“Il campo era davvero impraticabile. Conte diceva che la palla non
rimbalzava e aveva ragione, ma al minimo rimbalzo io dicevo: ecco, rimbalza!
Ricordo che anche l’anno prima eravamo stati arbitri dello scudetto, con quel Perugia-Milan
1-2 che lo consegnò ai rossoneri a discapito della Lazio: fummo sbattuti in
Giappone per punizione e non ricevemmo alcun premio salvezza. Insomma non
volevamo fare la stessa fine e poi Gaucci ci telefonava ogni giorno, faceva
pressioni: diceva che Perugia-Juventus avrebbe cambiato la nostra vita nel bene
o nel male”.
Le parole di Renato Olive lasciano spazio a
pochi dubbi. L’ex capitano del Perugia, nel corso di una puntata de “La tribù
del calcio”, ricorda quel pomeriggio umbro, in cui la partita più importante
dell’anno si giocò su un campo allagato, impraticabile. Un match dall’andamento
folle, un pomeriggio teso come pochi ne ricordo in Serie A. Le squadre
asserragliate in spogliatoi allagati, gli inservienti che foravano il campo nel
tentativo di drenare qualche millilitro d’acqua. Un milione di laziali a Roma
con il fiato sospeso, di cui settantamila all’interno di uno stadio Olimpico
più simile al Colosseo che ad un tempio del calcio. Una situazione surreale,
che non potrà mai essere dimenticata.
Lazio e Juventus son le grandi favorite per lo
Scudetto. Ancelotti, succeduto a Marcello Lippi sulla panchina bianconera, ha
come unico obiettivo quello di riportare a Torino il tricolore. La società gli
ha messo a disposizione una squadra molto competitiva, rinforzando un gruppo
già solido con Gianluca Zambrotta, Edwin van der Sar, Sunday Oliseh e Darko
Kovacevic. Accanto a loro i campioni di lungo corso che la Vecchia Signora può
vantare, gente come Del Piero, Zidane, Conte, Inzaghi e Davids. La stellina
francese Thierry Henry, dopo appena sei mesi, è invece “scaricata” all’Arsenal,
nonostante la ferma opposizione di Carletto Ancelotti. E’ lo stesso Henry a
svelare il retroscena in un’intervista a Football
Illustrated, dove dichiara: “La Juve
ha voluto così, loro volevano acquistare Marcio Amoroso, l’Udinese voleva me
come contropartita. Mi rifiutai, perché questo significava mancanza di fiducia
nei miei confronti. Ho chiesto di andare, loro sono stati
d’accordo. L’allenatore non voleva cedermi, nè lasciarmi andare in
prestito. I dirigenti, invece, la pensavano in un’altra maniera. I giocatori
sono stati grandi, mi hanno chiamato tutti, quando sono partito. Ancelotti
pure”.
I biancocelesti di Eriksson, smaltita la
delusione per lo Scudetto perso sul filo di lana in favore del Milan, si
ripresentano ai blocchi di partenza con una squadra rinnovata. Ivàn de la Peña e Christian Vieri vengono ceduti, ma il presidente Cragnotti fa le cose
in grande, mettendo a disposizione del tecnico svedese alcuni grandi giocatori.
Juan Sebastiàn Veròn e Diego Simeone si vanno ad aggiungere ad una rosa
calciatori di livello mondiale con nomi del calibro di Nesta, Bokšić, Salas, Sérgio Conceição, Pavel Nedvěd e Siniša Mihajlović.
La sfida appare fin da subito esaltane e le
due compagini iniziano a duellare dalla prima giornata. La solidità della Juve
di Ancelotti è strabiliante. Una squadra assai poco spettacolare ma
impenetrabile in difesa. Eriksson ha invece plasmato una formazione a trazione
anteriore, capace di segnare goal a raffica ma un pò incostante nei risultati.
La sconfitta nel derby, qualche pari di troppo ed una difesa ballerina portano
la Lazio ad essere nove punti dietro la Juventus a otto giornate dal termine. I
giornali hanno già virtualmente cucito lo Scudetto sul petto della Juventus, ma
non hanno fatto i conti con l’oste.
Sul più bello i bianconeri, infatti, iniziano
ad arrancare. Nella fresca notte meneghina, al cospetto del Milan, la Juve ha
la prima di una serie incredibile di botte d’arresto. E’ Schevchenko a far
capitolare i torinesi, ridando speranza ad una Lazio capace di ribaltare il
risultato nel derby con la Roma, grazie a due magie di Nedvěd e Veròn nel giro di tre minuti.
