"Fra lucidità e follia c'è solo una sottile linea rossa". Daniele De Rossi è in questa situazione di limbo, sospeso fra la responsabilità di essere un simbolo ed il peso che questo comporta.
Il centrocampista romano e romanista sta vivendo da qualche anno momenti di profondo disagio in campo. Inutile attribuire a Zeman colpe che non ha, i problemi del mediano giallorosso sono iniziati ben prima dell'arrivo in panchina del boemo.
Nato il 24 luglio 1983, De Rossi è un centrocampista completo. Dinamico, forte fisicamente e determinato, è in grado di essere un indiscusso trascinatore in mezzo al campo. Piedi raffinati e puntuali tempi di inserimento fanno di De Rossi un giocatore di livello mondiale. Molti tecnici, fra i quali Marcello Lippi e Fabio Capello, lo hanno inserito per anni fra i cinque mediani più forti del mondo. Con queste credenziali il ragazzo avrebbe dovuto avere una carriera perfetta. E invece qualcosa nel De Rossi uomo si è rotto.
Romano "doc", il centrocampista ha ricevuto fin dal primo anno di Roma l'etichetta di "Capitan futuro". Un soprannome che può lusingare un giovane che, a 20 anni, si affaccia sul palcoscenico internazionale. Ma allo stesso tempo un etichetta che può trasformarsi in un peso insostenibile per un ragazzo che, nove anni più tardi, attende ancora di diventare leader della sua squadra.
E' combinando le caratteristiche di giocatore con quelle del suo carattere che possiamo capire qualcosa in più sul De Rossi uomo e su questo momento di difficoltà. Se in campo ha una carica agonistica ed un temperamento da numero uno, i nervi non sono altrettanto saldi. Vive le partite, specialmente quelle che contano, con troppa tensione. Il campo è il suo modo di sfogare la pressione, ma basta un battibecco, una decisione sbagliata dell'arbitro o qualche fischio di troppo per annebbiargli la mente. Questo è un limite, certamente acuito dal fatto di giocare nella sua città, per la squadra ha sempre fatto il tifo. Laddove un calciatore coronerebbe il sogno di una vita, De Rossi sembra vivere la situazione con un senso di oppressione. Sguardo severo, barba incolta e scarsa loquacità sono le caratteristiche del De Rossi uomo, almeno di quello pubblico. Niente a che vedere con il ragazzo felice che sorrideva e abbracciava i compagni il 10 maggio 2003, dopo la sua prima rete in A. Tutt'altra persona rispetto al ragazzo pentito dei Mondiali 2006 che, conscio del grave errore con gli States (prima gomitata di una lunga serie), realizzava uno dei rigori decisivi e si baciava i pugni mentre Fabio Grosso andava sul dischetto.
Roma è una piazza difficilissima da sostenere. Come Napoli è una città che ti porta in gloria e ti mortifica allo stesso tempo; dove sei un idolo o il capro espiatorio. In una città così esser soprannominato "Capitan futuro" e vedere che questo futuro non arriva mai distruggerebbe anche i nervi più forti. Ben lungi da me scaricare responsabilità su Francesco Totti, straordinario giocatore e vero simbolo di Roma. Ciò che voglio dire è che una vita vissuta in costante attesa e sotto pressione è difficile da sostenere. Specialmente se aspiri ad essere il simbolo della tua città e rifiuti club blasonati ed ingaggi faraonici per amore di quella maglia.
E' come se De Rossi fosse entrato in un vortice di negatività dal quale non riesce ad uscirne se non con gesti inconsulti. Nel corso degli anni le sue espulsioni, i suoi "colpi di testa" son diventati sempre più frequenti. La reazione in sè può capitare, non è l'unico campione vittima del nervoso. Ma quando si tratta di casi isolati, come per Zinedine Zidane o Francesco Totti, è più facile ricollaegarli al focoso carattere dell'uomo. Quelle di De Rossi, invece, sono cicliche reazioni, specchio forse di una difficoltà a gestire i momenti più intensi.
Troppo facile addossare a Zeman le colpe, l'allenatore non ne ha in questo. Certo, può sbagliare scelte tecniche o posizione in campo, ma questo rientra nel suo ruolo. Il calciatore può non rendere al massimo o essere scontento, ma in alcun caso reazioni violente possono essere così giustificate. Io credo che il nocciolo del problema stia nell'ambiente Roma, che sta soffocando uno dei più puri talenti del nostro calcio. Come ogni grande giocatore, anche De Rossi ha bisogno di sentirsi leader e trascinatore. Non ha un carattere forte come Buffon, che si sentiva un trascinatore anche vivendo "all'ombra" di Del Piero. Finchè Totti rappresenterà tutto ciò che De Rossi vorrebbe essere, la sua traquillità sarà minata. Penso che per il bene del ragazzo, della Roma e della Nazionale, il divorzio sarebbe l'unica soluzione. Un campionato come la Premier o la Ligue1 potrebbero restituire tranquillità e voglia di giocare ad un centrocampista che possiede ancora numeri da vero fenomeno. A 29 anni è giunto il momento di lasciare casa e spiccare il volo.
2 comments:
Ottimo articolo. Sono completamente d'accordo. Temo, però, che - benché niente sia compromesso in via definitiva - De Rossi abbia 'sprecato' almeno un anno e mezzo di carriera e vittorie altrove.
Quest'estate sarebbe stato giusto accettare l'offerta del City. Con 30 milioni ed un faraonico contratto vincevano tutti: De Rossi, la Roma e il City. Purtroppo il cuore ha prevalso sulla testa.
A gennaio lo vedo quasi solo al Psg, dove accanto a Verratti potrebbe fare davvero bene.
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