Esperto di Calcio

20 gennaio 2013

Di nuovo Pro Patia, di nuovo razzismo. Ora basta


Il razzismo è un problema del calcio italiano, il caso Boateng ha solo dato risonanza ad un problema ben presente nel nostro sistema. Fortunatamente è un problema circoscritto ad alcune realtà e nemmeno tutte del nord. Verona (Hellas), Roma (soprattutto Lazio), e Busto Arsizio (Pro Patria) sono gli epicentri di un movimento intollerante e intollerabile. Ieri l'ennesimo episodio, riportato dalla rosea stamattina:

Sedici giorni dopo il «non ci sto» di Boateng, un'altra squadra esce dal campo perché si sente vittima di razzismo. E di fronte c'è sempre la Pro Patria, stavolta col tuo team di ragazzi. Succede nel campionato Berretti, a Trino, in provincia di Vercelli, dove i padroni di casa del Casale al 38' del primo tempo, in svantaggio per 2-0, decidono di far sospendere la partita per solidarietà nei confronti di Fabiano Ribeiro, 18enne nato a Torino con origini brasiliane. Racconta lui stesso: «Su un corner è nato un battibecco con un avversario che mi ha detto "Stai zitto, negro di merda"». La reazione con un pugno, il cartellino rosso sventolato dall'arbitro, «che era lì vicino e avrebbe dovuto sentire». Poi l'espulsione per proteste dell'allenatore del Casale Francesco Latartara e di un dirigente. Infine, la decisione della squadra di abbandonare il terreno di gioco. Difesa La Pro Patria nega tutto, confida nella vittoria per 3-0 a tavolino e per bocca del d.g. Raffaele Ferrara fa sapere: «Nessuno dei nostri giocatori ha rivolto a Fabiano Ribeiro insulti razzisti che non sono stati sentiti né in campo né sulle tribune né tantomeno dall'arbitro o dai guardalinee. Anche nella nostra Berretti c'è un giocatore di colore e il razzismo non appartiene alla Pro Patria. Dopo il caso Boateng qualcuno sta calcando la mano. Se il nostro giocatore verrà riconosciuto senza colpe, sarà la Pro Patria ad agire nelle sedi opportune per tutelarsi». Fabiano Ribeiro assicura: «Non ci è assolutamente passato per la testa di imitare il Milan. Non ci siamo comportati così per pubblicità o altro, ma per una questione di principio». I contorni sono poco chiari, le versioni divergono e allora toccherà aspettare l'indagine della procura federale, cui la Lega Pro — da cui dipende il torneo Berretti — ha già trasferito gli atti. «Tali comportamenti razzisti non possono essere più ammessi e tollerati — dice Mario Macalli, presidente della Lega Pro —. Se realmente dovesse trattarsi di un atto di razzismo, la Lega Pro si schiererà, ancora una volta, con fermezza contro i comportamenti accaduti. Porteremo avanti una lotta "senza quartiere", non sono questi i valori che il calcio e la società devono trasmettere. Andremo fino in fondo all'indagine, il calcio deve essere un veicolo di valori umani e sportivi». Una volta sospesa la partita, sono intervenuti pure i carabinieri che hanno raccolto la denuncia presentata da un familiare di Fabiano Ribeiro. Il Casale ha inoltrato una riserva scritta alla Figc per motivare il comportamento della squadra, chiedendo che l'incontro venga rigiocato. Precedente Il clamoroso gesto di Boateng e di tutto il Milan, che il 3 gennaio abbandonò il campo di Busto Arsizio, ha ridestato l'attenzione su un fenomeno, quello delle derive razziste e xenofobe negli stadi di calcio, che non è mai stato debellato. Il contesto, stavolta, è completamente diverso. Non i «buu» provenienti dalle tribune, ma un battibecco in campo tra giocatori sfociato in un insulto razzista, ancora però da verificare. Non è stata coinvolta una grande squadra, non ci sarà lo stesso clamore internazionale, ma il fatto che ciò sia avvenuto in una competizione giovanile inquieta ancor di più. «È ridicolo che una cosa del genere succeda in una gara tra ragazzi. È ora di dire basta, così non si può più andare avanti. Bisogna dare un segnale forte considerato che già ci era capitato di sentire insulti razzisti», tuona il tecnico del Casale. Che cosa può accadere adesso? Potrebbe fare giurisprudenza la sentenza del giudice sportivo di A Gianpaolo Tosel, che non ha punito il Milan perché «non può acquisire rilevanza disciplinare un gesto di solidarietà verso un uomo vittima di beceri insulti esclusivamente per il colore della sua pelle».

Se vogliamo debellare il razzismo, allora, occorre il pugno duro. Basta interruzioni delle partite, speaker che lanciano pseudo minacce e multe ridicole alle squadre. Ci vanno pene severe, in primis verso i tifosi. Gli stadi hanno le telecamere, bene. Il primo che viene inquadrato mentre canta o dileggia un calciatore per il colore della sua pelle merita il daspo a vita. Si, a vita. Bisogna dare un esempio forte, così come se non è possibile risalire agli autori dei cori vanno punite le società con partite in campo neutro e punti di penalizzazione.
Da anni mitizziamo il calcio inglese ed il sistema con cui si è eliminato il problema degli hooligans, ma non ci rendiamo conto che stiamo facendo l'esatto opposto. Margaret Thatcher usò un pugno durissimo, sia attraverso il corpo di polizia sia attraverso le società. Fintanto che riempiremo solo le pagine dei giornali e faremo i finti indignati il razzismo, nel calcio italiano, permarrà.

0 comments:

Posta un commento

Twitter Delicious Facebook Digg Stumbleupon Favorites More