La settimana successiva, al Delle Alpi, è in
programma proprio lo scontro diretto fra le due contendenti. La Juve parte forte,
ma trova sulla sua strada un Ballotta in serata di grazia. Gli avanti
bianconeri spingono e concludono con foga, ma davanti alla linea di porta
sembra essere eretto un muro. Al 65’ Ciro Ferrara si fa espellere per doppia
ammonizione. Nemmeno il tempo di ridisegnare la Juventus che per Ancelotti
arriva una doccia ghiacciata. Sulla punizione seguente, infatti, El Cholo
Simeone incorna di testa e spedisce il pallone laddove un Van der Sar ombra di
sè stesso non arriverà mai. Il campionato è ufficialmente riaperto.
La contesa continua sul filo dell’equilibrio,
del rasoio. I bianconeri inciampano a Verona sotto i colpi dell’ex discepolo
Cammarata; la Lazio si fa acciuffare a tempo scaduto da Batistuta, che fa un
favore agli eterni rivali torinesi. A 180’ dalla fine di un campionato
tiratissimo i romani sono indietro di due punti. Nella trasferta di Bologna
hanno la meglio su di un lodevole Bologna; la Juventus vince di misura contro
il Parma con un goal di Del Piero, il primo su azione dopo più di un anno. La
vittoria, però, passa alla storia per la polemica fra Fabio Cannavaro e
l’arbitro De Santis, che annulla una rete di testa del campano per un fallo su
Kovacevic. La decisione, che scatena tutti i moviolisti dello Stivale,
accompagna la settimana più rovente, quella appunto di Perugia-Juventus.
Con due punti di vantaggio sulla Lazio gli
uomini di Ancelotti si avvicinano alla partita di Perugia con la testa piena
zeppa di dubbi. Gli umbri hanno un presidente romano, Luciano Gaucci, che
intima ai suoi ragazzi di giocare alla morte. Giusto così, il campionato va
onorato fino in fondo ed i biancorossi giocheranno una partita ben oltre i
limiti dell’agonismo. Dopo le polemiche contro il Parma, i designatori mandano
al Curi quello che unanimemente è considerato il miglior fischietto italiano,
Pierluigi Collina. La Lazio, invece, se la deve vedere contro una Reggina già
salva, che si presenterà a Roma con le infradito già indosso. La partita vera,
per i romani, si gioca però qualche centinaio di kilometri più a sud, a
Perugia.
Le due partite partono in contemporanea, onde
evitare spiacevoli situazioni. La Juve di Ancelotti attacca ma in maniera
disordinata e inefficace. I bianconeri sono contratti, giocano bloccati da una
tensione evidentissima. Del Piero e Zidane provano a inventare, ma le
asfisianti marcature perugine bloccano le loro iniziative. Materazzi, Calori,
Milanese e Giovanni Tedesco pressano e marcano con straordinaria efficacia. I
torinesi sembrano intimoriti a vincere ed il primo tempo va in archivio con
poche occasioni ed una fastidiosa pioggia che, negli ultimi minuti, inizia a
farsi sempre più fitta. Di contro, a Roma, la partita è già chiusa. Due calci
di rigore consentono a Simone Inzaghi e Juan Sebastian Veròn di indirizzare una
partita dal risultato ormai scritto. Orecchie e attenzione son tutte rivolte a
Perugia, dove l’acqua dal cielo si sta rapidamente trasformando in una tempesta
biblica.
Nei quindici minuti d’intervallo il campo da
gioco si trasforma in una piscina olimpionica. Raramente ho visto in vita mia
così tanta acqua cadere dal cielo, con violenza e inaudita efficacia. Il campo
è un enorme pozza, con inservienti particolarmente “minuziosi” che drenano
l’erba con rastrelli ed aste appuntite. L’input arrivava ovviamente dal
presidente Gaucci, le cui parole prima della partita sono state riportate da
Eurosport con cristallina semplicità: “Prima della partita minacciai i miei
giocatori - ricorda - se non avessero battuto la Juventus, io sarei
dovuto scappare da Roma, ma loro se ne sarebbero andati per 3 mesi in Cina in
tournée. E al designatore durante il diluvio dissi: sia chiaro che se
sospendete questa partita, io non la gioco mai più”.
