Ci sono campioni e campioni. Campioni aiutati dalle circostanze, dalla squadra, dalla bassa caratura degli avversari. Penso alle cronache dei nostri giorni riempite dagli El Shaarawy e Balotelli, Palacio e Kovacic, Matri e Vucinic. I campioni di questa generazione, i personaggi il cui nome vediamo sulla schiena dei ragazzini di oggi allo stadio.
Per carità, ottimi calciatori. Ma supportati da un contesto diverso da quello a cui eravamo abituati.
E poi ci sono Campioni, la cui eco passa di padre in figlio, e magari nipote.
Campioni che ancora oggi riempiono il cuore d'affetto, e il petto d'orgoglio, di chi quelle imprese le ha vissute.
Oggi parliamo di uno di questi.
Il suo nome è Andriy, seconda punta. La sua provenienza Kiev. Non proprio la meta ideale per un calciatore, con quegli inverni così freddi da far rimpiangere il tepore dello spogliatoio.
Andriy Shevchenko da Kiev arriva al Milan in un giorno di Luglio di metà anni novanta, con la pesante eredità del cartellino. Galliani lo strappa alla Dinamo Kiev per 40 miliardi di lire, una cifra molto importante, specie per un calciatore Ucraino semisconosciuto ai più.
Semi però, perchè Andriy, soprannominato il Crotalo per la sua velocità nell'anticipare il difensore e andare a rete, era esploso l'anno prima con la sua squadra, segnando 10 reti in Champion's League.
Erano i tempi del televideo, internet non era ancora lo strumento di informazione di massa di oggi, e i tifosi le informazioni le prendevano dalla tv, col televideo appunto. Al di fuori degli addetti ai lavori, quindi, lo scetticismo era pressochè generale.
E invece quello tra Sheva e il popolo rossonero fu subito amore, di quello vero. Un legame cementato dai gol e dal rendimento in campo ma anche dall'atteggiamento serio, umile, mai sopra le righe. Sempre sorridente e disponibile, Shevchenko era l'anticalciatore, dove per calciatore si intende il ricco distaccato e distante.
Ed era un trascinatore.
Ricordo che quello che a me piacque subito, oltre al gol all'esordio, il primo di una lunghissima serie fatta di 175 gol al Milan in appena sette stagioni, fu la sua determinazione.
Andriy Shevchenko era un giocatore che rendeva elettrica l'atmosfera allo stadio.. Il suo essere determinante nasceva dalla sua determinazione in campo: ogni palla che toccava era un potenziale pericolo per le difese avversarie, che spesso, infatti, soccombevano alle sue giocate.
Dicevamo in precedenza: campioni e campioni.
Che cosa ha reso Sheva un campione indimenticato? I gol? Le vittorie?
La Champion's League col rigore decisivo a Gigi Buffon contro la Juventus nel 2003, lo Scudetto con gol decisivo alla Roma nel 2004, il Pallone d'Oro come miglior giocatore del 2004, le Coppe Italia, le Coppe minori? Certo, anche quelle, ma non è abbastanza.
Dicevo del contesto. La squadra, che usciva da anni difficili nonostante uno scudetto conquistato per i capelli solo l'anno prima, si trovava di fronte una concorrenza tale
- la Juventus del Lippi bis, le Romane che da li a tre anni vinsero uno Scudetto a testa, l'Inter di Moratti all'apice delle spese, la Fiorentina di Batistuta, il meraviglioso Parma di Tanzi-
da far pensare ad uno spaventoso ridimensionamento negli obiettivi. Il Milan partiva molto indietro, svantaggiato dall'età dei suoi senatori e da un necessario ricambio che tardava ad arrivare. Serviva qualcosa.. Qualcuno, che ridesse fiducia all'ambiente, che facesse capire a tutto il calcio nazionale e internazionale che il Milan era ancora capace, dopo i periodi d'oro di Sacchi e Capello, di lottare per i vertici.
Per il Milan quel qualcuno fu Andriy Shevchenko.
Giocatore immarcabile. Trascinatore. Grande goleador. Amato dai tifosi. Stimato dagli avversari.
Grazie alle sue giocate, al suo carisma, il Milan rimase a galla competendo con formazioni di gran lunga più attrezzate. E più tardi, insieme all'innesto di altri grandi giocatori, tornò a competere. E finalmente a vincere.
Francesco Merlino
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