Esperto di Calcio

28 ottobre 2013

Storie di calcio: Didier Deschamps

Capitano della Francia campione del mondo e d'Europa. Basterebbero queste credenziali per descrivere uno dei mediani più forte di tutti i tempi, Didier Deschamps.
Didier Claude Deschamps nasce a Bayonne il 15 ottobre 1968. Cresce calcisticamente nel Nantes, dove gioca per cinque stagioni, prima di approdare una prima volta a Marsiglia, nel 1989. L’anno successivo veste la maglia del Bordeaux per poi tornare a giocare tre stagioni nell’Olympique Marsiglia, dove vince lo scudetto, la Coppa dei Campioni e conquista il posto fisso nella Nazionale transalpina.
Deschamps viene acquistato da Luciano Moggi nell’estate del 1994 e subito si infortuna gravemente. La parziale rottura del tendine d’Achille costringe Didier a farsi operare ed affrontare una lungaa convalescenza. Ma Didier, mediano tosto di origini basche, non è il tipo che si arrende facilmente. Nemmeno il tempo di guarire che si è preso in mano il centrocampo della Juve, stegando Lippi, che lo elegge immediatamente a perno della squadra. Con il portoghese Paulo Sousa compone una coppia di centrocampo fortissima, che porta la squadra bianconera a vincere scudetto e Coppa Italia ed arrivare in finale di Coppa Uefa.
"Cosa ho trovato a Torino? Una grande società, una professionalità impeccabile da parte di tutti, dal magazziniere al massaggiatore, dai medici al presidente e tutti i dirigenti. Ci mettono nelle migliori condizioni per dare sempre il cento per cento. Sono arrivato a Torino che avevo vinto due campionati francese ed una Coppa dei Campioni, ma la Juventus mi ha dato ancora di più". Deschamps si identifica completamente con la Vecchia Signora, aprendo la strada ad una serie di grandi giocatori francesi: Zinedine Zidane e David Trezeguet su tutti.

Fortissimo nel pressing a tutto campo e nel tackle, Didier ha un senso della posizione che gli consente di integrarsi con qualsiasi compagno, senza la minima difficoltà. É uno di quei giocatori che fanno sempre sentire la loro preseza in campo. La sua grande generosità agonistica, unita ad uno spiccato senso tattico, fanno di Deschamps un campione a trecentosessanta gradi. Il numero di palloni che tocca ed i chilometri che percorre sono incalcolabili. L’unico difetto che gli si può appuntare è che segna raramente: infatti, nelle 178 partite disputate con la Juventus, realizza solamente 4 goal.
Diventa insostituibile anche nella Nazionale francese della quale è l’indiscusso capitano e con la quale vince il Mondiale casalingo del 1998 e gli Europei olandesi del 2000; con la maglia “bleu” totalizza 103 presenze e 4 goal.
Con la Juventus disputa altre quattro stagioni ad altissimo livello, vincendo tutto quello che si può desiderare: in totale il suo palmares vede 3 scudetti, una Coppa Italia, una Champions League, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa Europea e due Supercoppe Italiane.
Nel 1998 entra, come altri suo compagni, in contrasto con Marcello Lippi, con il quale si rompono i rapporti. In estate viene ceduto e lascia Torino per raggiungere Vialli al Chelsea, dove ritrova Marcel Desailly, suo storico compagno in Nazionale. L’esperienza inglese si rivela deludente e Didier decide di chiudere la carriera giocando un anno nella Liga, con il Valencia.

Allenatore nato, diventa ben presto tecnico affermato. Con il Monaco sfiora una Champions League, arrendendosi al solo Porto di Mourinho. Nell’estate del 2004 è il maggiore candidato a sedere sulla panchina della Juventus del dopo Lippi, ma Umberto Agnelli impone a Moggi, Giraudo e Bettega la scelta di Fabio Capello. L’appuntamento con la sua Signora è solamente rimandato di un paio d'anni. Nella turbolenta estate del 2006, infatti, la nuova dirigenza bianconera lo ingaggia, per riportare la Juventus in serie A. Quando mancano due giornate alla fine del campionato 2006/07, raggiunta la matematica promozione nella massima serie, Didier rassegna le proprie dimissioni da allenatore della Juventus. La decisione, sofferta e forse sbagliata, è dettata da un pessimo rapporto con la dirigenza dell'epoca, in primis con quell'Alessio Secco che da lì a pochi anni sarebbe stato cacciato. Deschamps, infatti, sa di calcio e vuole solo un paio di acquisti di spessore. Secco ed il resto della dirigenza, invece, impongono giocatori mediocri come Tiago, Almiron e Iaquinta. Didier da Bayonne non ci sta, saluta tutti e lascia Torino per la seconda volta in carriera.

Didì, intervistato poco dopo la scelta, si dichiara pentito: "Sul momento mi sembrò una decisione giusta, coerente. Invece fu un errore tutto mio. Con il passare del tempo ho realizzato che la gente del calcio non aveva colto le ragioni di quella mia scelta. Faccio un esempio: venni contattato dal Liverpool e la prima cosa che i miei interlocutori mi chiesero durante la riunione fu: “Perché se ne andò dalla Juve?”.
Io e la società avevamo visioni diverse sul futuro e devo dire che anche chi mi stava vicino, come il mio agente, non mi consigliò al meglio. In pratica nulla fece per ricomporre la frattura. Fatto sta che venivamo da un’annata psicologicamente difficile, in cui ci ritrovammo in città e stadi mai visitati prima dalla Juve. Ogni partita era una battaglia. Consumammo davvero molte energie e sapevo che le aspettative l’anno successivo sarebbero state ancora più alte. Ma non si poteva pretendere di vincere subito lo scudetto, bisognava andare per gradi. Ricostruire.
La mia posizione all’epoca era chiara: meglio prendere tre giocatori fortissimi all’anno, piuttosto che sei o sette di medio valore. Per essere all’altezza del proprio passato e delle aspettative che la circondano, la Juve ha bisogno di un continuo ricambio di campioni. Certo la qualità ha un prezzo, ma in quell’anno in B riuscii a lanciare giovani come Marchisio e De Ceglie, quindi potevamo concentrarci su pochi rinforzi di alto livello. Ed il discorso regge anche se parliamo di due grandi rinforzi, piuttosto che cinque arrivi di medio valore».
Deschamps non chiude la porta: «Nell’estate 2006 accettai la panchina della Juve senza sapere se avrei allenato in C, in B e con quale penalizzazione. Si parlava di -30, -18. Fu un modo per sdebitarmi con chi mi aveva dato tantissimo nei cinque anni vissuti a Torino da giocatore. Ottenendo la promozione in A penso di avere saldato il mio debito, di essermi messo in pari".

Di una cosa sono certo al mille per mille, nessuno Torino riserverà mai altro che applausi a Didier. Per quello che ha fatto in campo ed in panchina, e chissà che un giorno non possa tornare e vincere al timone della Signora.

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