Su tutti i campi di A, intanto, si riprende a
giocare. In Umbria la situazione è disperata, i giocatori non riescono nemmeno
ad uscire dagli spogliatoi e Collina non fa riprendere il gioco. A Roma è
arrivata la notizia, così anche la Lazio non vuole tornare in campo. La Lega
Calcio, nelle figure dei suoi delegati, cerca di gestire la situazione, ma i
minuti passano. Dopo circa quaranta minuti la pioggia inizia a farsi meno
intensa. Collina fa un sopralluogo sul campo, armato di ombrello griffato
Selex, lo sponsor perugino. Il pallone non si alza di un solo millimetro, ma
cade nelle pozze come fosse il proiettile di un cannone. All’Olimpico, intanto,
gli animi si scaldano. Tanto negli spogliatoi quanto in tribuna la pressione è
enorme. L’arbitro, onde evitare scontri, decide di far riprendere la partita.
La Lazio giochicchia, la Reggina è completamente ferma. Simeone chiude il match
dopo una manciata di minuti, e tutta Roma si ferma a capire cosa stia
succedendo a Perugia.
“Capimmo
subito che la partita non sarebbe mai stata rinviata per paura che da Roma
arrivassero i laziali e scoppiassero disordini . In
settimana avevamo ricevuto attacchi durissimi, erano tutti contro di noi”. Antonio Conte prova a far valere le sue
ragioni, prova a dimostrare che quel secondo tempo non si sarebbe dovuto
giocare. Olive e Materazzi pressano Collina, la partita dev’essere giocata. Il
fischietto non sa francamente che pesci prendere, parla al telefono, scruta il
cielo e spera che si possa riprendere. Dopo oltre un’ora di attesa, con i
tifosi della Lazio ormai sul prato dell’Olimpico, la decisione: si gioca.
Milan Rapajc ricorda quel secondo tempo ai
microfoni di Radiosei: “Ricordo una partita dove potevamo giocare
anche a pallanuoto per la quantità della pioggia caduta. Mazzone era un
grande allenatore, ci caricava al 100% prima di ogni partita, anche prima di
quella gara dove tutti ci davano per spacciati. Alla fine abbiamo fatto il
nostro dovere e meritato la vittoria. Materazzi? E’ sempre stato un grande
tifoso della Lazio, quel giorno ci teneva particolarmente a vincere contro la
Juventus”. La partita riprende, con giocatori freddi e mentalmente destabilizzati.
Il Perugia non ha nulla da perdere e gioca sciolto; la Juventus, se prima era
bloccata, torna in campo letteralmente paralizzata. Dopo quattro minuti un
lancio in area da calcio di punizione viene respinto goffamente da Conte. Il
colpo di testa del capitano è debole e sbilenco, il pallone finisce sui piedi
di Calori che calcia di destro in fondo al sacco. Di lì in avanti non si
capisce più nulla, la Juventus spinge con la sola forza della disperazione,
scontrandosi contro il terreno zuppo ed un bravo Mazzantini.
Gianluca Pessotto, giocatore di straordinaria
sportività, compie un gesto favoloso. Sotto di un goal, con lo Scudetto che gli
scivola dalle mani, regala una rimessa al Perugia. Il guardalinee assegna un
throw-in in zona d’attacco ai bianconeri, ma Pessotto fa cenno a Collina di
averla toccato per ultimo e cede il possesso palla. Un bellissimo gesto di
sport, fatto in un momento drammatico.
Ancelotti le prova tutte, manda in campo
Kovacevic e Zambrotta, con quest’ultimo che in sette minuti riesce a farsi
cacciare per somma di ammonizioni. Il cambio della disperazione è Juan Eduardo
Esnaider, che non si riscatta e si conferma il carneade che a Torino tutti
ricordano ancora oggi. La Juventus è sconfitta, in una partita che non si
sarebbe dovuta giocare. Non perchè le condizioni del campo non fossero le
stesse per tutti; non perchè la squadra più tecnica veniva penalizzata, ma per
un semplice motivo.
“La
verità è che la Juve avrebbe dovuto andarsene, invece siamo rimasti lì alla
merce' di chi decideva e quando siamo scesi in campo non c'eravamo più.Collina?
Sicuramente parlò al telefono con qualcuno: di
chi si trattasse, non lo sapremo mai. Dico solo che da regolamento la
sospensione non può durare più di 45 minuti: Collina invece aspettò quasi il
doppio”. Già, nello sport le
regole sono importanti e la Juventus, e Moggi, lo capiranno ben presto a loro
spese.
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