La Brujita, ovvero "la streghetta", ecco come i giornalisti argentini fanno conoscere al mondo il giovane centrocampista scuola Estudiantes.
Affari di famiglia: figlio di Juan Ramon Veron, soprannominato in patria la Bruja (la strega ndr), Juan Sebastian nasce calcisticamente nell'Estudiantes, squadra con cui il padre ha fatto la storia. Iniziare a giocare e vestire la casacca di un padre, che nella sua carriera ha vinto qualcosa come tre Libertadores e una Intercontinentale, non è semplice. Solo un uomo dal grande carattere ed i piedi ancor più raffinati poteva avere successo.
E così nasce a metà anni '90 la leggenda di Juan Sebastian Veron, portato in Europa dalla Sampdoria di Mantovani. Il centrocampista argentino, sguardo severo e capello rasato, diventa nel giro di un solo anno il faro del centrocampo blucerchiato, rimpiazzando nel cuore doriano un certo Clarence Seedorf, passato in estate al Real Madrid.
Carnevale '97, tre goliardi sampdoriani. A destra, Veron. |
Il primo anno, giocando con Mancini, Karembeu e Montella, guida la Samp ad un piazzamento importante. L'anno successivo, però, viene risucchiato nel buco nero doriano, che sancisce dopo anni di successi il ritorno in cadetteria per i genovesi.
Veron non è un giocatore di seconda fascia, così si presentano a Genova i soliti Tanzi e lo portano in Emilia, dove incontra Buffon, Thuram, Cannavaro, Chiesa e Crespo.
Sul tetto d'Europa e lo Scudetto: con i parmigiani gioca una sola stagione, ma lascia il segno. Veron è infatti il regista della squadra gialloblu, che duella fino alla fine con la Juventus per il tricolore. La sconfitta in terra italica è ben presto mitigata dai successi europei. Veron alza al cielo la Coppa Uefa, risultando imprescindibile. Eriksson, suo grande estimatore ai tempi della Samp, prega Cragnotti di regalarglielo in una Lazio con ambizioni tricolore. Mister Cirio stacca uno dei suoi assegni e porta Juan Sebastian all'ombra del Colosseo.
Veron, carattere da vendere e fame da cannibale, da una marcia in più agli aquilotti. In una città calda come Roma, con una tifoseria ambiziosa ed esigente, solo i grandi sanno esaltarsi. Veron, da par suo, non batte ciglio e guida i laziali al Tricolore e ad uno storico trionfo nella Supercoppa europea a Monaco.
I speak english: Sir Alex Ferguson, un intenditore di calcio, s'innamora di lui. Con una Lazio sempre più inguaiata finanziariamente, Veron viene ceduto. In Inghilterra, un campionato storicamente ostico per chi ha piedi deliziosi in mezzo al campo, Veron incanta. La Premier è sua, così come la cabina di regia dei Red Devils. Qui, però, non trova perfetta armonia con Paul Scholes, ed allora una stagione di transizione al Chelsea, una squadra di tradizione in rampa di lancio.
Hogar dulce hogar: dopo un anno in nerazzurro, alla corte dell'ex compagno Mancini, il ritorno in Argentina. E' l'Estudiantes a chiamare il campione d'Italia in carica, e Veron risponde. Troppo forte la suggestione di chiudere la carriera con la maglia che lo ha lanciato e che ha reso suo padre una leggenda.
La brujita non vuole esser da meno, mettendo in bacheca una Libertadores storica come quelle di papà Ramon.
La fantasia al potere: centrocampista di qualità sopraffina, Veron è stato uno dei migliori registi del calcio moderno. In grado di giocare di tocco come di forza, Veron aveva quantità e qualità. Lungi da me definirlo un mediano, Veron aveva due piedi raffinatissimi. Destro naturale, calciava come pochi al mondo. Era in grado di tagliare il campo con una rasoiata e, al contempo, piazzare la palla alle spalle del portiere con un tiro da fuori o una magia a girare, come quando trafisse un giovane Frey direttamente da calcio d'angolo.
Leader in campo nazionale ed internazionale, Veron ha lasciato il segno nel cuore di tutti gli amanti del calcio vero, quello fatto di classe, gioie ed emozioni.
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