutare e in estate viene riportato alla base, dove impressiona con la sua rapidità, i suoi dribbling e quel genio carioca che ti conquista. L'amore fra Mancini e la Roma deflagra in tutta la sua forza, fino ad esplodere con un goal di tacco nel derby con la Lazio.
Il Brasile è la patria degli attaccanti, tanto quelli di classe quanto quelli di potenza. La prima scommessa giallorossa per il reparto avanzato arriva ancora da Madrid. Jùlio Baptista, centravanti soprannominato "la bestia" per il suo fisico corpulento e la sua potenza atletica devastante. Esploso nel Sevilla, con il Real Madrid ha vissuto periodi di luci ed ombre e arriva a Trigoria con l'entusiasmo di chi è pronto a spaccare il mondo. La voglia c'è, l'impegno anche, la fortuna meno. Baptista giocherà 57 partite in 3 stagioni, siglando 12 reti, una delle quali con una rovesciata d'altri tempi per vincere in zona Cesarini contro un Torino mai domo. Per affiancarlo, nell'estate di qualche anno fa, la scommessa. Adriano Leite Ribeiro, scaricato dall'Inter solo un anno prima, ha fatto faville in patria con la maglia del Flamengo. La
Roma fiuta l'affare e ingaggia il panzer di Rio, con la speranza di fare l'affare. La speranza si tramuta ben presto in un incubo, con Adriano che si presenta in condizioni imbarazzanti. Demotivato, triste e completamente fuori forma, l'ex enfant prodige nerazzurro colleziona la miseria di 5 apparizioni, lasciando la città con l'immediata rescissione del contratto, per giusta causa.
Le recenti esperienze negative non hanno scoraggiato la Roma, che con la nuova proprietà statunitense è tornata ad investire sul mercato carioca. L'anno scorso è arrivato a Trigoria Castan, centrale difensivo di grande affidamento e continuità. In estate è stato invece acquistato quello che può esser considerato ancora oggi uno dei terzini più forti del mondo, Maicon. Con gli osservatori di mercato ben attenti sui giovani talenti, la feijoada potrebbe ben presto sostituire l'amatriciana in quel di Roma.
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