Non sono mai stato un suo fan, almeno non fino alla fine degli anni '90. Poi era impossibile non rimanere incantati dalla classe, dall'eleganza e dalla semplicità con cui giocava. Firenze o Milano che fosse, Manuel Rui Costa faceva parte di quella generazione di fenomeni portoghesi che ha raccolto meno di quanto avrebbe potuto.
Correva l'anno 1994 e la finale ad Euro U21 era Italia-Portogallo. Da un lato gli azzurri di Cannavaro, Toldo e Inzaghi; dall'altra i lusitani di Rui Costa. Ma che dico, il Portogallo di Figo, Rui Costa, Sa Pinto, Couto, Joao Pinto... gente che da giovane sembrava destinata a spaccare il mondo.
Eppure, di quella generazione pazzesca, son Figo e Rui Costa ad aver lasciato un segno indelebile nella storia del calcio europeo ed italiano. Ed è del numero 10 che voglio parlare oggi, proprio quel Manuel Rui Costa che, in coppia con il Re Leone Batistuta, ha fatto sognare e gridare Firenze.
Il racconto della sua vita e della sua carriera è fimato da Alan Bisio, amico ed editorialista Fantagazzetta.
Questa storia parla d'amore e leggerezza, d'assist e carezze, lacrime, sole d'Algarve, fedeltà, cuore. Avrebbe potuto scriverla José Saramago, Maestro pure lui, soltanto di un tipo differente. Vi racconterò il ragazzo semplice che sa commuoversi, il dez pagato 85 miliardi di lire dal Milan, il giovane ch'aveva l'abitudine d'uscire per ultimo dagli spogliatoi prima delle partite come il suo idolo, Carlos Manuel; Rui è il bimbo gracilino trascinato della Damaia (bairro umile della capitale lusitana) alla Cattedrale da Eusebio, la Pantera Nerac'aveva visto lungo. Ci son stelle che nascono per attrazione gravitazionale all'interno di una nebulosa, poi c'è Rui Manuel César Costa, elegante, sinuoso, innamorato di quel pallone che porta a spasso a testa in su come Antognoni, a mo' d'abatoncello, per dirla alla Brera.
AUTOGRAFI - Chiedetegli quale sia stato il rimpianto più grosso, provateci, non tirerà in ballo rigori sbagliati o qualche scelta di mercato frettolosa, vi parlerà dell'aver lasciato gli studi prematuramente. Già, con Rui il cliché del calciatore-tonto non funziona, perché l'aria pacata, tranquilla, un po' da intellettuale, è giustificata dai romanzi, dalle opere a teatro, dai manuali di storia che puntualmente campeggiano sul comodino del ragazzo nato il 29 marzo1972, l'anno della quinta Milano-Sanremo di Eddy Merckx e de Il Padrino di Coppola (non che Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta nuda e tutta calda sia da sottovalutare). Il piccolo Rui Costa è un bimbo modello, Vitor, il padre, se lo coccola e si stropiccia gli occhi guardandolo importunare gli amici di famiglia, obbligati a fare due tiri a pallone con lui tra divano e finestra in attesa della zuppa di pesce di mamma Manuela. Rui a scuola va bene, i professori spendono parole dolci, ma il talento è come i leggings, non mente mai: tra buoni voti e piedi buoni i genitori lasciano che siano i secondi a trionfare, col piccolo gioiello di famiglia al settimo cielo ogni domenica, quando si presenta al da Luz in veste di raccattapalle a caccia di autografi. 'Ci restavo male quando non mi davano l'autografo, per questo adesso mi fa molto piacere firmarli, soprattutto ai bambini'.
'Rui / baila la Portuguesa / passa la pelota a Nuno / segna e poi facci cantar'
I cori vanno da Jesus Christ Superstar ('solo noi, solo noi, il portoghese l'abbiamo noi') a We will rock you dei Queen, Firenze gli entra nel cuore nonostante lo scarno palmares ('ho vinto poco a Firenze, ma a livello di affetto non so quante Champions League ho conquistato' - dirà in un'intervista tempo dopo) e le diverse difficolà. Tatticamente, tutta Italia s'accorge di lui in un fragoroso climax ascendente passando da Ranieri, che spesso l'utilizzava sulla fascia, a Malesani, Trapattoni e Terim; proprio riguardo al turco, dirà: 'se fossi un allenatore, vorrei essere come lui'. I gol a Firenze saranno 50 in sette stagioni e 276 presenze, ma la crisi del settimo anno, come nella più passionale delle storie d'amore, arriva a causa della società, costretta a vendere i pezzi pregiati per salvarsi dal fallimento (Batigol spedito a Roma la stagione precedente, Toldo all'Inter).
L'ANIMA AL DIAVOLO - Il 26 giugno 2001 Rui è in vacanza in Portogallo, squilla il telefono, gli dicono che deve a tutti i costi lasciare Firenze. Per il portoghese sono attimi drammatici, voleranno parole grosse, scenderanno lacrime, talmente tante da annullare la festa del settimo anniversario di matrimonio con Rute, la ragazza storica sin dall'adolescenza. Rui di andarsene non ne vuol sapere, ma il telefono di Cecchi Gori squilla a vuoto. Lo vorrebbero il Parma di Tanzi e la Lazio di Cragnoitti, Rui risponde picche ai crociati accettando l'offerta laziale anche grazie all'intercessione di Simone Inzaghi, correva il primo luglio. Alle 2 del mattino lo chiama Galliani, a Rui torna il sorriso, preme il tasto verde ed accetta la proposta rossonera, firmando il contratto più importante in carriera e facendo intascare alla Fiorentina ben 85 miliardi di lire. A San Siro Rui Costa farà fatica a segnare (solo 11 reti in 192 presenze), ma delizierà la Sud con quasi 70 assist in cinque anni fatti di dolori (Istanbul), gioie (la Champions contro la Juventus e la Supercoppa Europea vinta contro i rivali del Porto con tanto di assist) e passaggi di consegne (l'anno dello Scudetto con l'esplosione di Kakà e le continue staffette).Nel maggio 2006 il Musagete rescinde consensualmente col Milan ("Il Milan però ti entra nelle vene e non ne esce più") e fa ritorno al Benfica, pensate: negli ultimi due anni di Liga Portoghese segnerà più reti rispetto ai cinque anni in Serie A coi rossoneri. Tornerà a San Siro, da avversario, il 18 settembre 2007, accolto come un eroe, per una partita di Champions League. Dopo l'addio al calcio giocato Rui diventa direttore sportivo del club di Lisbona, impegnato in questi giorni nelle semifinali di Europa League.
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