Esperto di Calcio

2 settembre 2013

Storie di calcio: Paulo Sousa

I tifosi della Juve e del Borussia Dortmund lo hanno ammirato; quello dell'Inter ne hanno visto le grandi doti. Sto parlando di un centrocampista formidabile, unico: Paulo Sousa.
E' lui il protagonista della "storia di calcio" odierna, tratta da tuttojuve.com:

La Juventus “trapattoniana” è arrivata ai quarti di finale di una fondamentale Coppa Uefa, obiettivo primario di stagione, visto che in campionato le cose non vanno benissimo. Avversario il Benefica, gara di andata a Lisbona. Una battaglia, contro un avversario che lotta su ogni pallone, trascinato da un giovanotto che sembra avere la calamita ai piedi, tanto riesce in ogni contrasto a mantenere il pallone strettamente incollato al suo destro.

Il giovanotto in questione si chiama Paulo Sousa ed ha ventitre anni scarsi; non è solo un lottatore, ma è capace di lanci millimetrici e sa dettare pure egregiamente i tempi della manovra. La Juventus lo adocchia e se lo cura a distanza; visto e rivisto in altre occasioni, anche con la maglia della nazionale portoghese, Paulo Sousa è uno dei primissimi acquisti dell’era Moggi-Lippi.

Dopo quattro anni nel Benfica, un posto fisso nella Nazionale portoghese conquistato da giovanissimo ed un anno nello Sporting Lisbona, dove conquista lo scudetto, è arrivato il momento della Juventus.

«Sono nato e cresciuto a Viseu, nel centro del Portogallo, in seno ad una famiglia di pochi averi ma in cui, al contrario, non mancavano l’armonia, l’affetto, il senso del dovere e della giustizia. Cioè, un focolare eticamente ineccepibile», dice il neoacquisto bianconero, all’atto della presentazione, «mio padre Delfim era ed è meccanico di moto e mia madre, Maria Madalena, sarta. Meno male che adesso, con il mio aiuto, può permettersi di stare a casa. Chi svolge lavoro dipendente, per di più umile non può di certo campare nell’agiatezza, stenta a far quadrare il bilancio domestico. Io sono il primogenito. Poi è arrivato un fratello e le cose, naturalmente, dal punto di vista dei mezzi, non sono migliorate».

Nell’infanzia, Sousa fa quello che di solito fanno i ragazzi di origine campagnola: va a scuola e sferra i primi calci nelle strade impolverate del suo paese. Fino ai dodici anni è stato così, il traguardo da inseguire era quello del profitto scolastico, degli esami che occorreva superare. Ma a quell’età è ancora facile conciliare gli impegni scolareschi con il divertimento. Paulo trova anche il tempo ed il modo di provare altre attività sportive, come il basket e l’atletica leggera, corse sulla media e lunga distanza. Non voleva smentire una specie di diffusa predestinazione della sua terra, che ha dato i natali a famosi corridori di fondo. L’unico rimpianto è non aver mai provato con la pallavolo, la disciplina sportiva che ha sempre gradito di più.

Tra i dodici (quando firma il primo cartellino per il Repesenses) ed i quindici anni la scuola ed il calcio convivono fianco a fianco, senza intralci. Intanto, mentre si mette in evidenza nella formazione degli “iniciados” che disputa il campionato portoghese della categoria (zona nord) e che, trascinata da lui, si batte a tu per tu con le rappresentative del Porto e del Boavista, Sousa conclude anche il ginnasio (nono anno di scolarità), con un dieci e lode in matematica. Il sogno era diventare insegnante, più precisamente maestro elementare. Ma è stato un sogno mancato, perché il destino ha deciso diversamente.

Infatti, uno di quelli osservatori, che percorrono di continuo il Paese in lungo ed in largo, Peres Bandeira, già Commissario Tecnico delle Nazionali giovanili, lo segnala al Benfica.
«Il signor Bandeira si mise in contatto con mio padre e l’accordo venne raggiunto in pochi giorni. Anche se tifavo Sporting ed il trasloco mi allontanava dai miei e scombussolava radicalmente i miei progetti, non potevo permettermi il lusso di rifiutare l’occasione di spiccare il primo grande salto della mia vita».

Al Benfica furono sette anni di apprendistato, di evoluzione, di maturazione, di affermazione.
«Quasi tutto quello che valgo come calciatore lo debbo all’allenatore Tamagnini Nené, un goleador del Benfica negli anni sessanta».

Il corollario logico di questa crescita è l’arrivo stabile prima alla Nazionale juniores (Campione Mondiale “Under 20” nel 1989 a Ryad, in Arabia Saudita) e poi a quella principale.
«Debbo ringraziare Carlos Queiroz, perché mi ha proiettato a livello internazionale ed instillato in me la mentalità vincente, e Sven Góran Eriksson, perché mi ha lanciato in prima squadra quando ero appena un diciannovenne. Due grandi allenatori che hanno segnato in modo tangibile ed indelebile la mia carriera».

