“In una partita il Liverpool può segnarci 5 gol, ma anche noi a loro”.
Jordi Cruijff non è stato nemmeno l’ombra di suo padre, ma con questa profezia si è candidato per essere uno degli uomini simbolo della veggenza calcistica. Scherzi a parte, la finale di Dortmund è stata una delle partite più pazze che io abbia mai visto. Ha fatto divertire il pubblico allo stadio ed in tv, è stato un bellissimo spot per il calcio offensivo e ha per poco regalato alla Cenerentola della competizione un insperato successo. Gli strascichi di questa finale, di questo successo del Liverpool, purtroppo, si sentiranno poi anche nell’assegnazione del Pallone d’Oro, alzato da Michael Owen in un freddo inverno parigino fra l’incredulità di molti addetti ai lavori.
Il Liverpool in una finale europea non fa notizia. Gli inglesi, guidati in panchina dal francese Gerard Houllier, sono una squadra forte e compatta. Oggettivamente meno attrezzato del Liverpool di Benitez, i Reds pongono le basi per rinverdire i fasti di fine anni ’70 e inizio anni ’80, quando riempirono la bacheca di Anfield Road con quattro Coppe dei Campioni. Houllier sa di non avere una squadra forte come lo United o bella come l’Arsenal, ecco perchè plasma un 4-4-2 di chiara ispirazione italiana. Difesa e centrocampo sono reparti solidi e pratici, guidati dal capitano finlandese Sami Hyypiä e dal giovane campione inglese Steven Gerrard. In porta l’olandese Westerveld non è un fuoriclasse ma un portiere comunque affidabile, e questo passa il convento. Hyypiä è il leader di una retroguardia molto forte sui palloni alti, completata dallo svizzero Henchoz, dal tedesco Babbel e dall’inglese Jamie Carragher, un ragazzo duttile e di temperamento destinato a diventare una colonna dei Reds. A centrocampo Gerrard è il fuoriclasse in grado di cambiare i ritmi alla partita, di spaccare le difese con i suoi inserimenti. Completano il reparto il dinamismo di Hamann, la corsa di Danny Murphy ed il carattere dello scozzese McAllister. In avanti il fuoriclasse è senza dubbio Michael Owen, affiancato dall’ariete britannico Emile Heskey, capace di portar via il posto all’idolo di Anfield Robbie Fowler, ormai relegato in panchina.
L’Alavès di Josè Manuel Esnal è invece la classica favola calcistica. Una squadra convinta dei propri mezzi, tatticamente disciplinata e che trova l’annata della vita. Non a caso oggi, l’Alavès ristagna nei bassifondi della Segunda Division spagnola, ma a cavallo del nuovo millennio era un ostico cliente tanto in Spagna quanto in Coppa Uefa. Il dogma di Esnal è chiaro, “difendersi e ripartire rapidi in contropiede”. Il mister spagnolo schiera così un 5-4-1 che avrebbe fatto passare per offensivo persino Trapattoni, uno che ingiustamente è stato etichettato come “catenacciaro”. In porta l’argentino Herrera; in difesa i carneadi Karmona, Tèllez, Eggen e Geli. A completare il reparto l’unico difensore un pochino conosciuto, il romeno Cosmin Contra, che impressionerà nei primi mesi al Milan, salvo poi spegnersi in maniera clamorosa. A centrocampo l’ex romanista Tomic, un difensore riciclato mediano davanti alla difesa, e gli argentini Desio e Astudillo. A completare il reparto, giocando sulla destra, Jordi Cruijff. Il figlio del grande Johan è stato un giocatore modesto, per non dire mediocre. Eppure il suo cognome lo ha sempre aiutato, facendolo militare in club del calibro del Barcelona o del Manchester United, salvo chiudere la carriera a Malta, dove tutt’ora è viceallenatore dello sconosciuto clun locale Valletta. L’attacco gira tutto intorno al bomber spagnolo Javi Moreno, numero 9 sulle spalle ed un futuro a Milano, sponda rossonera. Javier Moreno Valera è stato una meteora con la maglia meneghina, così come nelle restati esperienze in carriera, ma in quella stagione ha saputo trascinare l’Alavès tanto in Liga quanto in Europa, guadagnandosi la casacca delle Furie Rosse in cinque occasioni.
Con queste premesse non doveva esserci partita. Troppo forte il Liverpool, troppo scafato ed esperto per farsi imbrigliare dagli spagnoli, eppure il calcio è strano. La gara dall' inizio alla fine esce da ogni schema logico, con il Liverpool sempre avanti e sempre raggiunto. Demerito degli inglesi, forse, ma anche merito di un Alavès che ha un cuore immenso, bravo a spostare la gara dal raziocinio al sentimento, trascinando nella sua folle rincorsa anche i tifosi del Liverpool. I sostenitori Reds passano dalla gioia sfrenata alla paura, dall’ ammirazione per l’avversario al timore di un club che, da bravo basco, sembra più inglese di loro.
