Il mondo è cambiato. Sembra una di quelle frasi che i vecchi si dicono sulle panchine del parco, ma a ben vedere è vero. Negli ultimi 30 anni la geopolitica ha cambiato radicalmente il volto del nostro pianeta e, di conseguenza, gli equilibri calcistici.
Si potrebbe parlare dell'Unione Sovietica, o della Yugoslavia, che se fosse ancora unita avrebbe presentato nazionali di tutto rispetto. Magari quella di oggi sarebbe semplicemente un'ottima squadra, ma se pensiamo a metà anni '90, sarebbe probabilmente stata la squadra più forte. Mihajlovic, Savicevic, Boban, Prosinecki, Jugovic, Boksic, Mihajtovic, Suker.. un dream team vero e prorio.
Tuttavia le grandi modifiche che il mondo ha subito negli ultimi decenni non hanno avuto solo un impatto a livello di squadra, ma hanno permesso anche ai calciatori con doppia nazionalità di avere un'annosa scelta: giocare per una quotata nazione e dare l'assalto alla Coppa del Mondo, oppure difendere i colori del piccolo e povero paese d'origine?
Io sono un romantico, e penso che la scelta di difendere il proprio paese d'origine, africano, asiatico o americano, sia coraggiosa e degna della massima stima.
Penso a giocatori del calibro di George Weah e Didier Drogba, che hanno scelto di essere il simbolo delle loro nazioni piuttosto che indossare la maglia Blues della Francia. Ma anche a Samuel Eto'o, che ha preferito il suo Camerun alla più quotata Spagna; o a Robert Prosinecki, nato in Germania ma simbolo della Croazia. Come sarebbero cambiate queste nazionali, e come cambierebbero tutt'oggi. Quanto perderebbe l'Argentina se Messi avesse scelto di giocare per la Spagna, avendo il passaporto iberico? Come cambierebbe la Francia se al posto dello sterile Giroud potesse schierare Gonzalo Higuain? Due semplici esempi che fanno capire come passaporti e politica possano cambiare il volto di una squadra.
Ecco perchè provo grande rispetto per gente come Drogba o Weah, che hanno sacrificato vittorie e denaro per diventare il simbolo di un intero paese.
Non si può dire lo stesso per Vieira o Desailly, africani di nascita ma francesi di maglia; o Davids e Seedorf, nati in Suriname e diventati stelle con la maglia orange cucita addosso. Siamo di fronte a scelte di testa e cuore, comprensibili e giustificabili, che hanno inevitabilmente cambiato il volto del calcio mondiale. Decisioni che spaccano famiglie, a volte, come nel caso dei Boateng. Kevin Prince che sceglie il Ghana, paese di
nascita dei genitori; Jerome che invece preferisce la più quotata Germania, con la quale arriva ad un passo dalla finale di Euro2012.
Ci sono poi quei giocatori che rappresentano una sorta di "limbo", vale a dire quelli che scelgono la nazione di nascita piuttosto che la maglia dei genitori. Una scelta comprensibile e rispettabile, ma proviamo a pensare ad una Svezia senza Ibrahimovic, una Francia senza l'armeno Djorkaeff e l'algerino Zidane? E se Stephan El Shaarawy non avesse scelto l'Italia ma l'Egitto? Inevitabilmente gli equilibri sarebbero cambiati.
E' questo il punto su cui focalizzarsi, ovvero su quanto le nazionali avessero potuto e possano essere diverse. Lo ripeto, provo un profondo rispetto per i giocatori che hanno abbracciato la nazione di origine, che si sono immedesimati e sacrificati per la piccola nazione in cui son nati. E' bello, perchè in un certo qual modo dimostra che lo sport è ancora un'isola felice, in cui interessi economici e politici arrivano dopo lo spirito di appartenenza. Mi sarebbe piaciuto un Mondiale in cui Suriname e Senegal potevano ambire ad un posto d'onore; in cui l' Algeria poteva sfoggiare la più lucente stella del mondo: Zidane.
E' un'idea romantica, me ne rendo conto, ma tremendamente affascinante. Specie per le squadre africane, a cui auguro con tutto il cuore di poter vincere un Mondiale, o almeno avvicinarsi all'obiettivo. E' vero, nel '94 la Nigeria ha dato spettacolo ed è uscita per mano di un'Italia spietata, che poteva contare su Roberto Baggio. Era una squadra bella e di qualità, con gente come Oliseh, Finidi, Okocha, Amunike.. gli sarebbero bastati un paio di fuoriclasse per provare a fare di più. Chissà che la nuova geopolitica, oggi che le guerre sono in calo, non possa dare la spinta definitiva al movimento calcistico africano.
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