Nell’estate del 1994, quando la grande rivoluzione “lippiana” è agli albori, Paulo Sousa diventa bianconero. Nasce una Juventus nuova, che guarda avanti e pensa nuovamente in grande, una Juventus che costruisce a metà del campo la sua forza. C’era già Conte, adesso ecco il portoghese di Viseu nel pieno della condizione e dello smalto. Un lottatore che corre e combatte, ma che sa pure dirigere il traffico: se ne sentiva il bisogno. La Juventus parte con qualche timore, visto che la squadra è nuova per oltre metà, ma con gente come Paulo Sousa le paure passano presto.

Mancava alla Juventus un tipo alla Rijkaard, un interditore capace di proporsi e soprattutto fare la spola tra difesa ed attacco, come dicevano i cronisti del calcio che fu. Paulo è modernissimo nella concezione del gioco, ma incarna questo prototipo antico e sempre valido. La Juventus, che vince con le stoccate di Vialli e Ravanelli ed incanta con le prime prodezze del giovanissimo Del Piero, ha nel portoghese il cuore pulsante.

«Il mio gioco è fatto di parecchie cose», dice Paulo dopo pochi mesi in bianconero, «sono molto portato al recupero del pallone ed al rilancio immediato. Ma in questa fase, non mi limito solo a far girare la palla. Cerco invece di verticalizzare, di cercare il compagno meglio piazzato o mi inserisco e mi propongo io stesso, per spingere, sostenere le punte. Finché non sono stato nel pieno possesso dei miei mezzi atletici, ho dovuto limitare la mia azione. Appena ho recuperato la piena condizione, ho cominciato a giocare alla mia maniera, cercando di dare alla squadra quello che il tecnico si aspetta da me. L’ho detto più volte: in Italia, alla Juventus, sono venuto per fare un salto di qualità e per vincere qualcosa. Ed ora che sto bene penso proprio di riuscirci».

Una stagione, la sua, da incorniciare, Paulo Sousa ha una continuità di rendimento impressionante. Nel primo campionato dei tre punti che la storia ricordi, il portoghese gioca 26 partite saltando per infortunio qualche gara, ma facendo sempre fortemente sentire il timbro della sua presenza. Più propenso a far segnare i compagni che a cercare avventure in proprio, Paulo Sousa trova però, in modo estemporaneo quanto meritatissimo, la gloria del goal proprio nell’occasione più importante: è l’8 gennaio 1995, quando la Juventus capolista rende visita alla sua inseguitrice più accreditata, il Parma. Sono gli emiliani a portarsi in vantaggio con l’ex Dino Baggio; passano pochi minuti ed una tiro di Paulo Sousa, sorprendendo Giovanni Galli, si infila nell’angolo alto più lontano.

È il goal che lancia la rimonta bianconera, che culminerà in una netta vittoria. E quando, il 21 maggio, sempre contro il Parma secondo in classifica, si materializza anche per la matematica il primo scudetto degli anni Novanta, sono in tanti a dire ed a scrivere che uno degli artefici massimi della conquista è proprio Paulo Sousa. Brillante anche nella sfortunata galoppata in Coppa Uefa persa nella doppia finale, ancora contro il Parma, il portoghese incornicia il suo primo anno bianconero mettendo la firma anche sulla conquista della Coppa Italia, battendo nuovamente la compagine emiliana allenata da Nevio Scala.


Dopo una stagione a così alto livello, sono in tanti a prevedere una flessione l’anno dopo, ma si tratta di una valutazione clamorosamente sbagliata. Paulo Sousa gioca, se possibile, ancor meglio; il 1995/96, in cui fa salire a 28 le sue presenze in campionato, riesce a mettere la sua firma nella conquista più attesa, quella della Champions League. Prima del trionfo di Roma, c’è una partita chiave, la semifinale di ritorno a Nantes, in cui Paulo Sousa è l’assoluto protagonista di una delle più strepitose azioni dell’intera stagione; conquistata palla nella sua metà campo, parte in contropiede infilando gli avversari come birilli e presentandosi poi per la conclusione vincente davanti al portiere francese. Un goal stupendo che sancisce la qualificazione bianconera per la finalissima.

È anche l’ultima perla del biennio bianconero. Il portoghese parte da Torino, destinazione Borussia Dortmund, dopo aver conquistato con la Juventus scudetto, Coppa Italia, Supercoppa italiana e Champions League, con 79 partite all’attivo. Lascia un gran bel ricordo.

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