Un colosso. Come altro si potrebbe descrivere un giocatore del calibro di Marcel Desailly, approdato in rossonero nel 1993 e destinato a rimanere nella storia del club milanese.
Capello è alla caccia del terzo scudetto consecutivo e, vista la scarsa incisività dell'attacco decide di blindare il centrocampo e badare al sodo. Tackle e fisicità sono quanto di meglio si possa pensare, e Marcel è un'autorità in materia. In mezzo al campo fa sentire il suo peso con interventi molto rudi che evidenziano il suo passato di difensore, ma è proprio ciò che Capello andava cercando.
Desailly arriva a Milano direttamente dal Marsiglia neo campione d'Europa ed è uno stopper sensazionale. La stampa è inizialmente critica con il suo modo di giocare e gli viene subito affibbiata la fama di “killer”. Il settimanale “Guerin Sportivo” dopo una delle sue prime partite con la maglia del Milan lo biasima schiaffandolo “dietro alla lavagna” con la frase durissima “Così si gioca nella jungla”, per via di un paio di interventi spigolosi. Ben presto però, emergono i suoi pregi e il grande senso tattico. La trovata di Capello del difensore avanzato si rivela azzeccata e il Milan domina un campionato stranissimo. L'attacco si affida soprattutto ai lampi di Massaro ma, grazie alla difesa e al centrocampo coperto, spesso un gol si rivela sufficiente per portare a casa l'intera posta. Il francese diventa un idolo a San Siro, sradica palloni agli avversari e punge nel gioco aereo quando si proietta in avanti. Con lui a tamponare le offensive avversarie, Sebastiano Rossi polverizza i record di imbattibilità e la difesa subisce pochissimo.
In coppa dei Campioni, segna un gol importantissimo nella semifinale contro il Monaco e si ripete nella storica finale di Atene superando grazie ad una serie di triangoli la difesa del fortissimo Barcellona di Stoichkov e Romario, per poi battere Zubizzarreta con uno splendido tiro in diagonale siglando così l'ultima rete della serata. Il Milan stravince il match con un rotondo 4 a 0 e per il francese è il secondo titolo consecutivo, dopo quello conquistato con l'OM appena 12 mesi prima.
La sua avventura coi rossoneri parte dunque con uno storico double: scudetto e Coppa. La stagione successiva è però altalenante e la squadra non decolla in campionato terminando lontana dalla Juventus che conquista il titolo. Desailly però raccoglie l'ennesimo record, giocando la terza finale di Champions League consecutiva (seconda con il Milan). La sfida di Vienna con l'Ajax però, malgrado una lieve supremazia rossonera, ha un amaro epilogo, con il giovanissimo Kluivert che segna il gol decisivo, vincendo un rimpallo a qualche minuto dalla fine, negando al Milan il secondo trionfo di seguito.
Nel 1995-96, dopo un anno all'ombra della Juve di Lippi, la squadra di Capello torna protagonista e vince il titolo grazie agli innesti di Weah e di Roberto Baggio. Desailly è ormai un trascinatore e compagni e avversari lo rispettano. La sua fama di calciatore che sul rettangolo verde dà sempre tutto piace, è sinonimo di impegno e professionalità. I giorni alla corte del Diavolo, però, stanno finendo. Con la partenza di Capello il Milan per due anni consecutivi non raggiunge nemmeno un piazzamento Uefa. Al termine della stagione 1997-98 inizia lo “svecchiamento” della retroguardia e Marcel Desailly viene praticamente regalato al Chelsea. Nemmeno il tempo di rimpiangerlo che il mese successivo si laurea campione del Mondo con la nazionale francese.
Oggi, ad anni di distanza, Desailly ricorda i suoi primi mesi in rossonero, raccontando alla Gazzetta: " Milano arrivai da perfetto sconosciuto, senza pretese. Davanti a me per i tre posti da straniero c’era una fila di gente come Van Basten, Boban, Savicevic, Radiucioiu, Laudrup e pure Papin che era Pallone d’oro. Insomma, ero l’ultimo. Ma Capello mi mandò in campo perché diceva che mi allenavo bene. E mi lasciava tirare pure i calci di punizione, non una grande idea.
Berlusconi? Arrivava a Milanello in elicottero e aveva addosso uno spolverino orrendo. Ci spiegava che portava bene. Poi diceva che non aveva nulla da dirci e invece parlava per almeno tre quarti d’ora di fila, ricordando che se entrava in politica era per salvare i suoi interessi e garantire un futuro ai nostri figli. Era convinto che Agnelli volesse rovinargli gli affari. Ibrahimovic? Posso capire quando dice che a Milano sanno trattarti da star".
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