Da anni siamo settimanalmente abituati a quelli che io definisco "gli urlatori". Allenatori, dirigenti e presidenti che si piazzano davanti ai microfoni o in mezzo al campo e danno luogo a sceneggiate di bassissimo livello. Il più delle volte, tra l'altro, sono ingiustificate o incomprensibili, specchio di una frustrazione che con il calcio giocato non deve avere a che fare. Non importa chi sia il protagonista di tutto questo, la riflessione che ci dobbiamo imporre è di carattere più generale. Lo fa Zapelloni della Gazzetta dello Sport, in un editoriale interessante:
C' era una volta il campionato più bello del mondo. Adesso c'è un campionato perennemente sull'orlo di una crisi di nervi. Con gli arbitri regolarmente circondati, pressati, insultati. Date un'occhiata a quello che è successo tra ieri e sabato sui campi di serie A. Scene che fanno male allo sport e non solo a quello. Ha cominciato Antonio Conte appena Guida ha fischiato la fine della partita contro il Genoa. Guida, secondo le pagelle della Gazzetta, ha arbitrato da 4,5. E' indifendibile per gli errori che ha commesso. Ma non è ammissibile che l'allenatore campione d'Italia corra in mezzo al campo a gridargli in faccia «E' una vergogna» trascinandosi dietro mezza squadra (giocatori in tribuna compresi). C'è comunque una via di mezzo tra la sua reazione e un comportamento da Lord inglese. Ma se a Conte possiamo dare l'attenuante del carico di adrenalina che si può trovare addosso un allenatore a fine partita, anche se le sue sceneggiate sono apparse davvero scomposte e esagerate (e hanno innescato gli altrettanto scomposti e esagerati fischi di ieri sera a Milano), chi non ha la minima scusa è uno dei migliori dirigenti del calcio italiano, Beppe Marotta. L'a.d. della Juve ha avuto la brillante idea di dire: «Guida è di Torre Annunziata, provincia di Napoli, evidentemente era in difficoltà. Contesto la designazione...». Una sciocchezza sesquipedale. Può anche andare bene alzare la voce quando ci si sente accerchiati e perseguitati, ma arrivare a pronunciare affermazioni di questo tono è davvero spropositato. E lo stile Juventus non c'entra. Qui c'entrano solo il buon senso e la buona educazione. Merce sempre più rara in un mondo dove ad alzare i toni cominciano spesso i presidenti (capaci di dare della «zitella isterica» a un collega) e nell'assoluta mancanza di vertici (leggi Beretta e Abete) capaci di far rispettare un certo fair play e un certo ordine nei nostri campionati. Perché se la squadra campione d'Italia perde la testa in questo modo, poi tutti si sentono autorizzati a fare altrettanto. Ieri sono stati espulsi due allenatori (Colantuono e Gasperini) e un panchinaro (Miccoli), ma soprattutto abbiamo assistito a vere e proprie scene da Far West con 22 giocatori, portieri compresi (anche se uno era il capitano) attorno all'arbitro di Atalanta-Milan. Scene che soltanto la nostra Serie A esporta. Perché abbiamo la pessima abitudine di voler sempre vedere il veleno anche in un bicchiere d'aranciata. Un malcostume che non riusciamo a cambiare. E che magari un po' di chiarezza sulla regola dei falli di mano (come auspicato da Collina alla Gazzetta) potrebbe aiutare a combattere.
Polemiche e campanilismo sono e saranno sempre parte integrante delle nostre domeniche, cerchiamo solo di evitare di trascendere. Lo fanno praticamente tutti, da Conte a Mazzarri passando per Stramaccioni, Allegri, Rossi e compagnia bella. E' ora di dire basta.
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