Nella mia vita ho visto un'infinità di partite, un'infinità di giocatori. Raramente mi è capitata la possibilità di studiarli da vicino, di vederli allenarsi a due metri da me. Un'assolata mattina di settembre, nel 2006, ho avuto la fortuna di giocare nel campo a fianco del Parma. I gialloblu, ospiti a Torino in occasione della sfida con il Toro, stavano effettuando la rifinitura nel campo accanto al nostro.
Di quel giorno ricordo uno squisito Stefano Pioli, che vedendoci sbigottiti ci ha detto "buona partita ragazzi", ma soprattutto ho ancora viva negli occhi l'immagine di Domenico Morfeo. Un giocatore con numeri sensazionali, un talento cristallino che non si è mai espresso del tutto.
Nato in Abruzzo (Pescina) il 16 gennaio 1976, Morfeo viene inserito nel prolifico settore giovanile dell'Atalanta a 14 anni, dove conosce Cesare Prandelli. A Bergamo lo considerano un predestinato e a 17 anni lo fanno debuttare in Serie A. In quell'anno colleziona 9 presenze e 3 goal, biglietto da visita di tutto rispetto. La retrocessone degli orobici da al giovane talento la possibilità di giocare con maggior continuità. Con 18 presenze e 3 reti, infatti, il ragazzo abruzzese non solo contribuisce alla promozione della "Dea", ma si ritaglia un ruolo da protagonista per la stagione successiva. Nella stagione 1996-97 Morfeo esplode. Dribbling, giocate sensazionali e goal. Tutto il repertorio. Con 30 presenze e 11 reti il ragazzo si conquista dapprima la maglia della Nazionale Under21, quindi l'ingaggio alla Fiorentina di Batistuta e Rui Costa.
Con la maglia dell'Under21 vive da protagonista l'avventura agli Europei di categoria, riportando a casa la medaglia d'oro. E' l'Under di Cesare Maldini, che schiera campioni di primissimo livello: Buffon, Nesta, Cannavaro, Panucci, Tommasi, Tacchinardi, Amoruso, Totti e appunto Morfeo. Giocatori destinati a grandi imprese, quattro dei quali si laureeranno campioni del mondo 10 anni più tardi.
Con l'affermazione a livello europeo sembra spianata la strada del successo, ma proprio sul più bello, a 20 anni, la sua carriera s'inceppa. A Firenze, complice il dualismo con Rui Costa, si esprime a corrente alternata. Morfeo gioca partite eccezionali, intervallate da momenti di ispiegabile black out. Per il suo bene il fantasista cerca nuovi stimoli. La grande occasione della carriera si chiama Milan, è il 1998. Con i rossoneri, orfani di Savicevic e Roberto Baggio, il ragazzo pensa di riuscire ad affermarsi. Nonostante una buona partenza, anche a Milano soffre il dualismo con un altro grande giocatore, il brasiliano Leonardo. A fine stagione si laurea Campione d'Italia, ma con sole 11 presenze ed una rete decide di cambiare di nuovo. Dapprima passa in prestito a Cagliari, quindi a gennaio viene convinto dal Verona. Nella città veneta ritrova un vecchio mentore, Cesare Prandelli. Sotto le cure dell'antico maestro vive sei mesi entusiasmanti, salvando il Verona con 5 reti in appena 10 presenze. Una media favolosa, che convince la Fiorentina a riportarlo al Franchi. Qui vive gli stessi problemi di qualche stagione prima, trasferendosi nuovamente a Bergamo. Con l'Atalanta gioca con continuità, 17 apparizioni e 5 goal. L'ennesimo ritorno a Firenze sembra possa essere quello giusto. I viola hanno ceduto Rui Costa e Morfeo può finalmente giocare sulla trequarti e dispensare calcio. La fortuna non è dalla sua parte e, nonostante una buona stagione, la Fiorentina retrocede e fallisce. Lo svincolo lo porta a Milano, sponda Inter. Qui l'allenatore Hector Cuper lo impiega come esterno di sinistra, ruolo mai amato dall'eclettico centrocampista. Dopo 17 presenze ed un goal va a Parma.
In gialloblu esprime tutto il suo talento. Grandi giocate, dribbling, assist e goal. In coppia con Gilardino ha dato, nella stagione 2005-2006, il meglio di sè. 32 presenze, 8 goal e una caterva di assist per il "Gila", che siglerà 23 reti a fine anno.
Talento cristallino, Morfeo aveva dei colpi da fuoriclasse. Vederlo calciare le punizioni, quella mattina di settembre, è stato meraviglioso. Aveva un mancino morbido, vellutato. Ricordo come se fosse oggi con quanta e quale precisione accarezzasse il pallone. Ad un certo punto, per scherzare, ha guardato Fernando Couto e gli ha detto: "prendo la traversa". Pochi secondi dopo la porta vibrava, impressionante. Pensare che non sia riuscito ad esprimere il suo potenziale mette un pò di malinconia. Probabilmente Morfeo ha mostrato solo il 50% del suo repertorio. Trovarne la vera causa non è semplice, ma di certo il suo carattere fumantino non ha aiutato. Genio e sregolatezza, classe ed ira, nervoso ed eleganza. Questo è stato Morfeo, un piccolo fenomeno inespresso del nostro calcio.
3 comments:
Morfeo era il mio idolo.. Uno dei pochi giocatori di classe cristallina che abbia mai visto giocare.
Peccato abbia avuto così poca fortuna, certo il suo carattere non ha aiutato.
E' giusto però ricordare quanto sia stato forte, nonostante si sia espresso solo al 50%, forse meno.
Jerry di Muro Leccese
Morfeo era molto molto forte..ma siamo sempre allo stesso discorso..nel calcio se non hai una testa fatta con certi canoni non riesci ad esplodere. E in certi casi, come questo, è proprio un gran peccato..
La testa nello sport non è importante, è fondamentale. Purtroppo i mezzi tecnici non bastano. Morfeo ne aveva, e anche tanti. Vederlo dal vivo è stato bello..magari diventasse allenatore potrebbe consigliare ai giovani quali errori evitare
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