La partita, per l' Alaves, non potrebbe iniziare in maniera peggiore, con il tedesco Babbel che approfitta di una difesa ancora mal disposta per trafiggere di testa i baschi, girando in rete una punizione di McAllister. Una piccola gioia per l' ex difensore del Bayern Monaco, con ancora negli occhi il rimpianto della finale di Champions sottrattagli dalle mani dallo United di Ferguson in quel di Barcellona. L' Alaves è colpito a fredda e sembra non riuscire ad organizzarsi, spaventato dalla velocità di Owen e dalla casacca degli avversari. Il Liverpool ha quindi buon gioco e prende in mano il centrocampo, con Gerrard e Hamann bravia a pressare, recuperare palla e ripartire veloci con le loro trame offensive. Quasi subito, infatti, arriva il raddoppio, con Owen che smarca intelligentemente Gerrard, il cui destro non lascia scampo ad Herrera.
L’Alavés deve cambiare, non può continuare così. Il tecnico lo capisce e restituisce la sua vera identità alla formazione basca, sostituendo Eggen con l' attaccante Ivan Alonso. La difesa torna ad essere una linea a quattro ed il baricentro della squadra si alza di almeno quindici metri. La partita si fa improvvisamente più equilibrata, anche perché il Liverpool smette di pressare e si “barrica” a centrocampo, nel tentativo di difendere il risultato di vantaggio. L'Alaves non riesce a sfondare al centro e si affida alle discese di Contra, che dalla destra spara cross a ripetizione nell’area inglese. Proprio da un’iniziativa del romeno nasce il goal che riapre il match. Ivan Alonso è bravo ad avventarsi di testa e realizzare il goal che riapre la finale. La squadra basca prende coraggio, spinta dai suoi festanti tifosi. Gli inglesi sono ammutoliti ed un piccolo dubbio si insinua nella mente del Liverpool. Per la prima volta i Reds capiscono di dover vincere la finale.
Desio e Jordi Cruijff provano a prendere in mano la squadra, ad accelerare e verticalizzare le loro aperture. Javi Moreno negli spazi stretti fa soffrire non poco le torri Henchoz e Hyypia, ma manca in un paio di occasioni la rete del pari, esaltando l’olandese Westerveld, eterno vice di Van der Sar in Nazionale. La gara sembra richiudersi nel finale di primo tempo, quando Herrera stende Owen lanciato a rete e rimedia una generosa ammonizione. Sul dischetto va lo scozzese McAllister, che trasforma e rigenera i tifosi Reds, pronti ad intonare il loro classico “you’ll never walk alone”.
Come nella finale di Champions in cui il Liverpool “materà” il Milan, le squadre si avviano negli spogliatoi convinti che il match sia finito. Mai sottovalutare l’orgoglio basco, che in 5' della ripresa, riporta l'Alaves in carreggiata. A scatenare i bianoblu è un tarantolato Javi Moreno, che prima di testa su cross del solito Contra e poi su punizione pareggia. Incredibile.
Il Liverpool è in bambola e la rete del pari ne è la conferma. Moreno buca un' approssimativa barriera, costringendo Houllier a studiare delle contromosse. Smicer e Fowler si alzano dalla panchina e vanno a sostituire Henchoz ed Heskey. L'Alaves accusa l'intensità dello sforzo profuso ed inizia a rifiatare. Javi Moreno viene inspiegabilmente sostituito con Pablo, un centrocampista difensivo che snatura nuovamente l’architettura tattica spagnola. Il Liverpool, si stringe intorno ad un sorprendente McAllister centrocampista lento che fa correre veloce il pallone. Lo scozzese suona la carica ed il Liverpool riprende gradatamente il comando del gioco. Lo stesso scozzese offre al “vecchio leone” Robbe Fowler la palla del nuovo vantaggio. Il «bad boy» di Anfield trasforma in gol l’assist del compagno, ribadendo che è lui il più grande attaccante in quel di Liverpool.
Colpito al cuore, l'Alaves non s'arrende ed ha un sussulto d’orgoglio. Il pressing basco è confuso, quasi disperato. Perdere per perdere gli spagnoli fanno saltare gli schemi e si gettano in avanti senza mai voltarsi indietro. Ad un passo dal baratro è Jordi Cruijff a regalare il più pazzo dei pari. Da un’azione d’angolo, Crujiff fissa di testa l' incredibile 4-4, un risultato inprobosticabile alla vigilia. I baschi hanno però speso troppo ed ai supplementari non ne hanno più. In meno di dieci minuti si trovano sotto di un uomo, per l’espulsione di Magno. A questo punto il canovaccio tattico è chiaro, si punta ai rigori. Ma quando Karmona al 10' del secondo, viene allontanato, l' Alaves si trova a scontrarsi contro Golia in nove contro undici.
Il Liverpool è rabbioso, non ci sta ad andare ai rigori, ma non trova gli spazi giusti. Crea densità ma non trova lo spiraglio giusto fra le serrate maglie basche. Solo un episodio può tradire l’Alavès, che si deve arrendere ad un proprio giocatore. Il difensore iberico Geli, al 115', stacca di testa su un’azione da calcio piazzato. La sua deviazione è tanto fortuita quanto sfortunata, perchè la traiettoria del pallone ruota verso la porta. Herrera, in uscita, è battuto da un auto-golden goal.
L’inno del Liverpool dice: “when you walk through the storm, hold your head up high”, ma stavolta a camminare a testa alta sono anche gli spagnoli, sconfitti ma mai domi. La crudeltà del calcio.
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